Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 1 - febbraio 1990

del «supersviluppo» - le nuove povertà, le nuove esclusioni, la disoccupazione - negli stessi paesi ricchi. La globalizzazione e l'interdipendenza che caratterizzano la nostra epoca, lasciate a se stesse, non sottoposte e guidate da esigenzeetiche, non possono che produrre effetti nefasti per tutti. All'autorevolezza delle denunce e delle indicazioni non hanno fatto seguito fin qui risposte adeguate, trattandosi non solo di cambiare in profondità i meccanismi regolatori dell'economia mondiale, ma di modificare gli assetti e i rapporti politici tra il Nord e il Sud. Ora però, proprio i grandi ed insperati cambiamenti di cui siamo spettatori e protagonisti, possono creare condizioni nuove per affrontare alle radici una questione ogni giorno più drammatica e potenzialmente destabilizzante. L'eclissi del conflitto Est-Ovest è infatti destinata a spezzare, nei rapporti tra mondo sviluppato e mondo sottosviluppato, le costrizioni degli interessi ideologici, politici e di potenza che li hanno così duramente condizionati, ed allo stesso tempo, a liberare risorse immense, con il progredire dei processi di .{).(L BIANCO l.Xll,llOSSO ■ it•ihid disarmo, da destinare alla lotta alla fame e all'arretratezza. Forse il momento è venuto in cui le spade si possono effettivamente convertire in aratri. Ma questa eventualità fattasi oggi meno utopica di ieri, non viene colta con la consapevolezza e la volontà politica necessarie. Gli USA restano fermi, sul tema del debito, al piano Brady, malgrado le sue manifeste insufficienze. In termini politici poi non è certo un segnale di novità per il Sud del mondo, a cominciare dall'America Latina, la spedizionea Panama, ennesima disinvolta operazione di polizia nel giardino di casa, al di là delle contingenti ragioni addotte per giustificar la. All'URSS non si può chieder ciò che non è in grado di dare, presa com'è dai suoi problemi interni e da quelli degli ex satelliti, anche se essa non sembra più considerare il sottosviluppo solo un'arma polemica da usare, contro l'Occidente, nei consessi internazionali. In questo contesto le speranze e le aspettative si appuntano sull'Europa, e sui Dodici in particolare. C'è però il rischio che anche gli europei manchino l'appuntamento se, come più di un leader del Terzo Mondo ha segnalato in questi mesi, la loro attenzione e le loro risorse saranno esclusivamente rivolte ad aiutare i paesi dell'Est e se, in prospettiva, il nuovo spazio economico che, in un modo o nel1'altro, si verrà creando sul continente europeo, sarà ritenuto alternativo alle possibilità di crescita nei paesi sottosviluppato. Inquietudini che non basta esorcizzare con dichiarazioni solenni come si è fatto in occasione del recente rinnovo della Convenzione di Lomè, ma che per essere fugate richiedono impegnativi atti politici. Perché la storia cominci a correre per tutti è venuto il momento che l'Europa dei Dodici, assurta in questi mesi ad un nuovo protagonismo nella vita internazionale, abbia la volontà, e la saggezza, di iscrivere all'ordine del giorno per sé e per gli altri «grandi» - gli USA, il Giappone, ma in prospettiva anche l'URSS - una nuova iniziativa di grande respiro verso il Sud del mondo, riconoscendo che sta qui la sfida più alta per l'umanità in questa fine secolo. Crisi del comunismo e destino dell'uguaglianza La preoccupazione che il crollo del comunismo trascini con sé anche i valori di uguaglianza e di giustizia sociale, privandoli di una sponda ideologica, rischia di confondere in un solo destino l'uguaglianza come mito politico e l'uguaglianza come movimento reale. Che ad esprimerla siano stati non solo gli orfani del marxismo-leninismo, ma intellettuali di matrice liberaldemocratica come Bobbio, o fieri rappresentanti del pensiero neo-illuminista europeo come Fienkelkraut (che ha a suo tempo di Attilio Scarpellini definito il declino del comunismo come «la fine dell'idea di un mondo comune a tutti gli uomini») non è affatto stupefacente. La realtà è che nelle apparenze di un dibattito sull'attualità dell'uguaglianza si nasconde il grande shock per il crollo della speranza comunista, un crollo che rappresenta il punto più alto di quella secolarizzazione del politico descritta da J .F. Lyotard, nel suo La Condition Postmoderne, come crisi delle grandi narrazioni storiche e dei grandi soggetti produttori di storia. Ed è in- = 26 dubbio che in quella progressiva riduzione all'immanenza di tutti i valori politici ereditati dalle filosofie del XIX secolo, che sembra contraddistinguere la cultura post-moderna, anche e soprattutto il principio di uguaglianza sia stato ridimensionato come orizzonte di trascendenza sociale. È però altrettanto vero che l'utopia ugualitaria del socialismo reale ha funzionato prevalentemente come un feticcio, dietro il quale il partito-stato comunista era impegnato a distruggere sistematicamente qualsia-

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