Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

_l)_p. BIANCO \Xli.ROSSO iii•Ml•il Replica ad un lapsus di Adele Cambria Il primo numero de «Il Bianco e il Rosso» offriva un ghiotto lapsus che, affrontando il rischio dell'impopolarità e della riconferma, nel mio caso, di una vecchia etichetta, quella di femminista rompiscatole, ho deciso tuttavia a cuor leggero di rilevare, nel corso della presentazione della rivista al pubblico e ai giornalisti. Ma come, ho infatti osservato ad alta voce, avete dedicato il vostro primo dossier all'uguaglianza, e vi siete dimenticati serenamente della relazione uomo-donna, come luogo della dis-eguaglianza fondante, quella tra i sessi? È stata, la mia, una provocazione con effetto boomerang, perché ora mi tocca sintetizzare qui il discorso politico, storico, teorico, svolto in questi ultimi duecento anni dalle donne, incominciando da Olympia de Gouges, e dai suoi generosi «errori», per arrivare, oggi, a Luce Irigaray ed alla sua rivendicazione «dell'equa identità civile per ciascun sesso». L' «errore» di Olympia è facile individuarlo (ma è facile ora, alle soglie del Duemila, e dopo un paio di decenni di elaborazione teorica femminista): «La donna nasce libera e resta uguale all'uomo nei suoi diritti...», proclama infatti l'articolo 1 della «Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina», arditamente pubblicata dalla rivoluzionaria francese nel settembre del 1792. E l'idea della uguaglianza uomo-donna scandalizzò a tal punto gli inventori del più riuscito slogan rivoluzionario di tutti i tempi - Liberté, egalité, fraternité - che la imprudente, generosa Olympia ci rimise la testa. (D'altronde, l'articolo 10 della sua Carta non affermava forse che se «la donna ha diritto di salire al patibolo, deve anche avere il diritto di salire alla Tribuna»? Cominciamo dal patibolo, e poi si vedrà ... devono essersi detti gli infuriati «colleghi» della povera De Gouges). : 19 Ma il punto teorico che sfuggiva ad Olympia - anche se non del tutto, visto che nel Preambolo alla sua Carta osa dichiarare il suo sesso addirittura «sesso superiore» ... - è il seguente: la donna «non è» uguale all'uomo, esattamente come l'uomo «non è» uguale alla donna. Eppure ci sono voluti quasi due secoli per arrivare, e soltanto nei nostri Anni Settanta, alla rivendicazione, da parte dei movimenti delle donne, della «parità nel riconoscimento della differenza». La parità uomo-donna non può darsi in concreto, se non riconosce la differenza: della donna dall'uomo. Perché l'altra, quella dell'uomo dalla donna, non solo è ampiamente riconosciuta ma ha fondato addirittura la società in cui ancora viviamo assumendosi come «superiorità» del sesso maschile su quello femminile: e non basta, perché là dove sarebbe risultato troppo rozzo impostare la questione in termini di superiorità-inferiorità, come nell'arte del pensiero (filosofica), la si è risolta con l'astrazione del «neutro»: asserendo perciò che la nozione di «uomo» ingloba anche la nozione di «donna», che l'umanità ingloba tutti gli esseri viventi e (più o meno) raziocinanti del nostro pianeta, eccetera eccetera. Ma «l'individuo neutro essendo una finzione culturale», come rileva la lrigaray (e sulla sua scia l'italiana Adriana Cavarero e le altre nouvelles philosophes del gruppo di Diotima), l'unica soluzione possibile al problema dell'eguaglianza uomo-donna è quella di riconoscere subito i diritti delle donne «in quanto donne». «Le donne - afferma la Irigaray - non hanno oggi diritti in quanto donne: bisogna restituirglieli prima di accusarle di inciviltà. L'inciviltà delle donne proviene soprattutto dal fatto che non rivendicano dei diritti che siano loro appropriati ... Finché non hanno

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