Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

~-l-1, lllAM::O l.XltHOSSO iiikiil•d Ma gli impiegati sono classe lavoratrice? di Silvano Scaiola 1. L'idea della classe operaia come «classe generale», portatrice di valori e proposte in grado di modificare l'intera società, è tramontata rapidamente nell'arco di meno un decennio. Le figure emblematiche dell'operaio professionalizzato e dell'operaio massa sembrano aver lasciato dietro di sé un vuoto nel solco della storia, in quanti cercavano il mitico «soggetto sociale» a cui trasmettere messaggi di progresso. Gli impiegati, come categoria «altra» dagli operai, hanno ricevuto un'attenzione politica e sociologica molto minore ed ambivalente. Già Max Weber si interrogava se per gli impiegati si dovessero usare le categorie di «classe» o di «ceto», che in ultima analisi ne delineavano il potenziale di cambiamento delle generali condizioni della società in senso riformista o conservatore. In generale, da un autore originale come Kracauer, al Wright Mills autore dei «Colletti Bianchi», la letteratura sociologica ha colto in termini negativi quella che è stata definita «la dolorosa normalità delle nuove classi medie»; né operai, né dirigenti, angosciati dalla lotta per il mantenimento di uno status sociale distintivo rispetto al lavoro manuale, irrimediabilmente individualisti e privi di identità collettiva e solidarismo, gli impiegati appaiono disponibili solo a battaglia di autodifesa. 2. Anche il lavoro sindacale di rappresentanza degli impiegati si è rivelato difficile. L'attesa dell'avverarsi della profezia della inevitabile «proletarizzazione dei ceti medi», è stata inutile, come l'esaltazione propagandistica dei temi della professionalità. Negli anni ottanta il tentativo di allargare la sindacalizzazionefra impiegati, tecnici, quadri dell'industria, in rilevante crescita numerica e proporzionale rispetto agli operai, ha avuto scarso successo. L'impiegato come «soggetto sociale» continua a mostrarsi, almeno nell'industria, refrat- : 17 tario ad impegni di respiro collettivo. Le analisi empiriche più recenti (poche per la verità) continuano ad interrogare la sfinge, senza cogliere segnali di novità; solo il fenomeno «Cobas», sul versantedel pubblico impiego, sembra proporre una sorta di irruzione dei ceti medi nel teatro della politica, comunque al di fuori del sindacalismo confederale. 3. C'è da chiedersi se il declino quantitativo dei lavoratori manuali, ormai chiaramente delineato, segni allo stesso tempo la tendenziale estinzione di forze sociali organizzate all'insegna del lavoro. Il ceto impiegatizio, frantumato in rivoli corporativi fino all'individualismo, potrebbe rappresentare al più un mercato politico da monitorare con attenzione, per carpirne umori ed orientamenti elettorali. 4. Le indagini empiriche più recenti, specie quelle che allargano l'area di ricerca anche alla sfera dei rapporti sociali e dei valori, problematizzano non poco le categorie di riferimento già note. Ad esempio in una ricerca sugli impiegati in Pirelli recentemente ultimata dai chimici della Cisl lombarda, alcuni elementi già noti alla letteratura sul tema sono sostanzialmente confermati: la propensione all'autodifesa individuale, l'identificazione primaria con le proprie capacità professionali, una marcata tiepidezza per il sindacalismo confederale, ancora più accentuata nei giovani e nelle fasce più scolarizzate. Anche l'incapacità di creare strutture formali di rappresentanza autonoma di qualche peso (tranne alcuni casi nei quadri) persiste. Il monitoraggio della condizione di lavoro mostra come siano presenti forti domande di formazione, vissute come condizione per la difesa di capacità professionali, insieme a preoccupazioni diffuse, di rischi occupazionali derivanti dall'onda lunga delle innovazioni nel lavoro di ufficio.

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