Federazione europea e monopoli industriali Esaminando i problemi economico-politici dell'unità europea sorge spontanea la domanda: quali possibilità di crearsi, affermarsi e dominare avrebbero i monopoli industrialifinanziari in un'Europa federata? Quale peso essi potrebbero esercitare sul governo federale e sui singoli governi nazionali? Come l'uno e gli altri potrebbero o dovrebbero reagire? Le risposte non sono facili, ma qualche ipotesi si può azzardare. Sembra logico supporre che la formula «un unico mercato europeo, un'unica moneta europea» dovrebbe favorire le concentrazioni industriali sia verticali, trusts, sia orizzontali, cartelli. La possibilità di ridurre i costi di produzione attraverso la razionalizzazione e la specializzazione della produzione si estenderebbe dal campo tecnico e geografico nazionale a quello geografico europeo. Come è noto la migliore distribuzione e coordinazione delle unità produttrici si raggiunge appunto attraverso i trusts che sono in grado di seguire la produzione dalle fonti delle materie prime alle successive trasformazioni fino ai mercati di consumo o di impiego. E' da prevedere perciò che l'aumento dei trusts in Europa avverrebbe in funzione ed in proporzione della razionalizzazione e della specializzazione geografico-europea della produzione. Aumento notevoli~simo quando si pensi a quale irrazionale anb-eco- • nomica distribuzione geografica dell'industria in Europa hanno condotto le autarchie e le guerre. Contemporaneamente al processo di razionalizzazione tecnico-geografico i trusts stessi cercherebbero di accordarsi per regolare il volume della loro produzione in funzione del maggior profitto; essi assumerebbero cosi anche l'aspetto di cartelli. I grandi organismi economici hanno sempre dimostrato una spiccata capacità di sfruttare le più varie situazioni e condizioni politiche nazionali ed internazionali. Non sembra: quindi fuori luogo affermare che con l'avvento della Federazione europea si verificherebbe su ben più vasta scala una situazione analoga a quella che si verificò, in fatto di monopoli industriali, all'epoca della Conferenza di Locarno. In quegli an:p.i, oltre all'abbraccio fra Briand e Stresemann si ebbero molti altri abbracci fra quegli industriali che fino a pochi anni prima avevano fornito i mezzi coi quali i vari popoli si erano reciprocamente massacrati. Questi abbracci si chiamarono trusts e cartelli europei e si concretarono o cercarono di concretarsi in un aumento di dividendi per le aziende cosi associate. Al sorgere ed al consolidarsi nell'immediato dopoguerra di molti monopoli industriali nazionali fece seguito verso il 1926/27 la creazione di una serie di intese e monopoli europei. Basti ricordare quelli dell'acciaio (1926), della potassa (1926), dell'alluminio (1926), del rame (1926), della seta artificiale (1927), dei concimi superfosfatici (1926), di numerosi prodotti chimici (1928), delle rotaie (1926), dei tubi (1926), degli articoli smaltati (1926), delle lampadine (1924), dei pneumatici (1926), della colla (1926), ecc. ecc. - Altre situazioni di congiuntura faciliterebbero il sorgere di monopoli industriali europei nel momento più favorevole per la creazione della Federazione europea, quello cioè che seguirà alla fine delle ostilità. E' cosa nota che la formazione dei monopoli internazionali ha come presupposto necessario quello dell'esistenza di monopoli nazionali. Nel periodo che precedette questa guerra, durante la guerra stessa abbiàmo assistito in tutti i paesi al formarsi di concentrazioni monopolistiche nazionali su scala di gran lunga più vasta che durante la guerra 1914/18. Ed in proposito si ricordi che nel 1918 si contavano nella sola Inghilterra più di 500 importanti cartelli od accordi similari di recente formazione. I monopoli nazionali che l'attuale guerra ha ovunque aumentato sarebbero solide fondamenta su cui verrebbero costruiti, in un'Europa federata, monopoli europei. Non è neppure da escludere che le nazioni vincitrici cerchino di consolidare nel dopoguerra le posizioni di preminenza raggiunte dalle loro industrie, dominando finanziariamente quelle dei paesi vinti o devastati dal conflitto~ Le forme monopolistiche sarebbero lo strumento più adatto per la realizzazione di un tale programma. Certo in questo caso si passerebbe da monopoli europei a monopoli mondiali sul tipo di quello prebellico delle lampade ad incandescenza. Un indice di una tale politica si potrebbe forse intravedere nel costituendo monopolio mondiale dei petroli di cui ha parlato la stampa svizzera. Anche la mancanza di circolante sano e stabile di cui,· con ogni probabilità, soffriranno i paesi d'Europa, specie quelli vinti od invasi, all'indomani della guerra, favorirà il sorgere di trusts in Europa. Queste forme di concen- .trazioni verticali, come acutamente ha osservato il Dagnino, «hanno il vantaggio di esigere per il loro funzionamento una minore quantità di capitale finanziario e permettono l'eliminazione di molti rischi di congiuntura che si hanno nel passaggio del prodotto attraverso le varie fasi di lavorazione quando queste vengano compiute fra aziende fra loro indipendenti. L'ammortamento del rischio all'interno della azienda è elemento indispensabile di riuscita nei periodi in cui i prezzi subiscano continue variazioni.» Questa teoria ha trovato piena conferma nei concentramenti verificatisi nell'industria tedesca nel dopoguerra; ciò si rileva anche da un discorso di Stinnes, tenuto nel novembre del 1922 davanti al Reichstag. Concludendo queste previsioni sui monopoli nell'ormai non lontano dopoguerra e cercando di guardare dal punto di vista dell'argomento che stiamo trattando al momento storico-economico che viviamo e sopratutto a quello a cui andiamo incontro, ci viene spontaneo chiederci se essi non rappresentino l'avverarsi di quell'epoca economica che nel 1928 il Dagnino cosi prospettava: «Mentre le forze imperialiste vogliono ancora risolvare la situazione attraverso la conquista di nuovi mercati, mentre le forze socialiste vogliono risolverla attraverso un aumento dei salari reali, mentre le forze religiose e spirituali condannano la meccanizzazione crescente e propugnano un ritorno alla Terra, la plutocrazia europea tenta la stabilizzazione del suo potere e delle sue influenze attraverso le intese industriali ed i patti diplomatici di marca ginevrina. Siamo al vertice del capitalismo industriale, siamo nella fase dell'autocontrollo.» Se il sorgere di una Federazione europea coincide con questa fase di autocontrollo od anche soltanto con circostanze particolarmente favorevoli al sorgere di monopoli industriofinanziari europei, e, come abbiamo visto, questa supposizione sembra non sia da escludere, non è difficile prevedere quale influenza essi potrebbero esercitare sulla federazione. Su scala europea si potrebbe ripetere quanto è fino ad oggi avvenuto anche negli stati retti da costituzioni democratiche. L'influenza notevolissima che ebbe nella politica francese il «Comité des forges» e quella del partito degli industriali tedeschi, la Volkspartei, nella Germania di Weimar, sono esempi da non dimenticare. Fortunatamente la nuova democrazia europea ed in genere quei partiti di sinistra che dovrebbero essere l'anima ed il presidio della Europa federata hanno già esplicitamente affermato di rendersi conto di quale pericolo rappresenterebbero domani le coalizioni monopolistiche per la democrazia europea e per gli istituti che su di essa dovessero basarsi o da essa derivare. Uomini come De Gaulle, André Philippe, Benes, Lasky sono, per recenti affermazioni, nello stesso ordine di idee del labour party il quale afferma che «finché le cittadelle dei monopoli non saranno state occupate i popoli non disporranno di alcun potere per determinare il loro avvenire». Tenendo conto di questa precisa posizione delle forze progressiste vien naturale di chiedersi: con quali provvedimenti legislativi si potrebbe eliminare il pericolo che il monopolio economico prevalesse sulla democrazia, prevalesse cioè nella federazione e sulla federazione europea? E questi provvedimenti legislativi potrebbero rimanere di competenza dei singoli stati o dovrebbero essere di competenza della ·federazione? Non ci sembra, a quanto ci è dato di sapere, che il problema - a parte gli studi del Robbins - sia stato trattato in ragione della sua importanza. Non intendiamo farlo qui, che ci limiteren;.o ad accennare ad alcuni aspetti del problema che potrebbero divenire oggetti di discussione. Per cercare di rispondere realisticamente alla prima domanda che ci siamo posti è necessario richiamarsi ai provvedimenti anti-trust presi negli ultimi decenni da vari stati inEuropa edin America. Vi furono leggi intese a proibire il formarsi dei monopoli, altre che li misero sotto la sorveglianza dello stato, altre ancora che cercarono di porre dei calmieri ai prezzi delle merci prodotte dai monopoli. In certi casi lo stato cercò di rompere i monopoli creando, direttamente od indirettamente, dei gruppi ad essi concorrenti. Si può però affermare che in generale questi provvedimenti non raggiunsero gli scopi che si proponevano. Non esamineremo qui le cause del fallimento della politica antitrust1. Aggiungiamo però che, procedendo per eliminazione di rimedi dimostratisi inefficenti, molte correnti anche non socialiste in Italia e fuori convengono che la soluzione del problema dei monopoli industriali-finanziari si può raggiungere soltanto con la socializzazione o la nazionalizzazione dei monopoli stessi. Alle medesime conclusioni cui si è giunti per le leggi anti-trust di carattere nazionale, si perviene induttivamente quando si trasporti il problema su di un piano europeo. Ciò perché le ragioni dell'inefficenza di queste leggi risiedono nell'impossibilità pratica e tecnica di applicarle. Quindi è da prevedere che anche in un'Europa federata l'unica difesa contro i monopoli consisterebbe nel sottrarne la proprietà al capitale privato. Pure alla luce di un rapido esame non sembra che provvedimenti di nazionalizzazione o di socializzazione nei confronti di monopoli nazionali dipendenti o legati a monopoli europei potrebbero essere presi, ed anche se presi, essere efficaci, se ciò rimanesse di competenza dei singoli stati federati. Se uno stato della federazione procedesse alla socializzazione di un monopolio industriale 1 In proposito v. <Cenni e considerazioni sui monopoli industriali> - Utinam - Ed. Partito Socialista Svizzero. Biblioteca Gino 1anco nazionale aderente ad un'intesa europea od alla socializzazione sul suo territorio di organismi industriali dipendenti da un monopolio europeo è facile prevedere la reazione che proverrebbe dal monopolio rimasto, negli altri stati, in mano al capitale privato. Esso, per evitare di perdere la possibilità di imporre al mercato i suoi prezzi formati in funzione del massimo profitto, per evitare l'estendersi dei provvedimenti di socializzazione, ricorrerebbe a tutte le sue possibilità politiche, finanziarie, commerciali: soppressione del credito privato all'industria socializzata, vendite sotto costo nel mercato interno, dumping sugli eventuali mercati d'esportazione, campagne di s_tampa, ecc., ecc. Potrebbe un singolo governo di una nazione europea, senza ricorreré ad inamissibili barriere doganali, riuscire vittorioso in una simile lotta contro una coalizione industriale-finanziaria in piena efficenza in tutti gli altri stati d'Europa? Sembra più che naturale dubitarne fortemente. Ci pare quindi, guardando al problema in tutta la sua ampiezza e sulla scorta degli elementi di fatti cui si è accennato, che non sarebbe possibile affrontare vittoriosamente il compito della socializzazione dei gruppi monopolistici europei se rion su scala europea e da parte di un unico potere supernazionale quale il governo di una federazione europea. In relazione a questo nostro punto di vista, val la pena di ricordare che gia m passato, sotto l'egida della Società delle Nazioni, si tentarono di stabilire norme internazionali per regolare l'attività internazionale dei trusts. Ma ogni proposta fallì urtando contro la sovranità dei singoli stati. Infatti leggiamo nella risoluzione votata dalla Commissione per l'industria alla Conferenza économica internazionale riunitasi a Ginevra nel 1927 per iniziativa della Società delle Nazioni che: «La Conferenza ha riconosciuto che per ciò che riguarda le intese limitate ai produttori di un solo paese, appartiene ad ogni governo di regolare come gli conviene il loro funzionamento. Quanto alle intese internazionali è stato generalmente constatato che l'istituzione di una giurisdizione internazionale è impossibile di fronte alle divergenze esistenti tra le misure che i diversi stati hanno creduto di prendere al riguardo ed a causa delle obiezioni di ordine nazionale e costituzionale che il principio di tale istituzione suggerirebbe a numerosi stati.» Certo che la soluzione che,attraverso l'esame di qualche dato di fatto, abbiamo qui prospettata complica ulteriormente il problema della federazione europea. Ma il problema non può essere trascurato o peggio ignorato. Ignorarlo potrebbe rappresentare il pericolo di avviarsi ad una federazione ~uropea dominata dalle coalizioni finanziarie-industriali europee. Non avremmo certo in tal caso una federazione democratica. Utinam. Gliillizidelmovimenotoperaioitalianoin Svizzera CHIARIFICAZIONE Nel frattempo i compagni dell'Unione Socialista riprendevano la discussione sul problema, su quale base bisognaya impostare l'azione per raggiungere lo scopo prefisso. Una chiarificazione si era resa tanto più necessaria, in quanto l'Unione Sindacale Svizzera aveva deciso di rivedere; al suo congresso che doveva avere luogo nel 1900, gli statuti e sopprimere la dichiarazione di fede socialista in essi contenuta, il che non avrebbe più permesso all'Unione Socialista di fare parte di essa. L'esperienza aveva dimostrato che all'organizzazione degli immigrati italiani in Svizzera si opponevano difficoltà assai maggiori che non a quella degli operai residenti in Italia. Non era l'operaio specializzato, istruito, che emigrava in Svizzera, ma una massa incolta, proveniente per lo più dalla campagna, dove aveva vissuto sotto l'influsso del prete, dove non aveva potuto formarsi una vera esperienza di lotta politica ed· economica, sindacale, ampliare il proprio orizzonte e super-are il ristretto egoismo personale; essa non conosceva spesso neppure di nome l'organizzazione e ignorava il con<:etto della solidarietà sul quale quella si fonda. A questi lati negativi, nei rispetti dell'organizzazione, si aggiungeva, nella categoria professionale più importante, l'edile, la mobilità. «L'italiano ha in Svizzera una posizione precaria. Vinta oggi una battaglia a ·Berna, domani sarà forse costretto ad accettare. patti umilianti nell'Oberland o nel Ticino. Egli non sa se negli anni seguenti prenderà ancora la via della Svizzera o della Russia, o se si accontenterà di digiunare ad intervalli nella dolce patria.» (Vergnanini.) La mobilità dell'immigrante non permetteva che raramente agli organizzatori di influenzare sistematicamente per un periodo di tempo un po' lungo le medesime persone, unico metodo atto a formare una base di convinti e fedeli compagni. L'Unione Socialista poteva fare assegnamento solo sulla collaborazione degli immigrati stessi; mancava quella dell'elemento ,intellettuale, che un cosi grande contributo ha dato nei diversi paesi al movimento operaio ai suoi inizi. «La massa emigrante è nella sua massima parte ineducata alla vita politica; quindi, mentre in Italia abbiamo nei nostri circoli un elemento di studenti, operai colti e capaci, qui troviamo delle sezioni che sono costrette a vivere poveramente per la assoluta incapacità dei soci. (Vergnanini.) I criteri direttivi per l'azione socialista, quali essi venivano praticati nei paesi dell'Europa occidentale, e secondo i quali a) le organizzazioni sindacali dovevano organizzare la resistenza sul terreno economico, b) il partito la conquista dei poteri pubblici, non potevano evidentemente essere senz'altro applicati nel nostro caso. Gli immigranti si trovavano in una situazione intermedia: dovevano essi venire influenzati in rapporto al loro soggiorno in Italia, dato che vi potevano esercitare i diritti politici, e doveva quindi avere la propaganda un carattere politico? Oppure si doveva tenere conto solo del loro soggiorno in Svizzera e svolgere quindi una propaganda prevalentemente economica, in favore delle organizzazioni sindacali? L'esperien,za aveva dimostrato che gli inizianti del movimento avevano avuto ragione dando la preferenza all'azione sindacale. «In Italia la propaganda, fatta attivamente, dove più dove meno, frutta sempre qualche cosa. Si fonda il primo nucleo, poi, ove non manchi l'attività e l'energia dei pochi, il nucleo mano a mano s'aggrandisce, diventa forte, fà i muscoli e la carne nella battaglia quotidiana diretta contro il diretto nemico. Le elezioni politiche e amministrative, la partecipazione attiva alla vita pubblica, sviluppano l'energia dei compagni, ne destano l'entusiasmo, ne rendono agili e destre le forze: non manca il s~ccesso, piccolo in principio se vuolsi, ma che è sprone a successi maggiori.» (Serrati, Avvenire del Lavoratore, 1902, Nr. 132.) In Svizzera mancavano tutte le premesse per una azione politica degli immigrati italiani. Uno statuto, ela:borato da A. Cabrini e integrato da una serie di proposte di F. Cafassi, deduceva le necessarie conseguenze e fu. approvato a grande maggioranza al congresso di Zurigo dell'Unione-Socialista (19, 20, 21 maggio 1900). L'Unione Socialista usciva dall'Unione dei sindacati svizzeri e si separava completamen te dalle organizzazioni sindacali, che dovevano aderire a quella. L'Unione Socialista continuava ad esistere come organizzazione, aderiva però al Partito Socialista Italiano e cambiava il proprio nome in quello di «Federazione dei socialisti italiani in Svizzera - Partito Socialista Italiano». Compito principale della Federazione era quello di accostare le masse degli immigrati, sospingerle nelle organizzazioni di arti e mestieri e sviluppare nella coscienza degli immigrati stessi i germi depostivi dall'azione economica sino a formare dei socialisti; la Federazione doveva pertanto aiutare tutte quelle iniziative che ~vrebbe giudicato vantaggiose all'organizzazione degli emigranti, mettendosi anche alla testa delle medesime (segretariati d'emigrazione, ufficio di informazione, ecc.). Anche Vergnanini aveva rielaborato le proprie esperienze di cinque anni e presentò al congresso un suo nuovo programma. Egli respingeva ora recisamente l'azione politica, e l'azione economica non doveva limitarsi alla lotta di classe tra padroni e operai, ma doveva essere integrata da tutta una serie di istituzioni, come da un segretariato operaio a Berna, da cooperative di consumo e di lavoro, cucine e alberghi popolari, organismi culturali, che dovevano offrire agli operai dei vantaggi immediati ed elevare il loro tenore di vita. Per raggiungere questo scopo, le sezioni sindacali avrebbero dovuto federarsi a parte e costituire, insieme alle associazioni che accettavano quel programma, una «Unione operaia di lingua italiana». Le sezioni sindacali italiane dovevano naturalmente continuare a far parte dell'Unione sindacale svizzera e federarsi a parte solo per quanto riguardava la realizzazione di quello speciale programma. Un scettiscismo generale accolse il nuovo programma di Vergnanini, tuttavia il congresso lo approvò, affidando al suo ideatore l'incarico di provvedere alla realizzazione. Il ritorno di Vergnanini in Italia gli impedi anche solo di iniziare i lavori, esperienze cooperative posteriori hanno però dimostrato che quelle idee erano premature. Il congresso di Zurigo del 1900 dell'Unione Socialista chiude il primo periodo della nostra storia. Non crediamo di essere venuti meno al dovere dell'obbietività, ponendo al primo piano della narrazione il movimente socialista a scapito di quello anarchico e di quello sindacale. 11movimento anarchico, che fu stroncato con l'espulsione dei suoi principali esponenti 'dall'~zione ~oliziesca dopo l'assassinio dell'~peratr1ce Ehsabetta, si mostrò, nel suo dottrinarismo estremista, assolutamente incapace di recare un contributo positivo alla soluzione dei problemi concreti dell'immigrazione. Nel movimento sindacale, edile, furono compiuti sforzi not~voli p~r diffondere e rinforzare l'organizzazione, Sl fondarono nuove sezioni e si creò nel 1896 una federazione delle stesse che tenne . . , v~n congressi. Pure anche questo movimento s1 scontrava come l'Unione Socialista a delle gravi difficoltà, di cui però non si comprendeva ancora bene la natura che quindi non so potevano eliminare. E. Valar. Fine Redattore:ERICH VALAR ZURIBO Druck:OENOSSENSCHAFTSDRU 1CKEREI ZORICH
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