Anno XXXV (nuova serie) N. 16 L'AVVENIRE DEI LAVORATORI Zurigo, 31 Agosto 1944 Il pensiero federalista di Carlo Cattaneo I. Fu soltanto - se io mal non ricordo - dopo l'insurrezione di Milano e dopo le delusioni che ne susseguirono, che Carlo Cattaneo parlò per la prima volta, esplicitamente, di federalismo. Ne parlò alla fine della vigorosissima, se non del tutto spassionata, disàmina che, all'inizio del suo lungo esilio, fece di quell'eroica azione di popolo, delle cause che l'avevano preparata, e delle circostanze nelle quali era stata soffocata. Ne parlò - o, per meglio dire, al federalismo accennò - in una forma, e con una formula, amplissima. ' Cosi diceva, infatti, additando il «puro modello americano» sul quale, a suo avviso, si sarebbe dovuto ricostruire l'edificio europeo, e prevedendo la dissoluzione dei «fortuiti imperi» in forza del principio di nazionalità, e la loro trasformazione «in federazioni di popoli liberi»: «Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d'Europa.» Un paio d'anni appresso, nelle considerazioni finali del primo volume dell' A re h iv i o T rie n n a 1 e, ribadiva la prògnosi e l'augurio, osservando « l'oceano agitato e vorticoso della politica», e presagendo che le sue correnti, pur cosi parie, non potessero tendere se non verso due capi: «o l' A u t o c r a t a d' E u r o p a , o g 1 i S t a t i U n i t i d'E u - r op a». Il merito di avere per primo, almeno tra gl'Italiani, osato esprimere un auspicio di cosi vasta e di cosi lunga portata, - egli, uno studioso, che preferiva di consueto le analisi severe ai voli suadenti della fantasia, - era riconosciuto al Cattaneo anche da Giuseppe Mazzini. Carlo Cattaneo, che, fin da quando commentava i primi documenti da lui pazientemente raccolti nel suo A r c h iv i o T r i e n n a 1e , era già in !svizzera, negli ordinamenti di questa libera terra ospitale, ch'egli considerò come la sua seconda Patria (e non se ne volle più dipartire) trovò, pei vantaggi che gli stessi offrivano all'educazione politica ed al benessere dei cittadini, la riprova della bontà dei suoi principi federalistici. Ai quali rimase costantemente fedele, non tralasciando occasione di riaffermarli, sia quale convinzione teorica, inanellata, come vedremo, alle altre sue, sia in linea di applicazione pratica. Ma se l'esempio svizzero, di cui egli ebbe agio di osservare da vicino l'effettivo svolgimento e gli effetti, gli potè offrire il paradigma per le riforme radicali, che ammirato quasi sempre, seguito quasi mai, - patrocinava anche per il proprio paese, - i germi dell'idea federale erano sbocciati nel suo pensiero prima ch'egli prendesse stabile residenza nel Canton Ticino. Esagerava certamente il Rovani allorché, nel 1858, manifestava, se pure in forma dubitativa, la supposizione che «la teoria della federazione politica» cominciasse «ad allignare nel Cattaneo» quando, nelle discussioni su la lingua italiana, aveva dichiarato essere fonti della lingua comune <<i dialetti tutti d'Italia, a differenza di quelli che volevano la nostra lingua fosse attinta alla sola Firenze». Ma è certo che il Cattaneo, il quale nel 1862 scriveva argutamente d'essere «federa 1e anche nei su o i studi»,-tutti sanno, infatti, con quanto amore egli tornasse ad occuparsi, in quell'epoca, della negletta Sardegna, - è certo, dico, che anche prima delle Cinque Giornate, allorquando egli, che poi doveva essere l'esponente, e quasi il simbolo, dell'intransigenza repubblicana, poteva a taluni sembrare un c o d in o , era animato dal principio federalistico nell'anteporre all'indipendenza dallo straniero l'aspirazione alla libertà, e si sarebbe magari accontentato, per il momento, di larghe autonomie dei vari Stati dominati dagli Austriaci. Laddove Giuseppe Mazzini, dal giorno in cui, nella cella di Savona, ebbe l'intuizione di un'Italia repubblicana, una ed indipendente, iniziatrice di nuova vita in Europa, consacrò tutto sè stesso, pensiero ed azione, a tradurre in realtà il suo grande sogno giovanile ( «questo chiodo d'Italia - egli scriveva una volta alla madre - m'è destinato da Dio, nè potrei, anche volendo, liberarmene»), per il pacato ed austero intelletto del Milanese la libertà, ch'era lo stesso principio d'individuazione delle persone, singole e collettive, fossero queste ultime le regioni d'uno Stato, fossero gli Stati d'un continente, e che doveva coltivarsi e rinvigorirsi con l'educazione, e rappresentare la guarentigia dello sviluppo e del benessere d'ognuno nell'armonico progresso comune, poteva e doveva avere, nella gerarchia delle idealità sociali, la priorità di fronte alla stessa indipendenza. Còmpito arduo, ma anche ozioso, il discutere quale, tra codeste due idealità del Risorgimento, meritasse di trionfare per prima. Se, in luogo dell'unitarismo, predicato con incrolla- ~e costanza e nono.st~t ogni del~one. dà) Mazzini, ma att ato"'J)01, er orbun~ come - <lenza di circostanze, dall'ordito, audace e paziente insieme, d'un geniale ministro della monarchia, dalla leggendaria bravura e generosità d'un condottiero di popolo, dalla gagliarda ambizione d'una casa regnante, fosse prevalso il federalismo democratico, patrocinato, ma non abbastanza attivamente predicato da Carlo Cattaneo, e da pochi altri con lui, l'indipendenza nazionale si sarebbe raggiunta in Italia, probabilmente, assai più tardi. Ma le libertà, che fossero state conquistate dalle energie consapevoli di tutto un popolo e presidiate dall'educazione diffusa in tutto il popolo, come il Cattaneo insegnava ed avrebbe voluto, sarebbero state, indubbiamente, più sicure. II. La ventennale permanenza in !svizzera, durata, con fugaci interruzioni, dall'indomani, si può dire, della dolorosa sconfitta dell'insurrezione milanese, fino alla morte che troncò la multiforme operosità di Carlo Cattaneo (or sono esattamente tre quarti di secolo) nell'amata solitudine di Castagnola, rafforzò in lui le convinzioni federalistiche. Ma egli, che aveva sortito da natura un ingegno, se pur mirabilmente assimilatore e cosi acuto da penetrare al fondo di molti problemi, storici ed economici, filologici ed agrari, troppo tuttavia curioso e di troppo disparate materie per poter stampare incancellabile la propria orma nell'una o nell'altra di esse (e ciò gli era cagione di rammarico nei suoi ultimi anni), non lasciò una trattazione organica neppure del federalismo, che fu indubbiamente uno dei principi prediletti del suo pensiero politico ed uno dei motivi fondamentali ricorrenti in tutta quanta l'opera sua. Anche per conoscere, dunque, quali fossero le sue idee su tale problema, come su tanti altri, bisogna cercare pazientemente gli spunti ch'egli vi ha dedicati qua e là, e non soltanto in lavori destinati alla stampa, ma altresi in lettere private che, in varie epoche e circostanze, egli diresse a questo od a quello dei suoi amici. Vero è che il Cattaneo non tralasciò occasione di esprimere e di ribadirei, a proposito dei più svariati argomenti, tale sua fede politica, la quale - come vedremo ben presto, - trovava i propri fondamenti in quella sua concezione generale della vita e della storia, che in un certo senso, potremo anche chiamare la sua filosofia. Cosi, per esempio, nell'analizzare un'opera del Thierry, osservando come l'Italia potesse « chiamarsi la culla della borghesia», - cioè di quell'« ordine cittadino», al quale apparteneva egli stesso, e che, come dice altrove, « partecipando nel medesimo tempo alla fatica, alla cultura e all'agiatezza, forma il nervo della nostra nazione » - e notando come « solo considerata sotto questo aspetto la storia italiana possa acquistare un carattere razionale », egli, pur deplorando che il nostro paese non avesse saputo costituirsi in nazione indipendente, e che, nel secolo XVI, i nostri piccoli centri politici cadessero all'urto delle nazioni straniere già composte ad unità e lottanti per il predominio dell'Europa, « è singolare conforto - aggiungeva - il pensare che quelle piccole repubbliche italiane erano rispetto al resto d'Europa un modello di civiltà e di sapienza politica». E lo storico eminentemente dotato che egli era, il quale doveva poi additare 1a città ... e o me principi o i d e a 1e d e 11e i s t o r i e i t a 1i a n e , - la città, in cui la vita municipale era « più intera, più popolare, più culta », fin dal 1848 aveva scritto che la « natura italiana» è « indelebilmente municipale e federale». Ma che il suo federalismo non fosse un gretto municipalismo, conservatore non già d'intimamente care glorie e tradizioni avite, bensi di privilegi, gelosie, rivalità incompatibili col progresso dei tempi, e fosse, invece, una forma d'unità, « la sola unità possibile in Italia», cioè in « una famiglia unita colla lingua, colla fratellanza, cogli interessi e sopratutto coll'amicizia, con un'amicizia non arrogante né avara», il Cattaneo, diede (amo ridirlo) una prova eloquente, oltre che coi suoi attenti, ripetuti studi su la Sardegna, ingiustamente dimenticata dai più, con le ragionate provvidenze ch'egli invocava per la nobile isola, la quale oggi ancora lo ricorda come uno dei più fedeli e sicuri amici ch'essa abbia avuto sul continente nell'epoca del Risorgimento nazionale. Per fare un altro esempio, tratto da un campo diverso, quello degli studi e dell'insegnamento superiore, egli, fedele al suo metodo di anteporre le induzioni prudenti, l'analisi, la divisione del lavoro, alle deduzioni dai principi aprioristici ed alle sintesi affrettate, come, nel riflettere su le condizioni della Francia e sui pericoli annidati nelle cagioni stesse della sua potenza, segnalava, tra questi, « l'unità prefettizia, l'unità universitaria », inevitabili conseguenze di quel principio della « centralità», che il Richelieu aveva mutuato dal secolo di Costantino, cosi, anche per l'Italia, insorgeva con,tr € niversità « tagliate sul letto unitario di Procuste » ed invocava la specificazione delle singole Facoltà. E quando, pregato dal Matteucci di esprimere il proprio parere « sul riordinamento degli studi scientifici in Italia», nella sua critica riformatrice spezzava una lancia in favore della divisione del lavoro, anche scientifico, cioè in pro dell'analisi, egli diceva proprio a tale proposito: « la sintesi sarà l'Italia; la sin tesi non è la ripetizione, non è l'uniformità; ma è la più semplice espressione della massima varietà ». Ma, com'è naturale, il campo nel quale più spesso e con risolutezza ancora maggiore il Cattaneo affermò i suoi convincimenti federalistici, fu quello più particolarmente politico. Se non che, politico a contraggenio, alle spicciole diatribe della politica egli preferiva di gran lunga la serenità degli studi, e credeva di meglio promuovere la causa del progresso, sia in Italia sia in !svizzera, con l'esame accurato dei vari problemi e coi consigli che prodigava negli scritti che andava via via pubblicando nell'uno o nell'altro dei periodici da lui iniziati od ai quali collaborava, che non col partecipare attivamente alla vita pubblica. E poiché (com'egli scrisse una volta, argutamente) « non v'è religione senza predicatore», è fuor di dubbio che alla diffusione dell'idea federalistica, quale il Cattaneo la intendeva, - come lo si può desumere dalla sua condotta rettilinea e dal suo pensiero, anche se manifestato soltanto occasionalmente e non mai organicamente sviluppato, - nocque la scarsissima propaganda. Se, come si accennava nel precedente paragrafo, prima del Quarantotto egli si sarebbe acconciato per la Lombardia, ad un assetto federale anche sotto lo scettro della Casa d'Absburgo, tale soluzione poteva vagheggiare non soltanto perché, avanti la gloriosa primavera di quell'anno, « un insorgimento di popolo (com'egli scrisse) non pareva ... la prima cosa a cui pensare», ma soprattutto perché, sperando di tenere gli Austriaci « nel duro e spinoso campo della legalità », confidava che anche il proprio paese, il quale da non molti decenni si stava ridestando a nuova vita economica ed intellettuale, si potessa avviare « alla libertà per una serie di franchigie, come accadde in Inghilterra e, altrove ». Decisamente e palesemente repubblicano fin aa quando, sollecitato ed acclamato ad essere uno dei capi della generosa insurrezione di popolo, seppe resistere, non pure alle minacce austriache che alle lusinghe piemontesi, - anche e soprattutto perché, come vedremo meglio in seguito, la federazione, corollario logico del principio di libertà, trovava nella repubblica la sua più coerente applicazione, - il Cattaneo, però, intelletto più comprensivo del Mazzini, seppe vedere più acutamente di questo, nel decennio che doveva intercorrere tra le delusioni del 49 e la liberazione della sua Lombardia, le ripercussioni che avrebbe avute anche sulla politica italiana la spedizione di Crimea, e la portata di quella, che il Genovese chiamò la « guerra regia » sabaudonapoleonica, l'una e l'altra preparate dal genio diplomatico del conte di Cavour. Il quale, se pur seppe trarre abilissimamente profitto dalla infaticabile propaganda unitaria del Mazzini, propaganda che, date le condizioni del paese, doveva (direi, fatalmente) sboccare in un trionfo della monarchia, come tempra positiva d'ingegno era assai più vicino a quello del repubblicano federalista, da lui egualmente avversato per ragioni politiche. Ma, ripeto, il Cattaneo, appunto perché, come il Cavour, intelletto tutt'insieme realistico e lungimirante, aveva veduto come la guerra di Crimea, alla quale, inascoltato, animava Carlo Pisacane a partecipare, fosse « il preludio » di quella « ricostruzione militare d'Italia», ch'era interesse del nuovo, ambizioso impero di Napoleone ID (il « napoleonismo » - egli diceva, - « ha le sue proprietà, come il triangolo e il circolo »), e nel 1859 incitava gl'Italiani, anche se repubblicani, a combattere: « chiunque sta contro l'Austria, - diceva, con eloquente anacoluto, - non badate a scrupoli, con quello potete in tutta coscienza star voi ». Nel 1860, tosto che Garibaldi ebbe compiuto la meravigliosa liberazione del Mezzogiorno, parve per un istante che le idee federalistiche del Cattaneo potessero trovare un principio di attuazione. Egli scriveva, il 18 luglio di quell'anno, a Francesco Crispi: « La mia formula è Stati Uniti, se volete Regni Uniti; l'idra di molti capi che fa però una bestia sola. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua. Le provincie sin qui annesse non sono per nulla soddisfatte del governo generale, e in breve tempo si avranno rancori profondi e gravi danni. I siciliani potrebbero fare un gran beneficio all'Italia dando all' a n n e s s i o n e il vero senso della parola, che non è a s s o r b i - m e n t o. Un gregge non è una pecora sola ... Congresso comune per le cose comuni; e ogni fratello padrone in casa sua. Quando ogni fralello ha casa sua, le cognate non fanno liti. » E' noto che, cedendo a ripetuti inviti, il Cattaneo lasciava nell'autunno la studiosa pace di Castagnola e si recava a Napoli presso Garibaldi. Ma è pur noto che, dopo un breve soggiorno colà, egli se ne parti, disperando oramai del trionfo delle sue idee. Gli è che, dopo che Garibaldi aveva (secondo il pungente verso dannunziano) « donato un regno al sopraggiunto re», i Piemontesi o, per dir meglio, i sistemi burocratici quasi necessariamente accentratori della monarchia dovevano prevalere anche nel debellato Mezzogiorno. Altre poderose cause concomitanti spiegano la nuova « sconfitta » del federalismo cattaneano in quell'epoca ed in quelle circostanze. Le ha sintetizzate Gaetano Salvèmini in due pagine, che sono, forse, le più felici della sua introduzione all'eccellente scelta cattaneana da lui curata. I liberali del Mezzogiorno, egli spiega, con le sole loro forze non potevano tenere il paese, agitato dalle rivolte dei contadini, ed i vecchi impiegati borbonici dovevano essere sostituiti o quanto meno controllati da funzionari che non fossero infeudati al vecchio regime, ed avessero esperienza amministrativa: sicché l'accentramento rappresentò la sola forma sotto la quale l'unità nazionale apparisse agli occhi di quei liberali. Alcuni di questi, poi, fra i più autorevoli e migliori, imbevuti com'erano della teoria politica hegeliana che idealizzava lo Stato, scambiavano per una necessità immanente quella che non era, tutt'al più, se non una passeggera opportunità. E sarebbe stato improvvido il dare in mano il fucile - per costituire la nazione armata, legittima conseguenza dell'idea federale, - a popolazioni nelle quali la natura stessa del terreno, la scarsità di comunicazioni, il deficiente sentimento di appartenenza ad una gran patria comune, il predominio di un clero malfido, potevano far rincrudire facilmente il brigantaggio. D'altra parte - nota lo stesso insigne storico - nelle file medesime della democrazia la propaganda unitaria mazziniana discreditava le teorie federalistiche (si, amico Salvèmini, ma non dimentichiamo che proprio a Napoli, nell'ottobre del 60, la folla gridava « muoia, muoia » sotto le finestre del Mazzini, mentr'egli che, non soltanto a quei facinorosi forse prezzolati, ma a quegli stessi zelatori della monarchia piemontese che li avevano probabilmente istigati contro di lui, poteva essere Maestro, di molti cubiti più alto, anche di fede patriotticamente unitaria, scriveva, come sempre imperturbabile, la prefazione per un nuovo appello ai giovani d'Italia). Ritornato al tranquillo asilo di Castagnola - che non poteva dirsi un esilio, sia pel suo ridente cielo italiano, sia, e più, pel rispetto e la stima accogliente di cui i Ticinesi lo circondavano -, Carlo Cattaneo, mémore delle recenti esperienze, nel maggio 1862 ammoniva il fido Agostino Bertani e, per suo tramite, la minoranza parlamentare: « Il Piemonte, essendo il solo centro organizzato e v iv e n te , è più forte di tutta la massa; padroneggia; pròdiga; abusa; rende odiosa ai popoli l'idea nazionale; finirà col far sospirare il passato. Per raffrenarlo e bilanciarlo, bisogna dar vita libera agli altri centri. Bisogna, nel nome della concordia e della vera unità libera e morale, costituirsi protettori delle autonomie. Per Dio, la Sicilia non ha un magistrato suo, che abbia l'autorità di chiudere un convento di frati; la Sardegna non ha un magistrato che possa sciogliere dagli ademprivili una pertica di palude per salvare una città dalla febbre. Il vostro Plebiscito ha fatto dell'Italia un orfanotrofio.» Ed insisteva: « ... la federazione è la sola unità possibile in Italia; la federazione è la pluralità dei centri viventi , stretti insieme dall'interesse comune, dalla fede data, dalla coscienza nazionale.,. Egli che, fin da quando aveva licenziato per la stampa il terzo volume dell' Are h iv i o T r i e n n a I e (apparso a Chieri, con la data 1° gennaio 1855), aveva detto albergare « in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell'avita sua terra» - « di là - aggiungendo - il diritto federale, ossia il diritto dei pop o 1i» - il quale (continuava subito, quasi per dissipare ogni sospetto di municipalismo) « debbe avere il suo luogo, accanto al diritto delle nazioni, accanto al diritto del1' u m ani t à », scrivendo nel 1864, nel giornale torinese I 1D i r i t t o , certe lettere « sulla legge comunale e provinciale», osservava come il popolo incominci ad acquistare coscienza di sè appunto nel Comune, che « è un fatto spontaneo di natura come la famiglia». I Comuni, questi « plessi nervei della vita vicinale » sono ben. essi la nazione: « sono la nazione nel più intimo asilo della sua libertà». E nella primavera del 1867, da Firenze, dove, com'è noto, recatosi fin su la soglia del Parla- (Continuazione pag. 4)
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