Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

.P-tJ, lllAM:O lXII. HOSSO iii•iil•d do lo scontro planetario cui l'Italia vuole partecipare. Occorre, in altre parole, tenendo ferme le uscite statali, spendere meno altrove per divenire più europei nel sostegno di uno Stato sociale da rendere più efficiente, trasformando i poveri in cittadini. Una maggiore equità può essere la base di maggiore efficienza di uno Stato che si proclama «Stato dei diritti», che lotta per la «pari dignità» di tutti coloro che lo compongono, e che non può dirsi tale se, singolarmente, dimentica e abbandona i più deboli. Piccole imprese: meglio una legge subito di Gino Giugni Il referendum abrogativo della norma contenuta nello statuto dei lavoratori, che preclude l'applicazione della «tutela reale» dai licenziamenti (e cioè dall'obbligo di reintegrazione dei lavoratori licenziati senza giustificato motivo o senza giusta çausa) nelle unità produttive inferiori a 15 dipendenti, solleva delicati problemi di ordine giuridico e di equilibrio sociale. Il problema giuridico è ormai rinviato alla fase posteriore al referendum, all'ipotesi naturalmente che esso abbia un esito positivo. Ma non è di poco conto. A seguito di un malaugurato incidente procedurale (e cioè della mancata ammissione di due referendum paralleli e integrativi a quello indetto) non è ben certo se l'esito sarà di estensione anziché di ulteriore restrizione. La Corte costituzionale, che a fronte dell'ambiguità del quesito avrebbe fatto bene a dichiararlo inammissibile, ha precisato comunque che il senso è quello voluto dai proponenti, e cioè quello estensivo. Ma si sa che, in materia di interpretazione giuridica, tutto è possibile e più che mai in questo caso, che la spiegazione fornita dalla Corte non è da considerarsi vincolante; è un parere, sia pur autorevole, e nulla più. Certo, conviene attenersi all'interpretazione più ovvia, perché a questa con quasi certezza finirebbe per adeguarsi la giurisprudenza futura. Ma anche in questo caso è facile prevedere un periodo di intenso contenzioso, in cui a guadagnarci sarebbero più gli avvocati che i lavoratori. Daltronde, la presentazione dei referendum è la logica conseguenza di un'inerzia del Parlamento, che pure da anni si trovava di fronte a specifici disagi di legge, ed era premuto dai sindacati dei lavoratori ben sensibili al dato di fatto di una crescente occupazione - si parla di 5-7 milioni circa 1/3 di lavoratori - esclusi dalla forma anche più attenuata, persino dalla forma scritta di tutela dai licenziamenti arbitrari. La prospettiva è più allarmante, in termini di equilibrio sociale. Se il referendum dovesse conseguire il risultato proposto, a tutte le imprese, minime o artigiane che siano, escluso solo il lavoro domestico e le altre attività non produttive, si applicherebbe non solo il vincolo del «giusto motivo», ma la sanzione, in tali casi veramente insostenibile, della reintegrazione del lavoratore, con sentenza pretorile esecutiva anche se oggetto di appello. Come conseguenza, sarebbe da paventare non tanto, come si sente affermare, una minor occupazione, perché chi vuol operare sul mercato non si autolimiti per effetto di tali ed altri vincoli; ma, più probabilmente, una sommersione di tutta o di parte dell'attività produttiva, e un più ampio uso di forme atipiche di lavoro. Il tutto avrebbe come risultato la minor stabilità, anziché quello opposto, di garanzia della continuità e stabilità del lavoro voluto dal re-

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