.{)Jt BIANCO O(ltROSSO ''"''"""'' Tra l'etica e il fare politico di Rino Caviglioli Molte persone, impegnate nelle organizzazioni sociali e della politica, sono scontente, attraversate da un senso di sottile ma pervasivo disagio. Non vogliono rinunciare al lavoro collettivo, continuano a pensare che di lì passano speranze e processi reali. Cionondimeno registrano una divaricazione consistente tra le aspettative e gli investimenti personali (emotivi, professionali, culturali), e i progetti, la qualità della vita associativa: l'esperienza quotidiana s'impoverisce, il bisogno di significato si scioglie altrove. Taluni interpretano tale disagio con le categorie della psicologia, oppure con l'infiacchirsi di storie personali, con l'inevitabilità dei cicli storici. Può darsi, ma forse c'è dell'altro. Per questo vorrei provare a ragionare attorno a talune idee-guida che ispirano le leadership e contribuiscono così a definire costumi e clima interno delle organizzazioni. Anzi, poiché le motivazioni dei comportamenti delle leadership assai raramente sono esplicitate, proverò a risalire ad esse attraverso una riflessione sui costumi e sui comportamenti collettivi più ricorrenti. Gli atteggiamenti e le sceltedei "capi" rispondono ai fondamenti etici dell'agire personale e collettivo? Il leader dei nostri tempi è portato, quasi d'istinto, a scegliere il comportamento meno esposto. L'impopolarità e la solitudine dei doveri, i vincoli dell'imperativo categorico, la ricerca degli universali, vengono collocate agevolmente negli spazi delle velleità idealistiche. Opportunamente svalutata è quell'idea di coerenza che fa rimproverare: tu sei cambiato! Vale niente come accusa: ci cambiano la conoscenza, la scoperta degli altri e di ciò che è in noi. Dovremmo esseredefiniti dalla nascita, dall'eternità e per sempre, maschere, pietrificazione di cultura? Piuttosto c'é qui da domandarsi come mai le organizzazioni sono sempre di meno il luogo educativo dove l'esperienza cambia in meglio le persone. Ma ugualmente non significante è spessoconsiderata la ricerca di una coerenza tra i modi utilizzati per conquistare una collocazionedi potere ed i fini, gli obiettivi, i valori che legittimano l'esercizio di quel potere. Non è solo questione di verità o di igiene mentale: davvero si crede ancora, negli anni in cui l'informazione la fa più da padrona, di poter operare una simile scissione? Certo, un capo carismatico riesce ad esercitare un potere solitario, anche se con rischi non indifferenti: soprattutto il rischio che, al riparo del patos carismatico, si perpetuino pratiche e culturale vecchie, individuali e di gruppo, pronte a riemergere con la scomp,arsa dalla scena di quel capo. Ma più banalmente il carisma ò spesso sostituito dal paternalismo (so, ti spiego poco, ti proteggo, fidati di me) e dall'autoritarismo (so, non ti spiego, decido per te), e l'uno e l'altro indeboliscono le pratiche democratiche, collettive, e l'efficacia dell'organizzazione. In una logica siffatta le persone diventano strumenti, postazioni da conquistare, vengono ridotte alle loro opinioni politiche, (favorevoli o contrari, amici o nemici), ad un punto non significante e privo di spessore, se non attraverso le congiunzioni infinite che fanno la ragnatela del potere e della politica. L'individuo qui preso in considerazione è lo stesso oggetto delle cure del mercato: è l'individuo economico, centrato sull'interesse. Non la persona, cioè quel punto unico e irripetibile, quel precipitato di intelligenza e volontà che ha anche bisogni non economici, di cultura, di giustificazione, di senso, di affetti, di solidarietà. Coerentemente questa idea di eserciziodel potere e della politica, ignora i sentimenti e le emozioni. Come nelle migliori tradizioni dello scientismo, si finge naturale, asettica, nasconde i va-
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