_i).tJ, BIANCO l.Xll,ROSSO Ui•iii•P diritto di vita e quindi di appartenenza, anche se lo proclama teoricamente. Questi problemi riguardano soprattutto le grandi città che devono far fronte ad una serie di limitazione di risorse insieme alla forte domanda di beni e servizi essenziali da parte di centinaia e centinaia di migliaia di cittadini che per ultimi hanno visto i benefici dello «stato assistenziale» e per primi ora ne pagano e più pesantemente la crisi. Le povertà, come privazioni complete o, come è più spesso il caso, relativo a beni e servizi ritenuti essenziali in un dato contesto sociale, sono un fatto. Rappresentano un fantasma ed il nemico per chi sogna di abolirle una volta per tutte. Diventano un problema per chi apre gli occhi sulle realtà e vede che lungo la scala delle possibili posizioni sociali molti stanno al di sotto ancora di una certa soglia che né lo spirito e neanche la lettera del nostro ordinamento civile possono legittimare. La frammentarietà dei dati esistenti proprio su quelli che dovrebbero essere i punti nodali da conoscere per programmare una politica sociale meno episodica e più efficace «dalla parte degli ultimi», fa pensare che stia venendo meno quel processo ideale di un ordinamento civile basato sull'impegno di tutti e perciò dello Stato a riequilibrare la produzione e l'accumulo delle risorse a favore di chi da solo o non starebbe in piedi o non potrebbe mai reggere il passo di altri più fortunati e più forti. Sembra piuttosto affermarsi una filosofia spesso implicita e quasi mai sottoscritta che in soldoni è quella del «visto che le risorse cominciano a mancare e finora lo Stato ha speso troppo, smettiamo di intervenire e vediamo chi riesce a nuotare da solo» o, da altra angolatura, «visto che lo Stato non ci arriva, rimbocchiamoci le maniche facendo appello alla solidarietà di tutti ed alla bontà di chi può». Sono molti a legittimare la convinzione che qualcuno deve pure sacrificarsi per il progresso e visto che nessuno, tranne santi ed amanti, si sacrifica volentieri, il sacrificio è meglio chiederlo a chi ha poco da offrire e niente da minacciare. Questa povertà non nasce, qui da noi, da mancanza di risorse collettive, ma il più delle volte è figlia di sprechi, inefficienze e distrazioni nell'apparato pubblico, e non si vede perché alla resa dei conti a pagarne le spese debba essere chi ne ha meno colpa e meno ne ha goduto i benefici. A questo proposito ricordiamo che uno, non l'unico e neanche forse il principale, ma uno dei fattori che ha influito di più nella corruzione della vita pubblica è stata certamente la grande massa di risorse finanziarie rastrellate dal fisco e messe a disposizione degli Amministratori pubblici per il potenziamento della sicurezza sociale e lo sviluppo dei servizi di base su vasta scala. Sono sufficientemente documentate le prove degli sprechi, delle inefficienze, delle distrazioni di pubbliche risorse, a tutto danno (ma a beneficio di chi?) della politica sociale più richiesta nei settori chiave dell'istruzione di base, dell'edilizia popolare, delle soluzioni di alloggi protetti per fuori famiglia ed emarginati, degli incentivi per vere cooperative di produzione e lavoro, dei presidi sanitari specializzati e di unità di assistenza domiciliare per persone dimesse dall'ospedale, dei ricoveri per lungodegenti, della riabilitazione e dell'inserimento per handicappati, etc. Parliamoci chiaro: l'internazionalizzazione dell'economia richiede, per essere solida e consistente, la contemporanea internazionalizzazione della società, o meglio la diminuzione dei divari che ancora persistono tra il nostro Paese e quelli più avanzati, per esempio sul terreno delle politiche sociali. Ma qui sta il punto: l'Italia «non» tutela affatto i suoi poveri in misura pari a quella degli Stati dell'Occidente. Anzi, siamo molto indietro nella classifica delle nazioni occidentali quanto a determinazione prima e a garanzia poi dello stesso reddito minimo per i cittadini più deboli. Non c'è bisogno né di una legge né di una riforma né di riconoscimenti particolari per garantire il lavoro, la casa, la tutela della salute, l'istruzione, il rispetto della propria dignità e la liberazione dalla paura di una vecchiaia allo sbando per chi ha tutta la cultura per capire l'importanza di questi beni e tutti i mezzi per procurarseli. La politica sociale ha importanza, invece, in un contesto di disuguaglianze che si vogliono se non combattere alla radice quanto meno ridurre e correggere nelle forme più gravi e nelle conseguenze più pesanti. Senza un grado sufficiente di protezione dei membri non forti della comunità, senza cioè un'adeguata misura concreta di solidarietà, non è possibile fondare su un basamento soli-
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