Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 1 - febbraio 1990

Bi ~-ltBIANCO lXILHOSSO 1ib•k1D1 iii1 Riformismo socialista e solidarismocristiano di Gabriele Gherardi C'è una vecchia storia di un contrastato legame fra il riformismo socialista e il solidarismo cristiano. Lasciando stare lo stereotipo ottocentesco di "Gesù Cristo primo socialista" (pure indicativo di un approccio, per quanto popolaresco, non privo di significato) la contemporaneità della risposta alla questione sociale scoppiata drammaticamente verso la fine del XIX secolo determinò una sintonia fra il cristianesimo sociale e i movimenti socialisti. Nel 1891 (l'anno di promulgazione dell'Enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII) il programma di Erfurt della socialdemocrazia tedesca affermava che '' la religione è unfatto privato'': non era poco per quei tempi e in quel contesto. Questa affermazione infatti sottraeva il socialismo riformista allo spirito di crociata antireligiosa diffuso nei nascenti movimenti e partiti della sinistra rivoluzionaria, ed era destinata a differenziarlo marcatamente dal comunismo leninista che di lì a poco avrebbe teorizzato l'ateismo di partito e di stato. Si apriva così un lungo processo politico-culturale, per il quale - ad esempio - i laburisti britannici potevano affermare (nel 1948) che il partito laburista era "il partito dei cristiani". Ma questo non è un articolo di storia; e quindi questi rapidi cenni sono più che sufficienti. Anche perché - al di là, o meglio al di qua della politica - la questione è anzitutto e soprattutto di sostanza. Si tratta di verificare se la convergenza ideale che si determinò alle soglie del1'era contemporanea fra cristianesimo e socialismo è ancora vitale nonostante le insufficienze e gli errori con cui è stata vissuta o combattuta, da entrambe le parti. Innanzitutto noi vogliamo parlare di "valori" cristiani. Non quindi di una chiesa, e meno ancora di un partito. Ma di valori che sono propri della fede cristiana; e, relativamente ai credenti, non ci riferiamo a comportamenti o atteggiamenti o costumi (spesso condizionati da molte e diverse circostanze esistenziali), ma ad un patrimonio interiore che per i cristiani forma oggetto di fede. Quindi, al di là delle contingenze, dei modi e dei tempi, quali valori essenziali possiamo prendere in considerazione? La persona umana, anzitutto, il concetto cioè di uomo che è persona; e i diritti fondamentali che ne derivano, il diritto alla vita e il diritto alla libertà. Poi, nei rapporti fra le persone, la fraternità, la solidarietà, l'uguaglianza. Infine, nei rapporti sociali collettivi, l'esigenza di giustizia, di cui il cristiano ha "fame e sete", nella concezione biblica di questa giustizia che deve essere fatta per i "poveri" secondo la concezione biblica, cioé per coloro che sono senza potere, che non contano, che vengono posti in condizione di non poter affermare il loro valore di persona. Questi valori sono certamente, per i cristiani, radicati nella fede in Dio, nel Dio che 'non è il Dio dei filosofi - come dice Pascal - ma ilDio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe'. Ma questi valori, radicati nella fede, non sono peraltro subordinati ad essa. Essi sono stati posti da Dio nel cuore dell'uomo; noi li possiamo conoscere indipendentemente dalla rivelazione. Questo mi pare un elemento importante perché ci dice come la caratteristica dei valori cristiani non sia una loro separatezza metafisica, ma anzi la loro estrema comunicabilità, la loro estrema diffusibilità, in un potenziale rapporto originario con i non credenti. Questi valori, della dignità della persona, di solidarietà, di uguaglianza, di questa fame e sete di giustizia, sono infatti del tutto omogenei con quelli presenti nel nucleo essenziale della tradizione socialista. Ed è opportuno ricordare che nella tradizione socialista italiana l'attenzione ai valori cristiani è presente; è antica la esplicita dichiarazione che un certo tipo di anticleri-

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