Bib federazione dei produttori. Estendete - egli proclama enfaticamente - alle associazioni operaie concepite ciascuna come unità ben definita, il principio della mutualità che riunisce tra loro gli operai di ciascun gruppo, ed avrete fondato una forma nuova di civiltà, differente, sotto tutti i punti di vista, dalle civiltà anteriori, la quale, con tutte le garanzie possibili di libertà, ed appoggiandosi su di un sistema rigoroso di garanzie reciproche, vi offrirà in ogni luogo ed in qualsiasi momento un diritto di partecipazione alla vita economica. Nella dottrina di Proudhon, la federazione è considerata sempre, in termini quasi apodittici, come un comandamento di una vera legge della natura. A questo proposito c'è una pagina nel suo saggio : « S u I l a c a p a c i t à p o I i t i c a de 11 e c I assi opera i e», che meriterebbe di essere citata integralmente, tanto essa appare caratteristica per ispirazione fondamentale di quella dottrina. «Nello stesso modo», osserva Proudhon, «come il territorio dello stato è stato primitivamente diviso dalla natura e delimitato in un certo numero di regioni, ed in seguito, all'interno di ciascuna regione, suddiviso, in virtù di un mutuo accordo tra comuni, e distribuito tra le famiglie, nello stesso modo come il lavoro e l'industria si sono ripartiti reciprocamente i loro compiti particolari, secondo le leggi della divisione organica ed hanno generato, alla loro volta, dei raggruppamenti e delle corporazioni volontarie, a quello stesso modo, grazie al nuovo patto, la sovranità politica, l'autorità civile e l'influenza corporativa si coordinano all'interno di ciascuna regione, di ciascun distretto, di ciascuna categoria ed in seguito a questa coordinazione s i i d e n t i f i c a n o c o n l a libertà stessa. La vecchia legge dell'unità e dell'individuo è abrogata. Per il consenso per lo meno presuntivo delle differenti parti dello stato al patto dell'unione i l centro politico è dappertutto e l a p e r i f e r i a i n n e s s u n l u o g o. Ogni gruppo o varietà di popolazione, ogni razza, ogni lingua è padrona sul suo territorio, ogni città garantita dai suoi vicini è regina all'interno del circolo costituito dallo sviluppo della sua influenza. L'unità non è più ricordata nel diritto che per affermare la promessa che si sono scambiati reciprocamente i differenti gruppi sovrani di governarsi ciascuno sovranamente e di concertarsi nell'interesse delle loro imprese particolari. Cosi, trasferito nella sfera politica, il m u t u a l i s m o prende il nome di f e d e r a l i s m o.» Per Proudhon, come si vede, il problema, una volta posto, si trova istantaneamente risolto. Il federalismo politico, per lui, si realizza sempre - avendo ragione, se è necessario, di tutte le contraddizioni - per il semplice impiego di una doppia terminologia sotto la forma non solamente di una confederazione di stati, ma a.'lche di gruppi autonomi componenti lo stato. Non è, quindi, sorprendente il fatto che, ogniqualvolta egli prova il bisogno di dare una giustificazione dell'ordine preconizzato, egli sia indotto ad accontentarsi con l'enunciazione di due o tre formule le cui premesse sono date a priori come evidenti ed incontestabili. Queste, per esempio: «Il governo più libero e più morale è quello in cui i poteri sono meglio divisi, l'amministrazione meglio ripartita, l'indipendenza dei gruppi più rispettata, le autorità provinciali, cantonali, municipali meglio servite dall'autorità centrale; in una parola il governo federativo. In tal modo, se si prende in considerazione la forma della rappresentanza politica e la federalizzazione dello Stato per località e per funzioni, si giunge a questa conclusione: che lo stato si compone della federazione dei proprietari (e dei fittavoli) raggruppati per distretti, dipartimenti, provincie, delle associazioni di industriali, di servizi pubblici, di artigiani e di mercanti liberi. D'altra parte l'amministrazione del comune appartiene ai proprietari, ai fittavoli ed agli operai riuniti a consiglio.» Queste citazioni sono sufficienti per provare che in fondo il federalismo di Proudhon non acquista intero valore e senso che a condizione di considerarlo sotto il punto di vista di un'attitudine eminentemente morale, sotto la specie soprattutto di una professione di fede ardente e generosa. E' la debolezza, ma anche la forza di Proudhon. La scienza ogni cinquant'anni invecchia e si rinnova, ma una forte intuizione mQrale sopravvive ai secoli. Malgrado tutte le sue incertezze, insufficienze e contraddizioni, il pensiero di Proudhon contiene perciò bagliori geniali di verità sociale e profezie che colpiscono per la loro esattezza nel decifrare le cause profonde della crisi della società moderna. La dottrina, come %attera «Carissima mi è veramente questa zattera, mediante questa zattera, lavorando con le mani e con i piedi, io sono giunto salvo altra riva. Dunque se io ora posassi questa zattera sulla riva, o la gettassi nell'onda e me ne andassi dove voglio? Con tale agire, veramente, o monaci, quest'uomo tratterebbe convenientemente la zattera. Or cosi appunto, voi monaci, io ho esposto la dottrina come zattera, atta a salvarmi, non a tenei-mi.» I Q t BUDDHA (P,,-abola della zada). Che cos'è il socialismo? Il termine «socialismo» fu introdotto per la prima volta da R. Owen in un manifesto del 1820 e usato poi con varie gradazioni di significato (che ne rendono difficile una definizione) a indicare in genere ogni forma, teorica o pratica, di affermazione delle aspirazioni, dei bisogni e dei diritti sociali delle classi diseredate, che si presenti sia come rivendicazione loro sia come riconoscimento altrui. Perciò esso è stato anche definito come «filosofia sociale delle classi misere» a designare il complesso di idee ed esigenze ispiratrici delle agitazioni economiche e politiche di queste classi e le dottrine in cui esse trovano espressione sistematica e consapevole. Vero è che alcune correnti di socialismo si sono presentate come antitesi dell'individualismo, specie economico (libera concorrenza e manchesterismo) accusandolo di essere fon te di ogni male sociale: on.de gli individualisti o manchesteriani a loro volta hanno combattuto come socialismo ogni tendenza teorica e pratica sovrapponente le esigenze della collettività e dello stato all'iniziativa individuale e ogni estensione delle funzioni statali. Ma l'uso proprio del termine resta quello che si fonda sul riconoscimento di una scissione esistente nella società fra classi economicamente privilegiate dominanti e classi diseredate, oppresse, ed esprime l'aspirazione profonda di queste ultime verso una giustizia sociale capace di eliminare l'inferiorità e disumanità delle loro condizioni e di attuare il principio dell'uguaglianza tra gli uomini. Ora, tale aspirµione di uguaglianza, insorgendo contro una disuguaglianza sociale imperniata su di una fondamentale antitesi di condizioni e funzioni economiche, viene essa stessa ad affermarsi soprattutto sul terreno economico, e, come l'antago"nismo di classi dominanti e oppresse (padroni e servi, ricchi e poveri, proprietari e proletari, capitalisti e salariati) viene ricondotto al fatto fondamentale dell'esistenza di un privato monopolio della proprietà, cosi è naturale che le classi oppresse rivendichino l'uguale diritto di tutti contro il privilegio di pochi e la proprietà comune contro l'appropriazione privata. Quindi, se anche nelle forme più rozze ed ingenue queste rivendicazioni hanno potuto concretarsi come esigenza di una divisione in parti eguali, nella coscienza più matura, invece, si manifesta come necessità di sostituire l'appropriazione privata dei mezzi di produzione con la proprietà sociale e la gestione collettiva, rivolta alla soddisfazione dei bisogni sociali di tutta la comunità. Da ciò appunto il nome di socialismo che nella sua forma tipica e comLettera ad un ufficiale (Continuazione) reso la guerra impossibile o anche solo improbabile? Se la Gran Bretagna e l'America saranno ostili all'Unione Sovietica - il che, nonostante la presente alleanza, è molto probabile, se non si arriva ad un accordo molto più saldo di quello presente - allora, in pochi anni, i nostri capitalisti ricostruiranno l'industria della Ruhr e della Renania in vista della guerra coi russi, che a loro volta svilupperanno il potenziale di guerra della Slesia e dell'Europa orientale per una guerra che riterranno inevitabile. Non c'è nessuna soluzione in questa direttiva: quello che conta non è il paese a cui le risorse europee appartengono, ma l'uso che se ne fà. Il futuro che io ho prospettato è molto probabile se le cose continuano ad andare come ora vanno. In tal caso i giornali dimenticheranno ben presto il pericolo tedesco, analogamente a quello che altre volte si è verificato. Per diversi anni, dopo l'altra guerra, il giornale più deciso a far morire di fame i figli degli Unni, stampava in una edizione a grossi caratteri: «vogliono ancora saltarvi addosso, questi junkers». Tale profezia fu cosi ben giustificata che pochi anni dopo gli stessi giornali ci dicevano che Hitler era il salvatore dell'Europa contro il bolscevismo, lodavano il suo modo di organizzare la Germania, ci incitavano ad imparare il tedesco e a far comunella con la gioventù nazista. Ancora una volta la propaganda passerà dal malvagio tedesco al brigante bolscevico. Hai perfettamente ragione di sospettare che molto di quanto leggi e senti non è altro che imbonimento. Il problema della Germania, come vedi, non può essere isolato da quello dell'Europa, o meglio da quello del mondo nel suo complesso. Alla fine della guerra l'Europa sarà in un caos che non è quasi possibile immaginare. Fame, malattie e l'immensa confusione delle popolazioni (quasi trenta milioni di individui sono stati spostati dai loro paesi dalla guerra di Hitler), la materiale distruzione delle città e la davastazione di larghe zone, tutto ciò creerà un problema e un pericolo che potrà essere peggiorato e non migliorato da una pace dettata dalla passione e dalla vendetta. Il mondo intero, Inghilterra compresa, correrà il pericolo d'una completa disintegrazione e non sarà possibile infliggere dei maggiori malanni ad un qualsiasi altro paese senza aumentare il nostro stesso pericolo. I nostri dirigenti son ben consapevoli di ciò: dipenderà in gran parte da te e da me se parleranno di queste realtà, oppure e piuta significa esigenza di collettivismo o comunismo. tanto che spesso i tre termini sono stati considerati sinonimi e scambiati tra loro. Tuttavia non va dimenticata l'esistenza an_che di forme di socialismo (p. e. il s. cristiano) che non aspirano alla socializzazione: e in quanto ai rapporti col comunismo, pur prescindendo da distinzioni di carattere teorico dovute a contingenze momentanee e a bisogni di differenziamento politico e pratico di dottrine e di partiti, va tenuto presente che questo non è soltanto programma di rivendicazione e d'azione di una classe proletaria, ma si presenta nella storia anche come dato di fatto, dovuto sia alla primordialità indifferenziata della società umana, sia a necessità belliche (Lipari) sia ad ascetismo· religioso che svaluta i beni terreni e reprime il desiderio del possesso individuale (es. comunità monastiche) e può anche essere un ideale etico-politico di società, che voglia eliminati gli interessi particolari fonti di conflitti per la solidale ricerca del bene comune (come in utopie antiche e moderne). Il soci al i s m o, i n v e c e, è s e m p r e r i s p o s t a ad una questione sociale, è un'esigenza che nasce dalla scission,e d e 11 a s o c i e t à i n c l a s s i e c o n o m i e am ente dominanti e soggette e si presenta essenzialmente come rivendicazione di 'queste ultime che, aspirando alla propria emancipazione, veggono la possibilità di realizzarla solo nell'eliminazione del privilegio ee on o mi c o. Ciò posto si può parlare di un socialismo in senso largo per ogni età o popolo in cui la società si presenti scissa in classi antagonistiche di possidenti e nullatenenti: perché sempre l'antitesi delle condizioni genera, col senso di inferiorità, dell'oppressione e della sofferenza, un più o meno consapevole malcontento e impulso di ribellione, una più o meno chiara riflessione sulle cause e sui rimedi dei mali lamentati, un'istintiva tendenza a rivendicazioni di giustizia e di uguglianza e quindi una ricerca delle vie per cui queste potrebbero essere raggiunte. E sebbene sia innegabile che nel senso più preciso e proprio il socialismo debba considerarsi un fatto storico essenzialmente moderno, è pure innegabile che gli sviluppi moderni si sono richiamati e ispirati anche a modelli antichi, classici e cristiani, cosi che l'esame dei germi apparsi nell'antichità e nel medio-evo può e deve far parte di una conoscenza storica del socialismo. R.M. dell'impiccagione di Hitler e di altre idiozie alla fine della guerra. Il signor Churchill, tornato dal suo incontro col signor Roosevelt, durante il quale venne firmata la Carta Atlantica, in un discorso alla radio, disse, con ammirabile prudenza, che questa volta noi abbiamo l'intenzione di disarmare la Germania completamente ma che non vogliamo impoverirla. Era una promessa piena di buon senso, che, col divenire la vittoria sempre più certa, molto raramente è stata ripetuta dai politici. Ancora una volta io vedo il pericolo di una pace politica che dimentichi le realtà economiche. Il maggior male del trattato di Versailles nacque non dalla determinazione delle frontiere, .né dalla sua eccessiva generosità o durezza per la Germania. Versailles dimenticò semplicemente, come abbiamo imparato in 20 anni di pace instabile e in pochi mesi di rapida conquista tedesca, che -l'Europa non può vivere come insieme di piccoli stati armati l'uno contro l'altro, con frontiere che una moderna aviazione non riesce quasi a notare, con dei sistemi economici chiusi dietro a barriere di tariffe, riducendo gli abitanti alla disoccupazione, al bisogno e all'idiozia politica, coni le politiche nazionalistiche, in un mondo che anche un bambino può capire che dev'essere organizzato internazionalmente. In una parola, il trattato dimenticò, come siamo ora di nuovo in pericolo di dimenticare, che in Europa vi sono circa 350 milioni di uomini i ' cui bisogni essenziali sono la sicurezza e un più elevato tenore di vita. Essi vogliono anche la libertà, ma questo non significa un gran che, se l'Europa nel suo complesso non diventa economicamente e socialmente una prospera azienda. Lascio altre questioni ad un'altra lettera. Segue da quel che ho detto che la prima necessità è che gli alleati abbiano dopo la guerra una politica comune: se si contrasteranno torneremo ad un'anarchia internazionale che ci condurrà presto ad una guerra peggiore della presente, sia o no la Germania polverizzata. Segue pure che questa politica comune deve comprendere non solo una macchina politica, che per se stessa si spezzerebbe al primo sforzo, ma anche un programma di ricostruzione per tutta l'Europa (lascio per ora da parte i problemi analoghi e non meno difficili del!' Asia). Questo programma dovrà comprendere le nazioni vinte (dopo che siano passate attraverso sconvolgimenti rivoluzionari), perché è impossibile che una parte dell'Europa sia ben nutrita se l'altra muore di fame. Se tu accetti queste proposizioni fondamentali troverai che c'è molte cose in cui possiamo credere e per le quali dobbiamo agire. Kingsley Martin. Vino nuovo in otri nuovi Libertà di pensiero e disciplina politica Per essere socio del partito socialista svizzero basta approvarne il programma politico e rispettare le deliberazioni dei congressi; in particolare, l'appartenenza al partito socialista svizzero non implica l'accettazione di una determinata dottrina filosofica e una obbligatoria vrofessione di ateismo. Cosi, tanto per specificare, nel partito socialista svizzero vi sono dei marxisti, dei socialisti religiosi di confessione cristiana, qualche socialista religioso di confessione israelitica, dei positivisti, dei pragmatisti, dei kantiani, ecc. e oltre ad essi lo solita maggioranza cordialmente indifferente ai problemi metaeconomici e metapolitici. Insomma il fatto che un socialista faccia battezzare i figli o, in qualità di pastore evangelico, la domenica mattina commenti dal pergamo, non i misteri del «Capitale» di Carlo Marx, ma le epistole di Paolo di Tarso, in questo paese non è considerato in contrasto con la disciplina politica del partito. Com'è noto, un costume identico prevale da tempo anche nei partiti socialisti dei paesi scandinavi e nel partito laburista inglese. L'eclettismo filosofico del partito non implica naturalmente un eclettismo dei singoli soci; e cioè, i marxisti del socialismo svizzero, o scandinavo, o inglese, non sono costretti ad essere marxisti eclettici, né i cristiani dei cristiani eclettici, né gli ebrei degli ebrei eclettici, e cosi via. L'unità e omogeneità si realizza in questi partiti sul terreno della lotta politica e sociale. Val la pena anche di notare che questa polifonia spirituale non ha messo finora in pericolo l'unità organizzativa dei partiti dianzi ricordati; se in essi sorgono frazioni e contrasti, ciò non risulta da incompatibilità fra marxista e kantiani, fra cristiani ed ebrei, ma da un diverso modo di concepire la strategia e la tattica del partito; ed è risaputo che da questi contrasti non sono immuni neppure i partiti rigorosamente marxisti ( ci sia consentita una rapidissima allusione alle vicende interne del partito comunista russo). Sono anche note le ragioni storiche per cui nei paesi latini e nell'Europa centrale il socialismo è stato costretto nel passato ad ereditare dai partiti democratici radicali il compito della lotta contro il clero e contro la religione e ad irrigidirsi in formulazioni ideologiche. Ma vari sintomi sembrano annunziare una svolta nel senso della libertà di fede e di pensiero anche nel socialismo di questi paesi. Se il socialista-cristiano André Philip è oggi alla testa del socialismo francese, questo non vuol certamente dire che il socialismo francese abbia girato le spalle a Marx, ma significa semplicemente che la professione di marxismo non è più una condizione «sine qua non» per militare nel socialismo francese. A quelli che seguono da vicino le difficoltà del movimento socialista clandestino tedesco è noto che la corrente socialista più vivace e•attiva in Germania è attualmente quella che trae ispirazione dalle opere del filosofo neo-kantiano Leonardo Nelson, e un rappresentante qualificato del socialismo tedesco in I svizzera è la compagna Prof. Anna Siemsen che non è una marxista. Noi affermiamo esplicitamente di vedere con la massima simpatia il socialismo europeo orientarsi verso la tolleranza religiosa e filosofica nel proprio reclutamento e nella formazione dei suoi quadri. Il nostro modesto foglio si ispira già a questo criterio. Noi non vogliamo seminare tra i socialisti, con la tolleranza, lo scetticismo e l'agnosticismo; ma, fortemente gelosi delle nostre convinzioni, rispettiamo quelle degli altri, e consideriamo compagni tutti coloro i quali concordano col nostro programme politico e sociale, qualunque siano le loro premesse filosofiche. Comitati di liberasione e fronti popolari Gli attuali comitati di liberazione, sorti in Francia, in Italia e in altri paesi per unificare gli sforzi politici dei partiti operai e dei partiti democratici, non devono esser giudicati, secondo noi, una reincarnazione dei fronti popolari, di melanconica memoria, per varie ragioni fondamentali: 1° i fronti popolari sorsero su base parlamentare ed elettorale, i comitati di liberazione invece dalla guerra civile; 2o i fronti popolari ebbero il compito di difendere le istituzioni democratiche, i comitati di liberazione invece dovranno crearle; 3° i fronti popolari si ponevano il problema del governo, i comitati di liberazione invece devono porsi quello dello stato. Può darsi che anche negli attuali comitati di liberazione si annidino forze che aspirano ad una restaurazione, ma il compito storico che attende invece il socialismo e la democrazia europea è di creare le nuove istituzioni, i nuovi organi politici dell'autogoverno popolare, in una parola: gli otri nuovi per il vino nuovo. Redattori: Dr. WERNERSTOCKERZ, urigo; PIERRE GRABERL, ausanne;ELMOPATOCCHIB, ellinzona Druck: OENOSSENSCHAFTSDRUCKEREIZ0RICH
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