.P.lt BIAI\CO lXltROSSO •IIIBO41 i•iitiMitii liardi, una cifra in ogni caso che rappresenta un aumento superiore al 10% rispetto a quella di due anni fa. Ecco: proprio questo 10%, equivalente a 2.000 miliardi, potrebbe essere considerato una cifra congrua ad una effettiva politica di solidarietà con l'Est, una cifra che avrebbe positivi effetti anche per lo stesso ministero, inducendolo a ripensare alla luce della nuova situazione i problemi della sicurezza del paese. Sarebbe oltretutto un segnale esemplare per gli altri paesi europei e seguirebbe una tendenza ormai in atto nelle politiche delle due superpotenze. Risparmi il ministero può farne davvero, per esempio, riducendo gli investimenti in alcuni progetti aereonautici ormai discutibili, evitando di costruire una nuova inutile miniportaerei, riducendo gli investimenti per Crotone, un progetto sempre più incerto, o infine progettando una riduzione di organico e l'accantonamento del progetto Aries per l'esercito. Ma, si dirà, sono queste spese pluriennali in parte previste per i prossimi esercizi. E' vero, ma è anche vero che l'aumento continuo degli stanziamenti negli ultimi anni ha portato ad una somma impressionante di residui passivi di circa 10.000 miliardi. Essi potrebbero, una volta tanto, svolgere un ruolo positivo per anticipare una riconversione ormai ineludibile della nostra politica di sicurezza nazionale ed europea. L'Europa orientale tra novità e rischio di Mauro Martini Ci fu un periodo, intorno alla metà degli anni settanta, in cui le opposizioni dell'Europa centro-orientale amavano· definire i propri paesi come singole baracche d'un più vasto campo di concentramento, il blocco sovietico. Baracche più o meno allegre, più o meno organizzate, ma pur sempre baracche. Oggi che il blocco sovietico, così come lo si intendeva solo fino a qualche mese fa, s'è dissolto nel giro di pochissime settimane, quegli stessi paesi si presentano più che mai come baracche, pur essendo sparito il vasto reticolato che le teneva insieme. Certo, è la libertà, ma con la libertà i nuovi gruppi dirigenti si sono visti cadere addosso nuove responsabilità, dal momento che, smantellato gloriosamente il campo di concentramento, non v'è più alcun motivo di rimanere baracche. La situazione non è nuova. Già nel 1918 l'Europa centrale si trovò sorprendentemente liberata dalla sconfitta contemporanea delle tre potenze, Russia, Germania e Austria-Ungheria, coinvolte nell'area, sconfitta ancor più inaspettata, e tutto sommato casuale, giacché esse combattevano su fronti opposti. Ma chi avrebbe po- : 31 tuto prevedere le rivoluzioni russe, il crollo dello zarismo e l'avvento dei bolscevichi? Anche oggi lo sfaldamento del blocco sovietico appare come il risultato della fortuita concomitanza del pontificato di Giovanni Paolo II e dell'avvento di Gorbaciov alla guida dell'URSS, due circostanze storiche assolutamente non scontate. Non a caso i giorni più caldi delle pacifiche rivoluzioni centroeuropee hanno coinciso con l'incontro in Vaticano tra i due maggiori protagonisti della vicenda. Sembra quindi confermato il destino dell'Europa centro-orientale: il suo trovarsi sempre a godere d'una esteriore casualità della storia. Nel 1918 quella casualità incontrò proficuamente, soprattutto nel caso polacco, i frutti d'un decennale lavoro di salva: guardia della coscienza nazionale, tenuta in vita nella società e soprattutto nelle carceri. E anche in questi giorni pare realizzarsi una magica congiunzione tra la rinnovata casualità e la trascorsa attività delle opposizioni democratiche. Quanto tale congiunzione possa essere fruttuosa lo diranno i mesi a venire. I problemi che incalzano sono veramente enormi: non è retorica il ribadirlo. Primo fra
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