Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 1 - febbraio 1990

B .{)!L BIAl\CO '-Xli, BOSSO •IP•Wdiii• lori e le forze profonde, consapevoli e inconscie, che muovono gli individui come i gruppi. Si introduce così una contraddizione radicale: la politica si rivolge all'uomo intero e non solo alla sua dimensione economica e materiale, mentre il 'fare politico' lo mutila, lo semplifica, oscura la sua dimensione intellettuale e spirituale, arretra di fronte a tutto ciò che, più in profondità, lo smuove e ricompone l'unità di ragione e sentimenti. Lo stesso accade con l'utilizzo di un gergo che si rivolge solo agli specialisti, agli addetti ai lavori, attraverso un linguaggio allusivo, non chiaro, stereotipato, asettico, omologato. Esso appare il prodotto di una acculturazione senz'anima, che ha spianato tutto, e di una volontà di non definire per non impegnarsi. Certo, anche di una scuola della politica che non perdona. Ed infatti, se nel linguaggio si riflette anche 'il profondo' di ciascuno di noi, come non pensare che un linguaggio così banale e semplificante tenda a nascondere le cicatrici della politica, le motivazioni irrise, le esperienze traumatiche interiorizzate, l'ignoranza di se stessi, il bisogno di essere riconosciuti dal gruppo di appartenenza, la paura della diversità e della originalità che comportano il rischio della estraneazione ed emarginazione? E d'altra parte chi ha un'idea della politica come di gestione di ciò che accade, gestione accorta dei conflitti e delle diversità che già la realtà produce, perché mai dovrebbe cercare un di- - - --- - - - - -- 12 verso linguaggio? Un linguaggio diverso si cerca quando si 'sentono' contenuti non espressi, quando c'é un momento di riceerca, quando si vuole conoscere ed essere riconosciuti. In questo modo di fare politica conta più l'apparire che l'essere, l'immagine che la sostanza, il presenzialismo che non il lavoro quotidiano indispensabile per dare efficacia a qualunque progetto; premia di più la fedeltà e l'appartenenza ad uno schieramento, ad una cordata, ad un gruppo amicale, che non la realtà e la coerenza con i fini collettivi dichiarati. E la lotta per il potere è senza regole, le questioni di costume vengono derubricate ad instabilità psicologiche, l'etica si fa gioco di parole, la virtù non è più una virtù. A fronte di tutto ciò non sarebbe straordinario se organizzazioni sociali e politiche così segnate dai vizi della decadenza producessero poi un "fare politico" efficace, sensibile, anticipatore? Eppure non ci si può rassegnare. L'uomo senza politica è un uomo senza qualità, dimezzato, che magari s'è costruito altrove nicchie e privilegi. Il problema allora è: come riempire le sedi e gli strumenti della politica di voci e sogni e progetti, come invogliare la leadership a misurarsi con la ricchezza e la maturità dei bisogni dell'uomo moderno. Ed è, problema al quale ciascuno può dare una risposta: soprattutto debbono darla le organizzazioni.

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