Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 1 - febbraio 1990

si forma di autonomia, individuale o sociale, continuando nel contempo ad alimentare l'immaginario collettivo della sinistra occidentale. Quest'ultima, quanto a lei, costruiva lo stato sociale, cioè assicurava effettivi diritti di cittadinanza e redistribuiva potere economico e politico. La vera rimozione culturale, insomma, è quella che da sempre ha colpito la socialdemocrazia ricacciandola, come ha avuto a dire Miche! Rocard, nelle zone oscure dell'immaginario di sinistra, le zone del «si fa ma non si dice». Tra il comunismo come mito e lo stato sociale come pratica, il principio di uguaglianza si è da una parte infranto sui tradimenti delle società socialiste (dove termini quali 'collettivizzazione' o 'uomo nuovo' suonano come derisori paraventi del controllo e dello sfruttamento totalitario), mentre dall'altra era costretto, almeno provvisoriamente, ad abdicare di fronte alle disfunzioni e alle diseconomie del we/fare state. Negli anni '60-'70, questa schizofrenia tra il reale e l'immaginario dell'uguaglianza è abbastanza evidente: si sfruttano a pieno le chances ugualitarie e redistributive dello stato sociale, le virtù pacificatrici del 'compromesso socialdemocratico' (anche nei paesi, come laFrancia e l'Italia, in cui non è il movimento socialista ad interpretarlo), mentre in molti settori della sinistra politica e sindacale permane la convinzione diffusa che la struttura sociale sia destinata ad una sempre maggiore omologazione, in direzione di una sua proletarizzazione, e il conflitto di classe sia destinato a polarizzarsi nello scontro tra blocchi politico-sociali alternativi. Il mito ugualitario ha un suo soggetto, il cosiddetto 'operaio-massa', ed un suo testo romanzesco, la previsiosne marxista secondo cui i vecchi ceti intermedi sarebbero stati rifusi 'nell'acciaio del proletariato' (Ruffolo). In realtà, la crescita capitalistica si stava dirigendo esattamente nella direzione opposta, verso una sempre maggiore decentrazione delle forze produttive ed un'accentuata differenziazione sociale, anche e soprattutto per effetto della conversione postindustriale. Questa evoluzione travolge insieme lo stato sociale e l'idea classista di uguaglianza, un corpo senz'anima e un'anima incapace di nondistruggere i corpi che occupa. Gli anni '80 sono stati quelli dell'effimera rivincita del ~-lLBIA:\0) lXll.llOSSO 1111 #hid mercato, anni di progressiva spoliticizzazione dei conflitti sociali, di crisi dei grandi blocchi politici, di restaurazione, proprio sulle ceneri dell'immaginario egalitario e delle sue ipervalutazioni della dimensione 'politica' (il privato è politico!), di una cultura individualistica. L'irruzione delle politiche neo-liberali non fa altro che sfruttare a suo vantaggio questa generale sfiducia verso lo stato e l'istituzione pubblica, questa svalutazione del politico, che soffoca ad Ovest ed opprime ad Est, rispetto al sociale, entità indistinta che qui (ad esempio nel pensiero di Ivan Illich) indica un'autonomia addirittura eversiva verso qualsiasi forma di costrizione istituzionale - dalla scuola alla sanità pubblica - mentre altrove si limita a sussumere comodamente la società nel mercato, per meglio dimostrare la necessità 'libertaria' della sua autoregolamentazione. Nella bilancia dei valori politici, libertà ed autonomia sono ridiventati valori-chiave a scapito dell'uguaglianza, tanto più se essa viene confusa con quella che Marx avrebbe chiamato la sua 'illusione politica', l'ugualitarismo schematico ed autoritario dei regimi dell'Est o il suo equivalente occidentale, l'astratta ossessione partecipativa che aveva contraddistinto i movimenti politici degli anni '70. Ma gli anni '80 non configurano soltanto questa reazione antiugualitaria che, facendo strame di quanto di meglio lo stato sociale aveva rappresentato - cittadinanza effettiva e protezione del debole-, trova il suo punto massimo di realizzazione nella desolazione umana e socialedell'Inghilterra di Margareth Thatcher e degli Stati Uniti della 'reaganomics'. Essi sono anche anni nei quali il terreno dell'uguaglianza viene effettivamente allargato ed 'immanentizzato' dall'apparizione di nuove forme di solidarietà che si esprimono 'trasversalmente' rispetto all'epic confronto tra stato e mercato, che cercano di aggirarlo. Movimenti che hanno capitalizzato le 'sconfitte dell'uguaglianza' per ritradurle in istanze concrete e localizzate di solidarietà: l'agire locale dei verdi, il single issue dei movimenti di volontariato per l'assistenza sociale e la cooperazione, la risposta 'conviviale' (touches pas à mon pote!) delle associazioni anti-razziste al risorgere di pulsioni xenofobe e razzistiche nelle società europee che si diversificano etnicamente; tutte modalità che riportano l'uguaglianza del cielo dei grandi principi all'ordine del giorno della concreta esistenza sociale. È un tentativo di sottrarre i valori fondamentali della convivenza sociale all'anonimato delle burocrazie specialistiche e all'inanità delle retoriche ideologiche, di incarnare l'uguaglianza in una 'prossimità'. La persona come altro (e quante rifondazioni etiche della filosofia e della politica concepite sulla base di questa 'irruzione dell'altro' nella sfera individuale fioriscono in questa fine di secolo!) ridiviene il fondamento di un uguaglianza imprescrittibile perchè recuperata alla cultura, all'interiorità, alla stessa sfera dei sentimenti. Il che dimostra, che, pur fuoriuscendo dalla dimensione di mito politico, l'uguaglianza rimane inscritta nel patrimonio genetico della cultura europea ben oltre il tramonto del modello marxista leninista (forse perché è innanzitutto un'invenzione cristiana tradotta dalla RivoluzioneFrancese nel linguaggio del diritto). Ripresentandosi nella veste della solidarietà sociale essa si presta a fornire una rete autonoma di iniziative decentralizzate per integrare e/o sostituire l'azione centralizzata di uno stato sociale riformato (così come è stato recentemente suggerito da Ralf Dharendorf), senza il quale la base elementare di ogni uguaglianza, la garanzia di un'esistenza civile a tutti, rimarrebbe lettera morta, lasciando così libero spazio a quella concezione 'muscolare' dei rapporti sociali tipica del pensiero neo-liberale.

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