zionali al mantenimento, comunque, sia delle disuguaglianze originari di partenza, sia di quelle a mano a mano indotte. In questo fastidio per il principio dell'uguaglianza, anzi in questa riduzione ossessiva del tema alla sua valenza economica, opera un grande processo collettivo di rimozione. Si dimentica che c'è un percorso della democrazia solo in quanto v'è stata e vi è una tensione verso l'uguaglianza. Si dimentica che l'uguaglianza costituisce il fondamento della stessa costituzione della comunanza sociale e politica, la base del diritto di cittadinanza. E il diritto di cittadinanza non passa soltanto attraverso il riconoscimento degli uguali diritti politici, ma anche attraverso il radicamento di questi diritti sulla base della equa distribuzione delle chances di vita fra tutti i cittadini. Perché questo sia possibile, è certamente necessaria una crescita complessiva della ricchezza e del potere, ma nello stesso tempo senza un intervento permanente per una loro redistribuzione equa, fra tutti i cittadini, la ricchezza collettiva diviene privilegio per pochi e miseria per molti. Per esser giusta, una società deve avere, come criterio di determinazione del proprio grado di sviluppo sociale, la posizione degli ultimi. E quest'ottica è possibile solo assumendo l'uguaglianza come valore. L'effettivo riconoscimento dell'altro, che costituisce il fondamento della comunità, della comunicazione, e che esprime e fonda la democrazia, esigeche l'altro stia di fronte come un altro me stesso. Ovvero esige che le differenze che costituiscono l'alterità dell'altro, siano sempre tali da non occultare quell'aspetto di medesimezza senza il quale nell'altro sta l'estraneo, ciò che non mi tocca nella mia essenza, ciò che non lo fa mio interlocutore. L'interlocuzione e {)Jt BIANCO lX_ltllOSSO •H•#hld il dialogo esigono che nell'altro, in quanto altro, cioè mantenuto nella differenza, si possa rispecchiare e riconoscere me stesso. Laddove sussistono differenze di reddito, di potere, di diritti, e queste non costituiscono una articolazione funzionale necessaria affinchè la società consegua i propri fini, là i rapporti tra gli uomini sono rapporti di subordinazione e quindi di dominio, e non rapporti di cittadinanza. Diritto di cittadinanza e diritto alla uguaglianza fanno una medesima cosa. Quindi, laddove le differenze si traducono in squilibrio di poteri e in rapporto di prevaricazione, di limitazione della libertà e della crescita umana e sociale dell'altro, là sussiste una diminuzione della democrazia. Ma nell'ambito delle società sviluppate, l'alto livello di benessere complessivo impedisce di scorgere le vecchie disuguaglianze che ancora permangono - come ad esempio le tradizionali povertà e i bisogni elementari non appagati - e insieme le nuove discriminazioni. Si costituisce un meccanismo di omertà egoistica che porta ad emarginare, a togliere dall'orizzonte della visibilità tutto ciò che può turbare la nostra coscienza appagata e i nostri bisogni altamente soddisfatti. Vi è una opacità sociale che si salda con una opacità morale. La ricchezza si diffonde nelle società del capitalismo maturo. Ma nello stesso tempo, si costituiscono nuovi terreni di disuguaglianza che vengono accettati passivamente o tollerati colpevolmente. Di essi non si percepisce il carattere e la natura di nuova oppressione e di nuova forma di dominio. La situazione è tale, che le nuove forme di subordinazione coesistono spesso in zone di sopravvivenza di vecchi bisogni elementari inappagati. Nello stesso tempo si creano nuove più sottili forme di disuguaglianze nei bisogni e nei poteri, senza che questo fatto assuma immediatamente il carattere della intollerabile oppressività. Pensiamo alle disuguaglianze nel terreno dell'informazione, in quello della qualità della vita, in quello della formazione. Per non parlare delle discriminazioni fra i sessi e fra i diversi livelli di età. Un vero e proprio rapporto di dominio, diretto o indiretto, esiste inoltre nei confronti dei popoli del terzo e del quarto mondo. Ma il discorso sulla uguaglianza non è compiuto una volta per tutte. Esso richiede che si comprenda qui e adesso, dove passa oggi il confine all'interno del quale devono essere collocati quanti devono essere uguali. Occorre ben sapere che cos'è ciò per cui quanti sono collocati all'esterno di questo confine non turbano la nostra coscienza egualitaria. Ancora oggi l'accettazione delle povertà del terzo mondo o dell'emarginalzione del sud del mondo non viene percepita come una lesione intollerabile del diritto all'uguaglianza degli uomini. Non si ha ancora piena coscienza che si è entrati nell'era della interdipendenza, e che quindi non vi può essere uno svantaggio di alcuni che infine non si traduca in uno svantaggio di tutti. E che se nel tempo breve i rapporti di dominio che vengono fatti valere ali' esterno sono visti come funzionali ai fini della crescita della comunità nazionale - magari ai fini di una maggiore diffusione della ricchezza per i paria della nazione -, nel lungo periodo e necessariamente sempre più le relazioni di dominio verranno estese anche all'interno. Sotto questo aspetto, occorre rifondare una nuova coscienza internazionale, all'altezza degli immani problemi dell'oggi.
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