i.)!1. BIANCO lX11.nosso iiiiiii•b ferendum. E d'altronde, è ben comprensibile la reazione di rigetto dei piccoli produttori ed esercenti. Il rapporto stabile si addice ad organizzazioni produttive che hanno un certo grado di flessibilità interna, di adattabilità ad un mercato mutevole. Poi a piccole unità che producono o smerciano un solo prodotto, e di fronte ad una qualunque oscillazione del mercato non hanno altra reazione possibile che quella di ridurre l'organico o il tempo di lavoro. Non si può integrare la vendita di scarpe, in caso di calo della domanda, con quella di (quali?) prodotti affini, solo per non licenziare i commessi. E, a tale livello di organizzazione e anche di cultura manageriale (e che cosa si può pretendere?), chiedere di elaborare una prova del giusto motivo da portare al giudice è quanto meno pretendere più di quanto non sia possibile adempiere, anziché ricorrere a trucchi e sotterfugi. Ed infatti, per tali unità, la soluzione più acconcia sarebbe stata, oltre alla forma scritta, che è il minimo indispensabile, l'impostazione di un procedimento di conciliazione. Oggi, a fronte di un referendum che propone un obiettivo ben più drastico, tale soluzione non sarebbe sufficiente. Ma altre, e ben accettabili, si possono proporre. La Camera dei Deputati ha pronto un disegno di legge che introduce, insieme a qualche vincolo inutile (come l'obbligo di motivazione contestuale alla lettera· di licenziamento, e qualche altro), un criterio che si sostanzia nella tutela «economica» (risarcimento del danno) in tutte le unità produttive (ovvero, gli stabilimenti, le agenzie, etc.) con meno di 15 dipendenti, che sono quelle oggi sprovviste di tutela (a meno che appartengano ad imprese con più di 15 dipendenti). Inoltre, se l'insieme dell'organizzazione aziendale supera i .50 dipendenti, andrebbe applicata la reintegrazione, anche se l'organizzazione stessa ·è frammentata in varie unità (si pensi che oggi può accadere che persino una piccola officina della FIAT sia esclusa dalla reintegrazione se non raggiunge i 15 dipendenti). Restano però aperti due problemi. Il primo è che anche se tra i buoni propositi del progetto c'è quello di favorire la conciliazione, non altrettanto favore esso dimostra nei confronti dell'arbitrato che potrebbe invece sottrarre la controversia sia al giudice sia all'avvocato (l'indennità minima è di due mensilità e mezza: è poco, e sarà sempre conveniente pagare il dipendente, piuttosto che un avvocato, la cui difesa è obbligatoria in giudizio - ma sembra giusto?). Il secondo è che forse aver localizzato solo il problema del licenziamento, e per di più con soluzioni inevitabilmente «leggere», non ha colto nella sua integralità il problema della condizione del lavoratore nella piccola impresa, che investe anche, e si integra con esso, lo svolgimento dell'attività sindacale, anche se, ovviamente, nei termini di compatibilità con il particolare ambiente di lavoro. Nel settore artigianale sono state già introdotte acconce misure per via di accordi collettivi. Perché non scegliamo questa strada della globalità, anziché puntare tutto sulla posta delicata del licenziamento, con il rischio di non soddisfare né l'una né l'altra parte? Il referendum non ha reso un buon servizio né ai lavoratori né alle piccole imprese, il cui impetuoso sviluppo è stata una delle principali cause, nell'ultimo decennio, della crescita economia del paese. Ma, ormai, i buoi sono scappati dalla stalla. È meglio una prudente legge che un «sì» (che mortificherebbe tali impulsi di sviluppo) o un «no» (che escluderebbe, per un lungo periodo, ogni possibilità di intervenire ad equilibrare un mercato del lavoro, oggi lacerato tra i lavoratori ben garantiti e gli altri privi di ogni garanzia). Le Corbusier, visione prospettica per «Una città contemporanea• (1922). : IZ
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