Bib Socialisti E' trascorso ormai quasi un secolo, da quando uno dei più caratteristici rappresentanti del socialismo utopistico francese, e precisamente il Cabet, si assumeva, nel suo «Il Vero Cristianesimo secondo Gesù Cristo» (1846), il non facile compito di dimostrare che il comunismo era un motivo essenziale dello spirito del cristianesimo, e giungeva fino a rivolgere ai credenti il patetico appello: «Voi che riconoscete in Gesù Cristo un Dio, come potete esitare un sol momento a adottare, a seguire, a diffondere il comunismo?» L'antistoricità di una simile posizione non ha bisogno oggi di essere dimostrata; giacché si può capire come potesse predicare astrattamente il comunismo, più di duemila anni or sono, un Platone, il quale, pur compiacendosi della sua utopia, era però lontano le mille miglia dal voler riformare in base ad essa la società; ma è intuitivo come non potessero pensare al comunismo i rappresentanti di una corrente religiosa rivoluzionaria, che intendeva riformare realmente il mondo, e che pertanto doveva adeguarsi alla realtà sociale del proprio tempo, e non immaginare delle forme economico-sociali, che non avrebbero avuto alcuna possibilità di svilupparsi da quella società greco-romana, in seno alla quale essi vivevano. In realtà i padri della Chiesa, adattandosi, come era necessario, al sistema della proprietà romana, che non era in loro potere distruggere, formularono una dottrina tben lontana dal comunismo: e cioè la dottrina, secondo cui il ricco, il quale deve la sua fortuna non già ai propri meriti, ma a Dio, si rende degno della grazia divina, solo se fa delle sue ricchezze un uso cristiano; solo cioè se mette a disposizione dei poveri, a mezzo della Chiesa, tutto il superfluo. La quale dottrina rappresenta certo il massimo sforzo, che si potesse fare in quel momento storico, per mitigare l'asprezza delle disparità sociali. Tale doveva rimanere nei suoi principi fondamentali la tesi cristiania anche durante il medio-evo, giacché la Chiesa, che pur rappresentò allora senza dubbio il massimo elemento propulsore della civiltà, non si trovò mai di fronte a condizioni sociali che legittimassero una sua diversa e più radicale presa di posizione nei riguardi della proprietà; e il pensiero cli S. Tomaso, quindi, che riassume e conclude il medio-evo cristiano, è un più dotto e più umano approfondimento degli stessi principi dei padri della Chiesa. Questa posizione, se è vero che è lungi dal potersi identificare col comunismo (o socialismo che dir si voglia), non è però con esso in irrimediabile opposizione, in quanto la proprietà privata non è considerata come un'inalienabile diritto dell'uomo, ma come un istituto da cui si deve trarre il massimo beneficio per la collettività, e che quindi, teoricamente, potrebbe andar soggetto a qualunque sviluppo in senso pubblicistico. * Dal medio-evo in poi, nel campo della cosidetta questione sociale, la Chiesa non ha più mutato sostanzialmente la propria posizione: la sua dottrina ufficiale è rimasta quella di S. Tomaso, e nella prassi essa ha sempre accettato in questo campo le successive soluzioni adottate dal potere statale. Questo arresto dell'elaborazione dottrinale risponde d'altra parte al generale atteggiamento assunto dalla Chiesa dal Rinascimento in poi, da quando cioè si è affermato l'indirizzo laico del pensiero. Da allora infatti la Chiesa ha perso la funzione di promotrice delle nuove energie spirituali, e si è perciò sempre più consolidato il suo atteggiamento di forza conservatrice in seno alla società. Questo spiega anche come essa si sia opposta, nel momento del loro sorgere, a tutte le tendenze decisamente innovatrici; ed è cosi che la filosofia moderna, impersonata in Giordano Bruno, e la nuova scienza sperimentale, impersonata in Galilei, sono state da essa, al loro sorgere, aspramente combattute; come del pari, nel campo politico, grandi movimenti di rinnovamento, quali la rivoluzione francese e il risorgimento italiano, dovevano trovare la Chiesa tra le forze schierate nel campo avverso, quando si presentarono alla ribalta della storia. La Chiesa, in relazione alla missione universale di cui si ritiene depositaria, considera che il progresso nella via della verità dovrebbe attuarsi tramite suo; ed è per questo che non può nascondere la propria diffidenza di fronte a tutti i movimenti cli rinnovazione spirituale, o anche più specificamente sociale, che sorgono al cli fuori della sfera da essa controllata, e cli cui pertanto non può prevedere le conseguenze, che potrebbero anche pregiudicare gravemente i suoi fini spirituali o temporali. Qui sta perciò la radice del suo conservatorismo, che la induce a guardare con maggiore fiducia agli ordinamenti esistenti, cli cui essa già conosce la natura - per l'esperienza fattane durante il corso del tempo - e dai quali pertanto sa di non aver più a temere ingrate sorprese, dopo un primo periodo di acclimatamento, dedicato a smussare gli angoli con il maggiore spirito cli accomodamento possibile. M81 una volta che,,un movimento ,!:lisia deffuitiv;a.Qn e a.fferm~to, e si uvela CO e e cristiani una forza insopprimibile della società, la Chiesa, in nome di quello stesso conservatorismo, che in un primo momento l'ha spinta a schierarsi dalla parte opposta, cerca, nel proprio interesse, la conciliazione con le nuove forze: il che le riesce naturalmente più facile nel campo politico e in, quello economico-sociale, dove essa non ha mai enunciato principi dogmatici immutabili, ,che non nel campo del puro pensiero speculativo, ove essa è sempre presente con il suo edificio dogmatico. Cosi la Chiesa, se non ha mai potuto accettare Spinoza o Voltaire, ha finito invece per conciliarsi con la rivoluzione francese, e per accettare da essa, tra l'altro, anche la nazionalizzazione dei beni del clero, come ha finito per conciliarsi con il regno d'Italia, e per rassegnarsi con ciò alla fine del dominio temporale. Del resto diciannove secoli e mezzo di storia dimostrano la sua capacità cli addattamento. Solo ad un patto non riesce possibile nessuna specie di conciliazione tra la Chiesa e le forze concorrenti: quando cioè venga opposto dogma a dogma, e il movimento politico-spirituale, che le si contrappone, consideri l'annientamento della Chiesa stessa quale imprescindibile condizione a priori del proprio successo, come è il caso ad esempio della Rebbublica di Robespierre (ma non di quella del Direttorio) o dei Sovieti di Lenin e di Trotzky (ma non - probabilmente - cli quelli di Stalin). * Se consideriamo obbiettivamente quello che sarà, secondo ogni logica previsione, il movimento socialista di domani, non si può fare a meno cli pensare che esso dovrà costituire una forza cosi viva della società, una forza cosi inevitabilmente insopprimibile, che la Chiesa, alla luce del suo stesso conservatorismo, sarà consigliata a non assumere di fronte ad esso una decisa posizione di battaglia, come le era permesso di fare invece nei tempi in cui il socialismo poteva ancora considerarsi una forza della quale i regimi borghesi dominanti - con cui la Chiesa si trovava in rapporti più o meno normali - potevano sperare di avere ragione. La Chiesa insomma, in previsione della inevitabile affermazione, totale o parziale, del socialismo, dovrebbe essere disposta a intrattenere con esso rapporti cli mutuo rispetto. Posto che questo sarebbe il generico interesse della Chiesa, in relazione al rilievo politico, che avrà inevitabilmente domani il movimento socialista, sta a vedere però se i principi fondamentali del socialismo non vadano annoverati fra quelli, che si trovano in posizione di assoluta inconciliabilità con la dottrina della Chiesa; ché, se cosi fosse, nessun «modus vivendi» sarebbe mai raggiungibile. Ma un breve esame è sufficiente per dimostrare che questa inconciliabilità non esiste. Infatti la socializzazione dei mezzi cli produzione, che è la basilare riforma che il socialismo si propone, non si trova in contrasto con nessun dogma sul quale la Chiesa non, possa transigere, e in fondo non rappresenta che l'adattamento alle condizioni della società moderna di quelle stesse esigenze spirituali, che avevano portato nel medio-evo i padri e i dottori della Chiesa alla formulazione della loro dottrina della proprietà. La Chiesa ha dato prova, durante il corso dei secoli, cli sapersi adattare - bon gré, mal gré - a tante trasformazioni sociali promosse dai governi, che non si può certo pensare che questo sarà lo scoglio insuperabile, contro il quale si arenerà la sua capacità cli adattamento; nè d'altra parte oggi le ricchezze della Chiesa, specie in Italia, sono tali, da dover indurre di necessità le gerarchie ecclesiastiche ad assumere un atteggiamento di inconciliabile avversione nei riguardi della riforma socialista. D'altronde il socialismo è un movimento puramente politico, e non è affatto l'espressione cli alcuna particolare dottrina filosofica, i cui principi affermino la necessità della guerra contro la religione. Sono passati i tempi in cui si credeva di dover identificare il socialismo con la dottrina del cosidetto materialismo storico; e dal canto suo lo stesso materialismo storico si è umanizzato, rivelandosi, nella interpretazione, dei più addottrinati socialisti, come la dottrina che st8'bilisce semplicemente, una volta per sempre, il grande peso esercitato dalle condizioni economiche sullo sviluppo della società, e nqn già come una filosofia vera e propria, che possa risolvere tutti i problemi dello spirito, e debba, in nome di un mal inteso «materialismo», dichiarare la guerra a tutti i cosidetti «idealismi» e in particolare alla religione. Lo spirito democratico che anima oggi il socialismo, garantendo la più assoluta libertà di pensiero, garantisce anche quella libertà religiosa, che ne è un immediato corollario. Né l'insegnamento aconfessionale o il divorzio, che vigono da tempo in quasi tutti gli stati civili, anche a popolazione prevalentemente cattolica, potrebbero certo costituire le cause cli un irreparabile dissidio tra Chiesa e socialismo, tanto più che non il solo partito socialista, ma tutti i partiti italiani non confessionali sembrano d'accordo su queste riforme. Una volta stabiliti questi principi, non si può aturalmente escludere a priori che domani, tra Chiesa e socialismo, possano crearsi lo stesso dei gravissimi dissidi, giacchè il corso della storia futura non è mai esattamente determinabile. Ma, posta l'inesistenza di una irrimediabile inconciliabilità tra queste due forze spirituali, che pure perseguono due fini nettamente distinti, e posto il probabile interesse della Chiesa a non cercare per prima l'aperta lotta contro il socialismo, se ne possono trarre, per i socialisti, consigli di prudenza e di moderazione politica. Si tratta cli non attaccare, come in altri momenti, la Chiesa, per il semplice gusto del vecchio e gretto anticlericalismo, nè per ossequio a certi principi pseudofilosofici, che dovrebbero ormai aver fatto il loro tempo. Si tratta h1somma di non volere andare a cercare la lotta, e di accettarla serenamente, solo nel caso in, cui dovessero essere messe in pericolo le basi stesse del movimento socialista. Chè, una lotta acerba e spietata, che fosse da noi voluta in nome cli principi, la cui giustizia non si imponesse chiaramente alla grande maggioranza delle coscienze, potrebbe avere conseguenze funeste non solo per la Chiesa, che verrebbe certo a perdere in ogni maniera una notevole parte del suo prestigio, ma purtroppo anche per il socialismo. Il quale, messo al bando dalla Chiesa, costretto a combattere in un'atmosfera carica cli odio contro le tradizioni della grande maggioranza della popolazione, privato del voto di tutti coloro che subiscano una sia pur lontana influenza chiesastica, vedrebbe ingigantire cli fronte a sè le difficoltà dei propri compiti. Da ciò trarrebbe profitto la reazione borghese, la quale non ha certo bisogno (Hitler insegni!) dell'appoggio della Chiesa, come credono i volterriani impenitenti, per perseguire i suoi programmi. Non solo, come abbiamo ora dimostrato, il socialismo può e deve evitare, se non provocato, una lotta con la Chiesa; ma esso deve anche convogliare nel suo seno, tra le altre forze vive, quelle forze sinceramente cristiane, che ad esso si indirizzassero. I socialisti di oggi sono marxisti, in quanto hanno piena coscienza che ciò, che nel pensiero di Marx è veramente eterno, costituisce l'indispensabile motivo animatore dei partiti proletari; ed è a questa parte sostanziale del suo pensiero, la quale non costituisce, come già sappiamo, un sistema filosofico, nè tanto meno un edificio dogmatico, che essi restano fedeli. Dato questo presupposto, è chiaro che nel partito socialista vi è luogo per tutti coloro che credono nella rivoluzione sociale, da realizzarsi sotto l'incomprimibile spinta delle masse proletarie, siano essi, in filosofia, degli idealisti o dei pragmatisti, siano essi dei marxisti sedicenti ortodossi, o anche infine dei cristiani, che vogliono rivivere nel loro animo ciò che di eterno possiede il messaggio evangelico. Pensare a una diametrale opposizione cli termini tra il pensiero socialista e l'indirizzo di pensiero cristiano, che portò duemila anni fà una nuova parola alla civiltà occidentale, sarebbe un'ingenua assurdità storica. Infatti è la rivoluzione cristiana che ha preparato, come tale, il mondo moderno, e senza di essa non sarebbero stati spiegabili nè il rinascimento nè la rivoluzione francese, che hanno potuto sorgere su un terreno già da essa elaborato; nè oggi sarebbe spiegabile il socialismo stesso, che è insieme erede e continuatore del pensiero antico e della rivoluzione cristiana, del rinascimento e della rivoluzione illuministica. Quindi anche quel profondo sentimento di fratellanza evangelica e di elevazione morale, che il genuino spirito cristiano (da non confondere con il politicantismo pseudo-cristiano) alimenta negli animi, può e deve essere una forza, da convogliarsi, tra le altre, ai fini del socialismo. . Se distinguiamo a mo' di esempio i cristiani, come fa lo scrittore cattolico francese Jacques Maritain, in «credenti evangelici» (che danno valore principalmente alle energie spirituali) e «credenti politici» (che danno valore principalmente alle istituzioni temporali), dobbiamo credere che i primi siano spiritualmente più vicini al socialismo che ai partiti di conservazione borghese, a tinta confessionale cristiana, i quali esprimono invece esattamente la mentalità dei secondi. Il dichlarare, in omaggio a superati preconcetti, una inconciliabile incompatibilità tra socialismo e genuino spirito cristiano (pur professando la compatibilità in seno alla stessa società della Chiesa e del movimento socialista), il voler vedere ad ogni costo nel cristiano un vile ed un rinunciatario, che si deve fatalmente piegare ai fini della reazione, per congenita incapacità cli attribuire il dovuto valore alla vita terrena, significherebbe, da un lato attaccare apertamente la Chiesa - la quale dello spirito cristiano si considera depositaria - in nome cli un principio che trova proprio nella vita quotidiana la sue smentite (accanto ai tanti don Abbondi, si trovano pur sempre, anche se meno frequenti, i Fra Cristofori !) ; e, dall'altro, significherebbe gettare i cristiani evangelici», insultati e respinti, nelle braccia dei «cristiani politici», che se ne servirebbero come strumento cli propaganda per fini reazionari. Sarebbe insomma questa una maniera cli fare entrare dalla finestra la lotta tra Chiesa e socialismo, appena cacciata per la porta, e cli rinunciare senza motivo alla collaborazione cli elementi, che potrebbero cooperare al successo del movimento socialista. pre. gi. Il pensiero federalista di C. Cattaneo (Continuazione da pag. 3) mento, non s'era sentito di entrarvi, nel raccontare alla moglie che, a quanto sembrava, il Ministero Rattazzi si sarebbe messo sotto la protezione della Sinistra, la quale rappresentava « veramente la maggioranza della nazione», e che « tutte le consorterie» erano « in gran decadimento», aggiungeva: « le idee federali prendono forza; e alla testa di questo movimento è Torino. Si può dire che il rinnovamento dell'Italia comincia adesso »; ed il giorno appresso ripeteva: « ... si può dire che il Piemonte, per sentimento cli vendetta, aspira alla repubblica. Insomma, cara mia, sotto alla superficie dell'unità vi è un forte movimento f e d e r a 1 e. ·E' perciò che il re vuol servirsi di Rattazzi per avviare un decentramento che non comprometta il suo potere, ma tutte queste cose sono d'una terribile difficoltà. » Il federalismo cattaneano non voleva essere, dunque, né un movimento né un programma contrario all'unità nazionale ed alle sue esigenze. Vero è che, in quel medesimo anno 1867, rivolgendosi ai liberi elettori, il Cattaneo diceva esplicitamente che alla « nuova religione dell'unità» anteponeva « l'avito culto della libertà». Ma, per lui, la federazione, od il « patto federale », era, appunto, « un modo di unità», « l'unico forse, perché unico, durevol modo di concordia e cli libertà». « Unità organica, unità vera, perché costituita sul principio vitale della divisione del lavoro», come commentava uno dei pochi, ma dei più degni suoi seguaci, quel gentiluomo repubblicano che fu Alberto Mario. Il quale, con appropriate qualifiche storiche, che mi sembrano degne di essere ancor oggi prese nella più attenta considerazione, aggiungeva: « l'unità centralizzata è giacobina, l'unità dicentrata, cioè l'armonia fra il molteplice e l'uno, è girondina». Cosi, dai Comuni, a traverso le regioni e le nazioni elevandosi fino ·all'auspicio di una federazione continentale, il Cattaneo, pur senza approfondire le particolari applicazioni del principio che gli pareva « la sola possibile forma d'unità tra liberi popoli», perché « il potere debb'essere limitato; e non può essere limitato se non dal potere », nel federalismo additava la soluzione dei più assillanti problemi politici e la più sicura guarentigia del benessere e della pace. Fin dal 1850, licenziando il primo volume dell'« Archivio Triennale», dopo aver osservato che i quattro milioni di soldati, che l'Europa traeva, allora, dal seno delle diverse nazioni, per armarli ed ammaestrarli contro le loro patrie, divoravano quattromila milioni, cioè il frutto di cento miliardi, scriveva: « Quel giorno che l'Europa potesse, per consenso repentino, farsi tutta simile alla Svizzera, tutta simile ali' America, quel giorno ch'ella si scrivesse in fronte Stati Un i ti d' E u r o p a , non solo ella si trarrebbe da questa luttuosa necessità delle battaglie, degli incendi e dei patiboli, ma ella avrebbe lucrato cento mila milioni. » « Eppure, aggiungeva, con amara arguzia - gli avari cospirano coi re! » A. L. Rispettare (almello) i 1norti Dalla rivista americana «Ti rn e» del 26 giugno 1944 (pag. 16): La maggioranza degli americani sono rimasti inorriditi nel sentire che tra i ricordi mandati a casa dal Pacifico del Sud da parte di soldati degli Stati Uniti, vi sono stati alcuni teschi di soldati giapponesi. Essi sono pure stati scandalizzati di leggere la settimana scorsa, nella rivista «Merrygo-Round» di Drew Pearson, che il deputato per la Pennsilvania, Francis Walter, aveva fatto regalo a Franklin Roosevelt di «u.n tagliafotlere fallo dall'avanbraccio di un soldato giapponese ucciso nel Pacifico. Egli si scusò che vi fosse nel regalo una parte cosi piccola dell'anatomia del giapponese. F. D. R. non, lo toccò, ma accese una sigaretta». Il mese scorso il «Regi s te r» di St. Louis, settimanale ufficioso dell'arcidiocesi cattolica di Missouri, ammonì severamente i cattolici (nella rubrica «Domanda e impar<rn) di non accettare ricordi di questo genere. Domanda: «Un mio amico ha ricevuto il teschio di un giapponese da suo figlio che è nel Pacifico. La moglie del figlio permette ai propri bambini cli giocare col teschio. E' lecito questo?» Risposta: «No. La legge canonica dichiara che le persone le quali violano i corpi dei morti con qualsiasi intento malefico, saranno punite con un interdetto personale (Canone 2328). L'onore dovuto al corpo umano dopo la morte esige che il teschio sia decentemente sepolto. Il fatto che esso appartenga al corpo di un nemico non fa nessuna di/ f erenzn.»
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