L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 18 - 30 settembre 1944

Bi Gli inizidelmovimentoperaioitalianoin Svizzera (Continuazione) L'anno 1898 La notizia dei sanguinosi disordini avvenuti in Italia nel maggio 1898 si diffuse come un baleno tra gli immigrati italiani, accompagnata da una sequela di fantasticherie di rivoluzioni, incendi e terribili massacri, e fece esplodere l'indignazione, contro il governo italiano, che da lungo tempo fermentava nella massa. Gli italiani di Zurigo, Lucerna, Losanna, Ginevra, Montreux e altre località abbandonavano in segno di protesta il lavoro e organizzarono dei grandi comizi. La concitazione delle masse, l'indignazione loro, rese più intense da notizie esagerate o false e da violenti discorsi di demagoghi, le predispose ad accogliere favorevolmente la proposta, fatta in diverse località, di ritornare in Italia ad aiutare i fratelli nella lotta per la libertà e l'uguaglianza, e a passare senz'altro alla realizzazione del progetto. La direzione del movimento sfuggì interamente alle mani dei socialisti; coloro tra essi che, come Tonazzi, Marzetto et Vergnanini, cercarono di opporsi, non furono ascoltati o fischiati. Vergnanini, alle prime notizie dei disordini in Italia, si era recato a Lugano, per orientarsi sulla situazione, e aveva inviato subito dei telegrammi in tutte le direzioni per arrestare la formazione delle bande; lo guidava tanto la comprensione dell'assurdità del tentativo quanto il senso di responsabilità di fronte alla Svizzera: «Primo dovere degli italiani era di non compromettere la Svizzera, interrompendo e disturbando con scioperi e cortei il corso normale della vita del paese, o creando alle sue autorità delle difficoltà per parte del governo italiano», con queste parole egli giustificò più tardi il suo atteggiamento. Gli si rispondeva: «Cosa importa a noi, se non possediamo armi, se ci manca un piano d'azione e un capo, se siamo privi di mezzi? Il nostro senso del dovere ci costringe a ritornare in Italia e dividere col popolo le difficoltà e i pericoli della lotta. La nostra causa è santa, qualcheduno ci aiuterà.» accettato il punto di vista del governo, non essere stati quegli italiani dei perseguitati politici, ma solo delle persone prive di mezzi di sussistenza, perché il governo sapeva bene che le autorità italiane le avrebbe punite appunto per la loro intenzione di ritornare in Italia e partecipare alla rivoluzione. Il governo avrebbe agito meglio se fosse intervenuto subito, agli inizi del movimento, seppure non gli si possa fare una colpa di questa trascuranza, perché non vi era nessun motivo per procedere contro dei dimostranti disarmati, innocui. Dal momento però che gli italiani erano arrivati nel Ticino, si sarebbero potuti internare nella Svizzera interna e prendere eventualmente più tardi degli altri provvedimenti contro di essi; l'accompagnamento militare al confine, la consegna alle autorità italiane furono un'inutile crudeltà. Diverse centinaia di compromessi si rifugiarono allora dall'Italia in !svizzera, tra i tanti notiamo: E. Caldara, futuro sindaco socialista di Milano, il filosofo G. Rensi, i giornalisti P. Premoli, G. B. Pirolini, Ernesto Re, E. Vercesi, il futuro deputato e ministro A. Labriola, lo storico e politico socialista Ettore Ciccotti, l' Avv. Beltrami, il Prof. Pizzorno, E. T. Moneta, futuro Premio Nobel per la pace, il deputato socialista Todeschini; nominiamo ancora sei persone che prenderanno parte attiva alla vita delle colonie italiane in !svizzera: Carlo Della Valle, F. Cafassi, Silvio Cattaneo, condannati ognuno in contumacia dal tribunale militare a 15 anni di reclusione, E. Ciacchi, G. Valar e il repubblicano Ing. Gerli. L' U n i o n e S o c i a I i s t a venne a trovarsi in una situazione assai difficile. Alcune sezioni avevano perduto una gran parte dei loro membri, partiti con le bande, e dovettero cessare ogni attività; la presenza dei profughi sussidiare i reduci; anche la cassa centrale era deficitaria. Più gravi furono le conseguenze politiche: la presenza dei profughi politici richiamò, più che non accadesse nel passato, l'attenzione della polizia italiana sul1' U n i o n e S o ci a 1 i s t a ; indusse quella a perseguitare e a discreditare questa, a fare spiare i suoi dirigenti, e l'attività degli agenti provocatori italiani fece sorgere tra i compagni quell'atmosfera di diffidenza e sospetto, che è una triste accompagnatrice di ogni emigrazione politica, contribuendo cosi anche a menomare presso le autorità e il gran pubblico svizzero il buon nome e il credito dell'Unione. In Ginevra, il 16 luglio 1898 uno sciopero dei falegnami si ampliava in uno sciopero generale degli edili, nel corso del quale Si Note ,sulla verificarono i soliti incidenti: gli scioperanti cercarono di scacciare dei crumiri dai loro posti di lavoro, intervenne la polizia che fu anch'essa fatta oggetto di violenze, e allora le autorità civili credettero di dover fare appello all'esercito. Lo sciopero cessò il 21 luglio con la sconfitta degli operai. Il fatto, accaduto nel pieno della stagione estiva, preoccupò molto la borghesia ginevrina che temeva che gli stranieri potessero evitare la città minacciata dalla «rivoluzione», ed i suoi giornali non mancarono di condurre una campagna allarmista in grande stile contro gli operai. L'opposizione non si lasciò sfuggire l'occasione di criticare aspramente il governo, per la scarsa energia che egli avrebbe dimostrato nella repressione, e il governo a sua volta pensò bene di scaricare tutta la colpa sulle spalle degli italiani; il circolo socialista fu chiuso, Vergnanini e Marzetto espulsi, e ad alcuni profughi, tra gli altri A. Labriola ed E. Ciccotti, considerati come i «commessi viaggiatori della rivoluzione», fu rifiutato il permesso di soggiorno. Le discussioni e i deliberati del II congresso dell'Unione (31 luglio e 1 agosto 1898) rispecchiano le difficoltà e le preoccupazioni create da questi avvenimenti. Il congresso decise, per rafforzare la posizione dell'Unione di fronte alle autorità locali, di aderire alla Unione dei sindacati svizzeri, ben vista dal governo svizzero; che bisognava, in avvenire, essere più severi nell'accettare nuovi aderenti e di vigilare a che sezioni e iscritti si attenessero più rigorosamente agli statuti e ai principi del partito: di inviare ai giornali e ad alcune associazioni svizzere una dichiarazione, per spiegare gli scopi dell'Unione e distanziarsi dall'attività dei provocatori. Infine gli organi dirigenti dell'Unione furono riformati: si istituì una Commissione Esecutiva, il cui Segretario era anche segretario dell'organizzazione; la prima C. E. si componeva di E. Ciacchi, segretario, Rondani, Speroni, Jotti e Travaglini. L'assassinio dell'imperatrice Elisabetta, avvenuto per mano dell'anarchico Lucchini il 10 settembre 1898, fu l'ultimo colpo, ma anche il più grave. Il governo svizzero prese dei provvedimenti severi, senza distinguere troppo per il sottile, applicandoli, tra socialisti e anarchici. In Neuchatel fu proibito l'Agita - t o'r e, che aveva cercato di giustificare l'assassinio, chiusa la tipografia in cui si stampàva detto giornale, un gran numero di anarchici espulso. Il Dipartimento degli interni emanò delle direttive per regolare l'attività politica degli stranieri, e allorché I 1 Soci a 1 i sta pubblicò un appello firmato dalla Commissione Esecutica contro le misure reazionarie del ministero Pelloux, la C. E. fu senza tanti complimenti espulsa. E. V a 1 a r. ( continuazione) socialità La banda più importante, o almeno quella che più fece parlare di sè, fu quella organizzata a Losanna sotto la direzione del Peduzzi. Dopo una distribuzione di manifestini ed alcuni comizi, in uno dei quali fu data lettura di un telegramma, secondo il quale Torino stava in fiamme, nel pomeriggio dell'11 maggio alcune centinaia di italiani partivano col treno per ritornare in patria. L'itinerario prescelto non era il più diretto, si voleva fare un giro e toccare diverse importanti località per indurre altri italiani a partecipare all'azione. La banda si recò via Vevey a Montreux, quindi via Chexbres e Friburgo a Berna, dove il 12 maggio erano raccolte circa 500 persone. Il 13 la banda proseguì per Lucerna, dove si avrebbe dovuto raccogliere il denaro per continuare il viaggio. A Lucerna una parte dei partecipanti rinunciò, i rimanenti proseguirono il 14 per il Ticino, dove arrivarono nel pomeriggio. Numerosi e forti contingenti di italiani erano giunti H giorno prima in treno a Lugano, provenienti dalla Svizzera tedesca. La maggior parte dei volontari erano disarmati, solo pochi di essi possedevano delle vecchie pistole. In Lugano i componenti delle bande si incontrarono con i profughi politici che arrivavano dall'Italia e che cercarono di convincerli dell'inutilità del loro sacrificio. Per parte loro anche le autorità ticinesi avevano preso i provvedimenti del caso. Vergnanini, ritenuto in un primo -momento responsabile di tutto, fu arrestato, venne però più tardi rilasciato; le truppe erano state messe a pichetto, i funzionari cercarono di convincere gli avventurosi a rinunciare all'impresa. Nessuno poteva uscire dalla stazione, coloro che si dichiararono disposti a rinunciare all'avventura, e furono i più, poterono servirsi del primo treno in direzione del Gottardo per ritornare nei paesi di provenienza; coloro però che vollero ad ogni costo proseguire, furono, per ordine del governo federale, accompagnati da soldati svizzeri fino al confine, per essere dall'altra parte ricevuti, vale a dire arrestati, dalle autorità italiane. (continuazione prima pagina) Anche in Ginevra si era organizzata una simile banda di italiani, forte di 150 persone, che volevano recarsi in Italia attraversando il Sempione; essa raggiunse l'ospizio e proseguì nella direzione prestabilita, non però in formazione chiusa, ma divisa in piccoli gruppi, che furono fermati ad !selle dalle autorità italiane. Alcuni dei «consegnati» furono condannati più tardi dai tribunali italiani a pene varianti dai 6 ai 18 mesi di reclusione. L'avventura si conchiuse con l'organizzazione per parte della Unione sindacale svizzera di un treno speciale che ricondusse a Zurigo un certo numero di componenti delle «bande», rimasti nel Ticino interamente privi di mezzi. L'avventura delle bande, che per la sua ingenuità si sottrae ad ogni critica, ebbe una viva ripercussione nell'opinione pubblica svizzera per la procedura seguita dalle autorità svizzera al confine, che fu vivamente criticata dagli esponenti politici e dai giornali dei socialist~ e della borgh(i . Non poteva s~ere a nuovo attimo e una nuova invenzione non agirà a colare in altre forme un'altra esperienza del Prossimo. 5. Una disgrazia ha ucciso un nostro compagno. Tornavamo dal lavoro: ho veduto un gruppo di donne con le braccia tese. C'era un grande sole di mezzogiorno. Il pesante camion che era passato sul corpo del nostro compagno era fermo sullo stradone. Un gruppo compatto levava alto il ferito, due mani gli sostenevano la testa. Intorno, mentre il gruppo passava, gli uomini immobili, le ombre nette e i visi acuti delle donne. Poi si torceva, il ventre sbranato, rosso. E' morto nel pomeriggio. I più vecchi piangevano. Ma non é stato l'orrore di quella morte a scoprirci eguali, e nemmeno quel segno indelebile, la striscia della frenata sull'asfalto, lunghissima, dove nessuno pone il piede, quando si esce sulla via. Bensi un pensiero più anipio, che era in tu,tti, anche nei più induriti, anche in coloro che nei campi della fame avevano veduto ogni giorno morire a diecine i propri compagni: quel sangue e quel corpo, ogni giorno la guerra ne riproduceva innumerevoli. Cosi noi moriamo, altri i confini. Cosi il nostro presente si impoverisce, orecchi che ci potevano ascoltare durante il nostro transito si chiudono, bocche che potevano parlarci si ammutoliscono. «On meurt comme ça», dicevano. Che vuol dire: «I ta moritur homo.» E la sera medesinia, una notizia della Radio non doveva scaraventare in una pazza allegria tutta quella folla? Uno ad uno emergevano quei visi dall'indistinto in quella gioia, in una speranza violenta, la fine della guerra, la fine della pena comune. Il com,pagno era dimenticato, se non per dire «non ha potuto avere questa gio'ia». Da quel giorno ho cominciato a riconoscere qualcuno. 6. S'accoppiano l'uomo e la donna: e la loro solidarietà é correità mascherala di passione, cioé di giuslifiwzione naturale. Paradiso perduto! La penetrazione fisica simula la scintilla sociale; e l'amore ben imitalo sazia gli amanti di solitudine e di angoscia e si corrompe in peccato. S'uni. cono gli uomini per volontà di potenza: e la loro solidarietà é correità mascherata di passione, cioé di giustificazione naturale. Paradiso perduto! La contiguità delta mischia siCQ mula la scintilla sociale; e la libertà ben imitata sazia i partitanti di solitudine e di angoscia e si corrompe in servitù. Si contenta l'uom,o delle anime che porta in sé e le addormenta: e la loro solidarietà é correità mascherata col bisogno di felicità, cioé di giustificazione naturale. Paradiso perduto! La sonnolenza dei contrari simula la scintilla sociale (il primo Prossimo é se stesso); e la vita ben imitata sazia l'uomo di solitudine e di angoscia e si corrompe in morte. 7. E' molto più comodo e spiccio e «positivo» ragionar per categorie che pretendono a concrete e sono astrattissime: i cinesi, i preti, i proletari, le donne, i soldati ... Avete mai sentito come si dice: «Le donne»? Questi collettivi son molto meno imbarazzanti di una JJersona che ti sta di fronte e ti guarda e tu sai che la sua più profonda realtà é una domanda cl' amore identica a quella che porti chiusa entro di te! La 11rova: chi adopera gli uomini come strunienti - il Capo - sente la necessità di vestirli di una uniforme; chi vuol eccitare alla violenzri cerca anzitutto di far dubitare della umanità dei nemici. «Sono pazzi», si dirà, «sono saraceni», «sono borghesi», «sono tedeschi», «sono ebrei» ... Quanti fra coloro che cosi agiscono e fanno agire si rendon conto che il solo fine che giustifichi e coonesti lotta, violenza, e sangue é la nostra esigenza di libertà ver la quale noi vogliamo distruggere nell'avversario provrio qitelle determinazioni collettive che ci impediscono l'accesso al rapvorto sociale (umano) e che ritorcono contro la nostra medesima umanità. Non siamo infatti rossi se non perché vi son dei negri, né greci se non vi f assero barbari, né vroletari quando non esistesse un regime capitalista. L'uni[ orme dei nemici ci schiera in un esercito - uniforme ttnch'esso. Ma dunque ogni ravporto umano e sociale nel quale si scopra il vrossimo e l'avversario come collciboratore, anzi come parte di noi stessi cui non é possibile rinunciare se non facendo rinuncia di una parte di noi stessi, si celebra solo in nome ed in presenza di un Terzo Elemento, capace di far precipitare la soluzione - e lo chiamino i filosofi come credono. Cosi la «solitudine in due» degli amanti é davvero trista solitudine. E non é più un voradosso dire che ogni vero, o possibile, amore lo si fa in tre. (F. F.) Democrazia di Partito ( continuazione prima pagina) Da queste considerazioni deriva anche come immediato corollario che in seno al partito meritano di essere difese e tutelate le minoranze, cui non può in nessun modo essere disconosciuto il diritto di critica ( critica che, nel campo della stampa, può ad esempio trovar posto nei giornali di provincia, in contrapposizione eventualmente agli ufficiosi fogli nazionali del partito), restando però sempre fermo il principio dell'unità di azione, per cui il militante, come il cittadino di fronte alla legge, non può rifiutarsi di agire nel campo della politica attiva in armonia con le decisioni prese dai competenti organi. E' evidente infine che, nel campo politico, alla democrazia rappresentativa, che si attua attraverso deleghe dei singoli ai propri rappresentanti, è preferibile, nei casi in cui essa sia realizzabile, la democrazia diretta, nella quale il cittadino è personalmente interpellato per la soluzione del singolo problema, senza che si interponga la persona del rappresentante autorizzato. Anche questo sistema di più concreta democrazia in molte circostanze può e deve pertanto trovare attuazione in seno ai partiti politici, prima che possa essere applicato allo Stato, cui gli esperimenti nuovi e improvvisati possono riuscire facilmente dannosi. Se fino ad ora si è parlato di regole politiche da imporre ai partiti, non è però, che con questo si voglia sopravvalutare l'importanza delle norme, come se da esse tutto dipendesse. Ogni regola, che si voglia stabilire a priori, ha sempre un valore relativo, perché in ogni circostanza il primato spetta al costume. Può esistere una democrazia astratta e formale dello statuto di fronte a una realtà antidemocratica (gli esempi pur troppo abbondano!), come può esistere una democrazia concreta ed operante, anche senza l'ausilio di norme statutarie. Per questo il problema dei partiti rientra, come è inevitabile, nel più vasto problema dell'educazione politica. Solo se democraticamente organizzato e contemporaneamente fedele nello spirito alla propria organizzazione democratica, il partito politico potrà domani conquistarsi la fiducia delle masse, e vincere la diffidenza e lo scetticismo di un popolo, il quale, dopo aver assistito alla non gloriosa fine della classe dirigente prefascista e al vergonoso crollo dei gerarchi del littorio, ha perso la fiducia nelle classi dirigenti in genere, ed è propenso a vedere (e dopo tante delusioni non gli si possono dare tutti i torti) negli «uomini politici» degli ambiziosi senza fede, che vanno in cerca dei posti di governo, servendosi dei partiti come di uno strumento della loro sete di dominio, e che alla fine, qualunque sia il loro colore, giungono sempre ad equivalersi, perché l'esercizio del potere rivelerà che la loro fondamentale preoccupazione non è quella di servire il popolo, ma quella di conquistare delle posizioni personali. Il sentimento del popolo italiano non può riassumersi semplicemente nel disprezzo per la classe dirigente fascista, ma è improntato ad un più vasto e profondo pessimismo politico, che oggi si nota purtroppo assai sovente perfino negli animi di quegli oscuri eroi, che quotidianamente cadono nella lotta per la libertà. E' per questo che solo partiti realmente democratici, la cui organizzazione appaia chiaramente alle masse non come Io strumento di dominio di nuove «élites», ma come l'espressione della volontà e della fiducia del popolo, possono ridare vita allo spirito pubblico, e trasformare l'apatia popolare in cosciente e appassionato interessamento, in un clima di rinnovata educazione politica. V'è chi pensa, per un eccesso di pessimismo ( per non parlare di chi sia in malafede), che i partiti di sinistra potrebbero domani, dando prova di insensibilità morale, adottare l'opposto sistema, e rimediare perciò alla mancanza di quella cosciente e attiva partecipazione delle masse, che solo un partito realmente democratico può ispirare, con i saturnali della mistica fraseologica, la quale al servizio delle oligarchie sollecita sempre i meno chiari tra gli istinti umani. In una tale ipotesi si potrebbe forse attuare Io stesso - per quanto vi sia da dubitarne - una rivoluzione di sinistra; ma si arriverebbe alla dittatura di una minoranza, non a sufficienza selezionata, né dal lato intellettuale né da quello morale, sopra un popolo sempre avvilito, cui le riforme verrebbero donate dall'alto, per decreto legge, in un regime di servitù e di ottusità spirituale. Questo non deve e non può essere il destino del popolo italiano, il quale ha in sé le energie, per riprendere con Iena l'interrotto cammino e riconquistare il terreno perduto, se guidato e sorretto da classi dirigenti, che del loro nome si mostrino veramente degne. Tale deve essere e sarà certamente la classe politica socialista, la quale dagli altri partiti di massa attende e spera lo stesso spirito di comprensione per la vera democrazia popolare. Né questa idea democratica potrà fare a meno di affermarsi, anche contro eventuali tendenze contrarie, perché un ideale politico, se ha veramente un valore concreto ed attuale, deve infallibilmente trionfare, trascendendo e superando gli eventuali erronei atteggiamenti dei singoli, fossero magari essi in un dato momento anche alla testa dei partiti. pre. gi. ,..

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