Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 1 - febbraio 1990

B »lt BIANCO l.X1t nosso •h•#hld Lavoro ed uguaglianza Lavoro e uguaglianza sono stati, nella storia del movimento operaio e sindacale, strettamente legati, e così oggi i profondi mutamenti intervenuti nel mondo del lavoro pongono in modo del tutto nuovo anche i problemi di uguaglianza. Partiamo innanzitutto dall'idea di lavoro che ha ispirato il movimento dei lavoratori a partire dalla rivoluzione industriale. In questo periodo storico due grandi categorie sovrastano il modo di pensare il lavoro: da una parte il lavoro viene visto come l'espressione della autoaffermazione dell'uomo, in grado ormai di realizzare attraverso la produzione una nuova civiltà di benessere materiale e morale, dall'altra la condizione reale della massa lavoratrice si mantiene per lungo tempo in uno stato di disumanità e di privazione tale da far emergere con impeto l'altro aspetto del lavoro, il lavoro come 'questione sociale'. Personalmente ritengo che sino a ieri queste due concezioni, il lavoro come preminente forza produttiva e il lavoro come prioritaria questione sociale, siano state a fondamento del nostro modo di pensare. È facile da questo dedurre anche l'idea di uguaglianza. I fatti se il movimento dei lavoratori era nato per far uscire tutti insieme gli operai da una comune condizione di inferiorità e di ingiustizia, andava di per sè che ci si riteneva tutti eguali ed andavano evitate nuove differenziazioni e divisioni; ma anche la visione della classe operaia come forza produttiva riguardava molto di più l'insieme ed il collettivo piuttosto che il singolo, e dunque anche per questo versante si era portati all'unificazione ed all'uguaglianza. Teniamo infine presente che il superamento da parte del movimento dei la- .. . . ,., -.. - ., di Sandro Antoniazzi voratori della condizione di inferiorità di partenza non avvenne per un pacifico evolversi delle cose, ma per una lunga e contrastata lotta sociale e politica. Tutto questo ha evidenziato la necessità, per i lavoratori, di essere il più uniti possibile e di conseguenza di evitare le differenze. Il movimento operaio è stato unanimista ed egualitario per un'esigenza fondamentale di difesa e di compattezza. La mia opinione è che questi due grandi presupposti stiano venendo meno, e cioè che non esista più una questione sociale generale per i lavoratori, intesa come una condizione generale di inferiorità e di mancanza di diritti (il che non significa che non esistano problemi sociali, ma sono particolari e settoriali, e spesso anche non riguardano la condizione di lavoro), e che contemporaneamente si sia fortemente ridotto il ruolo immediatamente produttivo del lavoro umano. Oggi la condizione di vita della maggior parte dei lavoratori, nel nostro paese ed in Occidente, non può considerarsi di sfruttamento, e non è quindi motivo per la solidarietà collettiva di un tempo. Per quanto attiene l'aspetto produttivo l'invasione pervasiva delle tecnologie, ma anche l'affermarsi di grandi strutture organizzative e di imprese multinazionali rende marginale il contributo dell'uomo alla produzione, mentre rende sempre più preminente il problema della gestione e della direzione che questi grandi complessi devono assumere. È in questa situazione che il lavoro umano rischia di essere trascurato e di perdere d'importanza, sia oggettivamente che soggettivamente. Ritengo questo un grave errore per le persone, per la società, per il sindacato. Il lavo18 ro rimane importante per la vita umana, perché è tuttora necessario e continuerà a costituire una larga parte dell'esistenza umana. Il lavoro è importante perché è espressione dell'uomo che lavora ed è indispensabile a gestire e dirigere i processi produttivi ed economici. Purtroppo i grandi cambiamenti che abbiamo conosciuto negli ultimi anni hanno portato a volte alla pura difesa del passato, altre volte all'abbandono di una visione sociale del lavoro. Ha prevalso non una nuova concezione del lavoro, ma piuttosto un'idea del guadagno, dell'affermazione individuale, del successo dell'impresa quasi fine a se stessa. Ora indubbiamente i mutamenti portano ad uscire da un certo appiattimento ed uniformismo dettati dalle necessità passate, ma non per dar vita ad una speciedi leggedella giungla, ad una sorte di ritorno al capitalismo manchesteriano. Eguaglianza certamente oggi non può significareuniformità; essa però deve continuare a costituire un quadro di riferimento entro cui collocare le differenze, per distinguere tra quelle giuste e quelle che non lo sono. Intanto si dovrebbero mantenere nel paese i grandi riferimenti sociali universalistici. Mi riferisco al fisco, alle pensioni, alla casa, alla scuola, ecc.... che dovrebbero costituire fattori di unificazione sociale, e pertanto ispirati alla giustizia. In secondo luogo anche i salari ed i contratti dovrebbero avere dei riferimenti comuni, e ciò non può avvenire senza una considerazione del lavoro, economica e produttiva, ma anche sociale. La gara a chi porta a casa di più senza alcun riferimento alle altre categorie è profondamente dannosa. Infine ritengo che solo rimettendo al centro un giusto valore del lavoro si po-

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