L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 15 - 15 agosto 1944

Bib Gliinizidelmovimenotoperaioitalianoin Svizzera ( Continuazione, 2) Siccome in Svizzera lavori edili venivano eseguiti solo durante l'estate, nell'inverno impedendoli il tempo avverso, gli immigranti venivano in primavera e ritornavano nei loro paesi d'origine all'inizio dell'inverno dopo un soggiorno di 7-9 mesi; anche durante questo tempo molti di essi cambiavano più volte il luogo di residenza, secondo le necessità del lavoro. La mobilità è la caratteristica principale di tutta la categoria. L'emigrazione dall'Italia non veniva in alcun modo diretta e controllata, non funzionava nessun ufficio di collocamento e non aveva luogo nessuna trasmissione di informazioni sulle condizioni del mercato del lavoro; gli emigranti agivano spinti solo dal bisogno, guidati da dicerie, da speranze e dal caso. Una conseguenza di questa situazione fu, data la soprabbondanza della mano d'opera di cui disponeva l'Italia, la continua saturazione, in Svizzera, del mercato di lavoro edile; l'esistenza di una «armata di riserva» di proletari italiani, che poteva essere facilmente aumentata, è la causa principale delle cattive condizioni di lavoro dominanti nell'edilizia svizzera nell'ultimo decennio del XIX secolo. Peggio di tutti stavano gli operai occupati in lavori in aperta campagna, lontano dalle città, nella regolazione dei fiumi, nella costruzione di ferrovie, strade, alberghi ecc. Una quantità di fa:iformazioni della stampa contemporanea ci trasmettono sempre lo stesso quadro, trattisi del Vallese, del Berner Oberland, dei Grigioni, del Giura o della Svizzera orientale. Ignari della lingua del paese, privi di consiglio sui loro diritti e sul modo di agire in caso di infortunio, di malattia, di conflitti coi superiori, tagliati fuori dal mondo, sottratti ad ogni influsso e controllo, abbandonati a sé stessi, essi avevano di fronte a sé le grandi, potenti imprese che per di più godevano la protezione dei governi cantonali conservatori, e dovevano subire passivamente ogmi soppruso. Essi guadagnavano meno che i colleghi delle città: mentre i muratori guadagnavano in città Fr. 4.50-5.00 per 10 ore lavorative, quelli occupati alla costruzione del tunnel della ferravia della Jungfrau solo Fr. 4.50--4.70 per 11 ore di lavoro, alla strada del K.lausenpass Fr. 4.00 per 12 ore lavorative, al traforo dell'Albula quelli occupati nella galleria, quindi al lavoro più pericoloso e dannoso alla salute, Fr. 4.00-5.00, al Sempione Fr. 4.00, gli spaccapietre del Ticino, verso il 1880-1890 solo italiani, guadagnavano Fr. 4.00-5.00 per 14 o 15 ore lavorative. Sul lavoro si trascuravano le misure preventive le più semplici contro gli infortuni e si organizzava in modo del tutto insufficiente il soccorso medico; nelle baracche si ignora vano le regole le più elementari dell'igiene. In Goschenen, per esempio, durante i lavori per il traforo del Gottardo, gli operai dormivano su sacchi di fieno per l'uso dei quali durante 8 ore essi dovevano pagare 50 Cent., di modo che il medesimo sacco serviva di giaciglio nello stesso giorno a 3 persone diverse. Si costringevano gli operai a compiere gli acquisti in negozi che appartenevano agli impresari e nei quali si pagavano prezzi superiori alla media; i datori di lavoro cercavano spesso di sottrarre al salario una percentuale per l'assicurazione contro le malattie e gli infortuni superiore a quella stabilita dalla legge. Ben diversa era la situazione nelle città, dove gli immigranti italiani erano esposti a tutte le influenze della vita cittadina, avevano dinnanzi a sé l'esempio della resistenza organizzata degli operai svizzeri, dove venivano raggiunti regolarmente da manifestini, giornali e conferenzieri, mentre la feroce lotta di concorrenza delle numerose piccole, medie e grandi imprese offriva delle possibilità di difesa e di attacco che mancavano nella campagna. Nelle città si verificò anche presto tra gli immigrati un differenziamento sociale, riuscendo alcuni o più intelligenti, o più furbi o solo più fortunati ad aprire un negozio, un'osteria, una rivendita di generi alimentari, diventare importatori di prodotti alimentari italiani o piccoli impresari e porre cosi le basi per una borghesia. L'operaio italiano trovava sempre la sua convenienza nell'emigrare in Svizzera, perché vi guadagnava di più che in patria, dove secondo ogni probabilità sarebbe stato disoecupato; la vita primitiva, alla quale si adattava cosi facilmente, gli permetteva di inviare regolarmente alla famiglia dei risparmi. L'emigrazione di tanti figli procurava all'Italia un doppio vantaggio: essa alleviava il suo mercato di lavoro, mentre le rimesse degli emigranti recavano un contributo notevole al pareggio della passiva bilancia commerciale: per gli anni anteriori al 1914 la somma complessiva delle rimesse degli emigranti viene valutata - detratte le spese di viaggio - a circa 500 milioni di lire, secondo altri calcoli a 700 milioni. Secondo un calcolo del 1900 il contributo degli emigrati in Svizzera sarebbe ammontato a 20 milioni di lire. Malgrado ciò il governo italiano trascurò per molto tempo completamente questo ramo della vita nazionale e vide in esso solo un cespite d'entrata. Sorvolando la leggina del 1888, la prima legge in difesa dell'emigrazione fu emanata in Italia nel 1901, essa riguardava però solo l'emigrazione transoceanica; provvedim:f ti in difesa del ' igrazione co · eDtale furono presi solo più tardi. Il governo svizzero considerò l'immigrazione come una necessità per l'economia del paese. I sindacati svizzeri rimasero un po' perplessi di fronte al fenomeno: essi s'avvidero subito che l'immigrazione rendeva più difficili le condizioni di vita e di lotta degli operai indigeni, la loro conoscenza e comprensione però delle cause economiche e sociali dell'immigrazione e il vivo senso di solidarietà internazionale li trattennero dal fomentare delle campagna antiitaliane o dal parteciparvi. Un profondo malcontento contro gli italiani si impadronì invece per vari motivi di vasti ceti della popolazione indigena, esso provocò delle gravi tensioni e si sfogò qualche volta in forme brutali. Italiani e s-vizzeri L'immigrante italiano fu, in taluni casi, un concorrente pericoloso dell'operaio svizzero. L'immigrazione italiana provocò dopo il 1890 una diminuzione generale dei salari nell'edilizia, e la «Nuova Gazzetta di Zurigo» poteva scrivere in certe sue considerazioni sugli incidenti antiitaliani di Berna: «Gli italiani non scioperano per cosi dire mai per ottenere un aumento di salario; essi lavorano per il salario stabilito al momento dell'assunzione fin che il lavoro è terminato ed essi vengono licenziati.» La reazione degli operai svizzeri che si vedevano lesi nei loro interessi non tardò a farsi sentire; essa si manifestò in deliberazioni, mozioni, ordini del giorno, lettere alle autorità, nelle quali si chiedeva che in lavori statali, cantonali e comunali fosse data la preferenza agli operai indigeni; che gli italiani si organizzassero e non lavorassero per un salario inferiore a quello usuale. Però il monopolio tenuto dagli italiani nell'edilizia faceva si che con le loro pratiche essi danneggiassero più sé stessi che non gli indigeni. In altri paesi, in Germania per esempio, dove il numero dei muratori indigeni era più rilevante che in Svizzera, gli effetti della concorrenza degli italiani furono più intensi e più sentiti. Altri sono i motivi che sollevarono la popolazione indigena svizzera contro quegli stessi immigranti italiani che d'altro verso venivano assai lodati per la loro diligenza al lavoro e per la loro tendenza al risparmio. Gli italiani vivevano, nei centri principali dell'immigrazione, riuniti in determinate strade e quartieri, Aussersihl in Zurigo, Spalen in Basilea, Rue Basse in Ginevra, che durante la stagione lavorativa accoglievano nelle loro case una popolazione di molto superiore alla loro capacità, e nei quali in conseguenza di ciò e delle abitudini degli immigranti si creava uno stato di cose deplorevole. Il sudiciume e la mancanza di ogni cura, le finestre rotte, le porte spaccate rivelavano da lontano le case abitate da italiani. Nell'interno si misconoscevano le più elementari regole dell'igiene; si cucinava, mangiava e dormiva nello stesso locale, e bensi dormivano in una stanza tante persone quanti materazzi vi potevano essere collocati. In serata poi gli italiani si riversavano nelle strade, riempiendole col loro vociare e trasformandole spesso in teatro delle loro liti e risse. Lo storico Ettore Ciccotti descrive con grande comprensione l'immigrante italiano: «Le forme del vostro linguaggio, il vostro gesto, le vostre maniere sono, non di rado, rozzi come i vostri vestiti. La vostra vita, anche, è venuta su come qualcuno di quegli alberi, saldi e gagliardi, ma che il vento ha torto mentre erano teneri e che nessuno ha raddrizzato, nessuno ha potato, nessuno ha rincalzato; in modo che un po' di marcio si è attaccato in qualche punto della scorza e qualche ramo è avvizzito o inaridito; e, a guardarli, v'è chi ha c~me un senso di squilibrio, come la contrarietà inesplicata dinnanzi a qualche cosa che avrebbe potuto essere bella e non è. La miseria, il disagio, le tentazioni di una vita strappata con i denti, la degenerazione di una lotta ineguale sostenuta attraverso una lunga discendenza vi fanno anche qualche volta trascorrere alla violenza, vi lasciano qualche volta anche scoperti contro la tentazione del delitto; accade che quella virtù del dominio di sé stesso, la quale in altri è si facile e in voi è quasi eroica, finisce talvolta per abbandonarvi, e voi scivolate cosi nel delitto in un momento di oblio, in cui s'incorre per la debolezza di un istante e che lunghi anni non bastano a redimere e a far dimenticare. E' vero: vi è nondimeno in voi, attraverso tutta questa scorza ingrata, qualche cosa di sano, di fresco, di vitale; ma chi ha tempo di andarla a rintracciare? chi pensa a fare dell'inutile filosofia per rendersi ragione dei vostri difetti?» Il giudice socialista Paul Lang in un suo studio sul «Krawall» antiitaliano di Zurigo del 1896 richiama la nostra attenzione sopra un altro ordine di cause del malcontento degli indigeni : «Oltre a ciò questi disordini sono stati favoriti - come in casi analoghi in altri paesi - non poco dallo stato di sofferenza economica della popolazione operaia (indigena). Non è raro il caso che il sentimento di posposizione e della sofferenza, quale esso esiste nella massa politicamente non educata, che non sa rendersi conto delle cause della sua difficile situazione né dei mezzi per migliorarla, si manifesti in modo esplosivo in simili aggressioni. Basta un fatto - qui l'uccisione di Remetters - per fare esplodere una tensione lungamente contenuta, e l'indignazione si dirige spesso contro determinati gruppi che pur essendo del tutto senza colpa alle difficoltà economiche, sono malvisti o odiati dalla popolazione indigena per contrasti nazionali o religiosi; qui gli italiani, altrove gli ebrei, nei territori cechi i tedeschi.» L'indignazione degli indigeni contro gli italiani si manifestò prima affibiando ad essi dei nomignoli dispregiativi, come quello di «Chingi» nella Svizzera tedesca, di «badola» nel Ticino; nelle offerte di appartamenti sui giornali si avvertiva espressamente di non volere degli italiani come inquilini, nelle stazioni ferroviarie furono istituite delle sale d'aspetto speciali «per gli italiani». Infine si verificarono anche delle violenze, prima a Berna, poi a Zurigo. Bisogna premettere che Berna era una delle località della Svizzera nelle quali esisteva un_ numero notevole di operai edili indigeni, che nel 1892 si erano organizzati in una «Lega di manovali». Nell'estate del 1893 fermentava tra essi un vivo malcontento, perché in un periodo di disoccupazione venivano occupati alla costruzione del museo della città prevalentemente italiani. Ai primi di giugno la lega aveva presentato ai capimastri quattro richieste: 1 ° Minimo di salario 33 cent. per ora, 2° Obbligo reciproco di 14 giorni di preavviso nei casi di licenziamento, 3° Giornata lavorativa di 10 ore, 4° Ufficio di collocamento per ambedue le parti, per dare la preferenza agli indigeni. Prima però che avessero inizio le trattative, la tensione tra operai e borghesi, che si era acuita durante gli ultimi anni, esplodeva in atti di violenza. Un avviso, pubblicato sull' «Anzeiger» della città il 17 giugno invitava muratori e manovali disoccupati a riunirsi lunedi, 19 giugno, alle 2 del pomeriggio presso la stazione. Circa 60 persone mossero all'ora stabilita sotto la guida del disoccupato Aeby, lo stesso che aveva pubblicato l'annuncio, verso il Kirchfeld per scacciare gli italiani. In diversi posti di lavoro avvennero degli scontri, nel corso dei quali 5 italiani furono feriti. La polizia dovette intervenire ed arrestò 13 dimostranti. In serata si verificarono nuovi gravi incidenti, allorché una massa di operai cercò di liberare dalla torre della Gabbia gli arrestati; le autorità, per fronteggiare la situazione, richiesero l'aiuto dei soldati, e nel conflitto che ne segui furono ferite 40 persone e arrestate 50. La caccia all'italiano non fu che un piccolo episodio in una complessa lotta politica locale; nelle discussioni sulla stampa, al consiglio comunale, al parlamento cantonale come al processo contro il segretario operaio Vassileff predominarono i problemi interni della politica locale e gli italiani furono interamente dimenticati. In Zurigo numerose risse avvenute nel 1896, tra il marzo e il luglio, con la partecipazione degli italiani, avevano irritato più del solito gli indigeni. Durante una lite avvenuta domenica, 26 luglio, un italiano uccideva a coltellate l'alsaziano Remetter; più tardi, nel processo, l'uccisore veniva condannato a tre mesi di prigione. Allorché la serà della stessa domenica la polizia arrestò alcuni italiani, colpevoli di avere partecipato ad una rissa, e li conduceva in prigione, si raccolsero attorno al gruppo molte persone che pensarono si trattasse degli assassini dell'alsaziano. Trascinati dall'eccitazione generale, gli svizzeri incominciarono ad agire di propria iniziativa contro gli italiani; attraversarono urlando le strade di Aussersihl sfogandosi contro le osterie frequentate da quelli. Il tumulto durò fino a notte inoltrata, ricominciò e raggiunse il suo punto culminante nella serata del martedi, poi le autorità riuscirono a ristabilire l'ordine. Centro dei disordini furono i quartieri di Aussersihl e quello dell'Industria. Ad essi parteciparono attivamente alcune centinaia di persone che però furono aiutate passivamente da migliaia di curiosi che impedirono le autorità all'esercizio delle loro funzioni. Otto Lang scrive: «Era un pubblico segreto che i disordini di Aussersihl non fossero inscenati dalla feccia della popolazione, ma da appartenenti ai ceti migliori, e se anche il tumulto attirò da tutte le parti individui violenti e rissosi, che poi finirono coll'assumerne la direzione, ciò non toglie nulla al dato di fatto, che l'iniziativa apparteooe ad una ben diversa categoria di persone.» I tumultuanti andarono di strada in strada, sfondarono le porte delle osterie, penetrarono nell'interno, insudiciarono e sconquassarono tutto. Anche alcuni appartamenti privati furono danneggiati. Chi parlava italiano doveva svignarsela, altrimenti riceveva botte. La parole d'ordine era: «Alles muess erchaibet si.» Nella Rappengasse fu interamente demolito il piano terreno del restaurant Unione; le persiane di ferro, che erano state abbassate, furono strappate e contorte come fossero di latta sottile: la mobiglia, i tavoli, le sedie, le panche, il blifett, le vetrerie, la porcellana, ecc., frantumata e buttata sulla strada. In un'altra osteria dello stesso vicolo non rimase intero, in cucina, un sol vaso; delle finestre rimanevano solo le cornici e anche quelle spezzate. In tutto furono danneggiate 22 case situate in 17 strade. La furia dei tumultuanti non conobbe limiti: cosi furono abbattuti anche dei fanali per la illuminazione cittadina, che evidentemente non avevano nulla a che fare con gli italiani; e nei negozi non si distrusse solo, ma si vuotarono anche delle bottiglie e si mangiarono dei prosciutti. La polizia, sorpresa, non fu capace di dominare la situazione e dovette chiamare in soccorso l'esercito; intervenne prima la fanteria, poi la cavalleria. I dimostranti accolsero i soldati con fischiate e urli, lanciarono contro di essi dei sassi e cercarono di liberare gli arrestati. Rari furono i tentativi di difesa attiva per parte degli aggrediti italiani. Allorché quelli tra di loro che abitavano a Wiedikon seppero che i dimostranti volevano fare anche ad essi una visita, portarono sacchi pieni di sassi sui piani superiori delle loro case ed ebbero occasione di lanciarli sia contro i tumultuanti che contro la polizia. (Continua.) E. Valar. Cronadte dell'ernigrazione Necessità del partito La campagna genericamente antifascista che svolgono in alcune zone le Colonie Italiane Libere ha fatte sorgere tra i compagni di qualche località una discussione su questo tema: E' necessario costituire le sezioni socialiste là dove funzionano le Colonie Libere? Ora a parte il giudizio che si possa dare sulle dette Colonie è evidente che i dubbi di questi compagni son.o del tutto fuori luogo. Che cosa è una Colonia Libera? Una Colonia Libera è una organizzazione apolitica che vuole l'unione di tutti gli italiani (anche di quei fascisti che non hanno avuto responsabilità direttive nel passato regime, purché non siano stati gerarchi e non abbiano abusato del pubblico denaro) . La Colonia Libera non è un partito né una organizzazione di classe; essa si richiama a tutti i ceti sociali, dai capitalisti ai lavoratori, purché tutti siano per un generico ordine di idee democratiche e una generica attività culturale e assistenziale. Che cosa è il Partito Socialista? Il Partito Socialista è l'organizzazione dell'avanguardia cosciente della classe operaia, quell'avanguardia la quale è guida ed esempio alla classe operaia nella lotta per la sua emancipazione. Il Partito Socialista è antifascista, ma non soltanto ed esclusivamente antifascista; nel suo programma esso riassume le condizioni della liberazione dell'Umanità dai mali dell'attuale ordine sociale. La conclusione è la seguente: Partito Socialista e Colonia Italiana Libera sono due cose non opposte, ma molto diverse e ben distinte. Ogni operaio cosciente che sia veramente tale, ha l'obbligo morale di dare l'adesione al suo Partito. L'astensione di un socialista dal Partito per una più intensa attività alle Colonie Libere, è da considerarsi una enormità. Questa ipotesi naturalmente la formuliamo per assurdo. Ci rifiutiamo di credere che ci siano dei socialisti che rinuncino all'ideale socialista per limitarsi ad un semplice lavoro di assistenza e di unità con i propri connazionali. Noi non neghiamo che evitando i compromessi e mantenendosi su un terreno di dignità, le Colonie Libere possono svolgere una certa funzione utile; ma esse non potranno mai soppiantare il Partito Socialista e renderlo superfluo. I socialisti che partecipano alle Colonie Libere devono gareggiare con gli altri nella propaganda antifascista, nella cultura e nell'assistenza; ma non devono dimenticare di essere socialisti e devono spiegare alla massa che l'abolizione del fascismo non basta. Il dilemma: Partito Socialista o Colonia libera dunque non esiste. Lettere «... permetta che le esprima la mia ammirazione per il Suo bel giornale; finalmente c'è un giornale socialista interessante ed evoluto. Perché vede, signor Direttore, pur troppo in Italia ho notato, per esserci nato e vissuto in mezzo, come i socialisti siano rimasti un poco attaccati alle vecchie forme, ai vecchi schemi di 30 o 40 anni fa, e non si sono accorti che il tempo è passato, che molte loro idee, sempre ammirabili, non sono più di pratica attuazione. Ora, l' A vvenire, con le sue questioni non perfettamente ortodosse, compie proprio la funzione di aggiornamento e chiarificazione di cui, specialmente in Italia, c'è estremo bisogno. Qua a ... si cerca di prepararsi un poco ai nuovi problemi di domani; specialmente noi più anziani facciamo conversazioni, conferenze, ma spesso anche noi, data l'estrema complessità del problema italiano e internazionale, ci troviamo in qualche incertezza, in qualche dubbio. Penso però anche, che nessuno oggi possa essere matematicamente sicuro del come sarà risolto il nostro problema pratico; solo Mussolini era sempre sicuro ... Ad ogni modo, a noi occorre studiare.» M. G. (dal campo) Italiani di Zurigo, inviate i vostri figli alla Scuola Libera Italiana Per informazioni rivolgersi al segretario, Sig. Armari G., Zurigo 4, Stauffacherstr. 27 Redattore: ERICH VALAR, ZURIGO Druck: GENOSSENSCHAFTSDRUCKEREI Z0RICH

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