L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 7 - 15 aprile 1944

T Bi Liberare e federare! Attualità di Proudhon Verso il socialismo federalista confluiscono attualmente le ricerche di varie correnti di pensiero che qui rapidamente elenchiamo: il Guild-Socialism dell'inglese G. D. H. Cole, la Wirtschaftsdemokratie di alcuni compagni tedeschi, il sindacalismo costruttivo del francese Maxime Leroy, il cooperativismo di molti dispersi cooperatori, le teorie giuridiche dei francesi Hauriou e Saleilles, e infine il diritto sociale di Georges Gurvitch. Se ci sarà concesso di svolgere senza ostacoli il nostro programma di formulazione del pensiero socialista federalista, ci proponiamo anzitutto di presentare e dare un'analisi delle tesi, in qualche modo tra loro apparentate eppure essenzialmente autonome, delle sei correnti sopra ricordate. Noi siamo convinti che questo porterà ad un forte arricchimento della dottrina socialista democratica, notevolmente schematizzata e inaridita durante la troppo lunga prevalenza degli epigoni marxisti della scuola di Kautsky. Nello svolgimento del nostro programma avremo anche occasione di rivalorizzare e di conciliare con le tendenze attuali del movimento operaio la cospicua corrente federalista del pensiero politico italiano, dai federalisti giacobini G. A. Ranza, G. Fanfuzzi, G. M. Bosisio, ai federalisti democratici e repubblicani C. Cattaneo e G. Ferrari. Il diritto sociale Nella critica dei rapporti tra sdcietà e stato il pensiero più denso d'insegnamento è oggi quello di Georges Gurvitch. La sua tesi fondamentale è nell'affermazione di un diritto sociale autonomo, a fianco e al di sopra del diritto statale e individuale. Questa tesi si sovrappone all'antico contrasto tra i fautori dello stato assolutista, per i quali lo stato è l'unica fonte del diritto, e gli adepti del diritto individualista, per i quali ogni diritto non può essere che una convenzione contrattuale. Nella dottrina di Gurvitch non vengono negati né il diritto individuale né quello statale, ma chiaramente circoscritti; accanto ad essi viene indicato e postulato un diritto sociale immensamente più vasto, che abbraccia tutti i diritti particolari. Da questo punto di vista il diritto dello stato democratico è anch'esso un diritto sociale, in quanto emana e serve la società politica dei cittadini; cosi come il diritto canonico corrisponde all'esistenza di una società religiosa e nelle sue vicende è ad essa legato; e alla stessa guisa è andato formandosi un diritto internazionale, non come concessione degli esistenti stati nazionali, spesso anzi in contrasto con essi, sebbene quale espressione giuridica del fatto concreto che si chiama società internazionale. Allorché un sindacato espelle dalle proprie file un socio, ed in certi casi l'espulsione può rappresentare la rovina dell'individuo colpito senza che egli abbia la possibilità di ricorrere ai tribunali ma solo alle istanze di appello dell'organizzazione sindacale stessa, si ha una nuova categoria di diritto sociale del tutto autonomo rispetto a quello dello stato. Su questa teoria pluralista del diritto si fonda e giustifica l'opposizione antitotalitaria del federalismo funzionale. La pluralità dei poteri è legittima perché rispecchia la vivente dialettica della realtà. Ogni attività politica la quale voglia ignorarlo è liberticida ed inumana, in qualunque modo essa pretenda poi giustificarsi. Bisogna però_ subito aggiungere che il concetto di ·«potere», nella teoria del diritto sociale, è diverso da quello dell'antico diritto statale. L'antico diritto si fondava sulla subordinazione; il diritto individualista-contrattualista poggia sulla coordinazione; il diritto sociale rivendica l'integrazione. Un'ottima introduzione allo studio del diritto sociale è Proudhon. Un morto che risuscita Tra i pensatori socialisti francesi, predecessori o contemporanei di Marx, Joseph Proudhon è il solo che possa ancora insegnarci alcune cose fondamentali. Com'è noto, Marx l'aggredì con estrema violenza e credé, ed in seguito anche ai suoi epigoni sembrò, che l'avesse demolito; ma, assieme a Marx, Proudhon vive ancora e noi possiamo giovarci del suo insegnamento. Noi esortiamo perciò gli uomini sinceramente preoccupati delle questioni politiche e sociali a leggere o a rileggere Proudhon. A leggerlo e a rileggerlo, s'intende, da persone intelligenti, e questo vuol dire non come un catechismo, non come un ricettario, non come un breviario di verità rivelate da imparare a memoria e da recitare nelle occasioni propizie. Proudhon è zeppo di contraddizioni, d'ineguaglianze, d'ingenuità, e il suo stesso stile è contorto ed oscuro. Per leggere Proudhon con profitto è inoltre indispensabile di non aver paura della parola anarchismo, e questa dote dell'intelligenza è piuttosto rara. Ma superati questi ostacoli, il lettore che si avventurerà in Proudhon sarà largamente ricompensato e spesso gli capiterà di stupire nel constatare quanto l'Europa del 1848 sia vicina a quella del 1944 e quanto viva fosse nei sociaO I listi di allora l'esigenza dell'autonomia e della libertà politica, esigenza più tardi, nell'epoca della seconda Internazionale, affievolitasi, e che ora, per il bene comune, bisogna risuscitare. Non c'è dubbio infatti che il contributo di Proudhon alla critica dello stato totalitario conserva ancora oggi un'efficacia essenziale; anzi, nella situazione odierna esso ha acquistato un valore di cui molti prima non si avvedevano. Il pensiero di Proudhon, a differenza di quello monolitico e rigorosamente logico di Marx, è pieno di contraddizioni, ma vi è un principio al quale, tra molte stravaganti incoerenze, Proudhon restò fedele durante tutta la sua vita: quello tendente a detronizzare lo stato dalla sua posizione di tiranno della vita sociale e a restituire alla persona e alla società, attraverso la liberazione dei suoi naturali centri motori, le prerogative di cui è stata progressivamente depauperata durante lunghi secoli di falsificazioni delle istituzioni civili. «La sostituzione del governo degli uomini con l'amministrazione delle cose», questo principio fu per prima affermato da Proudhon ed in seguito adottato da altri socialisti come formula definitiva di un'organizzazione umana senza oppressione politica. A cominciare dalle sue prime meditazioni sulla vita dei gruppi nei quali la specie umana si trova suddivisa, Proudhon è indotto ad insorgere quasi d'istinto contro ogni sistema avente la pretesa di far regnare l'unità per mezzo dell'autorità. Ed egli non esita a condannare, si può dire «a priori», la dottrina hegeliana - che d'altra parte egli non conosce che in modo molto sommario e di seconda mano - appunto perché essa risolve il processo dialettico mediante la celebrazione della «sintesi». E' una caratteristica del pensiero di Proudhon questa inesorabile negazione della sintesi, un rifiuto ostinato di ricercare la conciliazione in una dissoluzione dei contrari. Tutt'al più - come si è osservato con ragione - egli non intende pervenire alla conciliazione universale che per mezzo dell'«opposizione universale». Poiché le opposizioni sono eterne ed ogni tentativo di eliminarle si rivela sempre vano. Peggio, se tentato con imposizione autoritaria. Le forze che si trovano in presenza l'una dell'altra, nel seno della società, hanno ciascuna per conto proprio, una ragione di essere indistruttibile, di modo che la pace non può essere realizzata che attraverso un meccanismo di oscillazioni alternate e attraverso l'applicazione costante della legge suprema della giustizia, la quale sola potrà permettere ch'esse si tengano in equilibrio, le une in rapporto alle altre. Proudhon proietta questa necessità <lella lotta anche nella società senza classi, perché soltanto a questa condizione essa sarà una società vivente e suscettibile di ulteriore progresso; la differenza rispetto alla forma precedente di organizzazione sociale risiederà soltanto nel livello superiore in cui la lotta si svolgerà. Stato e società Secondo Proudhon significa rendersi colpevoli di un vero sacrilegio ammettere che lo stato possa essere posto al di sopra della società e che nello stato si possa percepire, seguendo le traccie di Hegel, una sorta d'incarnazione divina. Al contrario, è la società, ch'egli vuol far vivere a fianco e in seguito anche al di sopra dello stato concepito come potere governativo. Il suo obbiettivo ultimo, il sogno ardentemente perseguito da lui durante tutta la sua vita, è, ripetiamo, «la dissoluzione del governo nell'organizzazione sociale». Nel sistema ch'egli costruisce, ed all'interno del quale, definendolo, egli vorrebbe, in un certo senso, far posto nei loro termini autentici alle esigenze naturali ed incoercibili di qualsiasi forma di vita degli uomini in società, «la dignità individuale e la dignità collettiva, la coscienza personale e la comunanza delle coscienze, la libertà individuale e la libertà del gruppo in quanto totalità, insomma, l'individuo ed il gruppo, non possono mai essere separati, poiché essi si generano l'un l'altro reciprocamente nell'attività propriamente morale». L'opposizione, rinnovandosi in ogni i.stante, è la sola garanzia dell'ordine, vale a dire dell'equilibrio. Ma affinché un tale equilibrio possa essere raggiunto, è necessario, anzitutto, distruggere ogni legame arbitrario, ogni costruzione abusiva, ogni soprastruttura artificiale. E' necessario, conseguentemente, riconoscere le forme sociali spontanee e trasformare lo stato, riducendone i poteri. L'equilibrio tra la società e lo stato, vale a dire la disciplina naturale e fondamentale della loro coesistenza, presuppongono la realizzazione preventiva di tutta una serie di equilibri nell'interno di ciascuno degli ordini che si presentono, l'uno in rapporto all'altro, in una situazione di indipendenza: distribuzione dei poteri, equilibrio tra libertà ed autorità, tra centralizzazione e federalismo sia territoriale che funzionale, e via di seguito. Secondo Proudhon, il principio di una delimitazione dello stato fondata sull'iniziativa dei gruppi sociali (ed a questo proposito egli pecca di apriorismo, dato che non si tratta qui di un frazionamento artificiale, e, per cosi dire, simmetricamente ordinato, una volta per tutte, secondo un criterio immutabile, ma, al contrario, di un vero atto di liberazione compiuto da una realtà complessa e multipla, e sempre mobile, che lo stato moderno reprime violentemente), questo principio il quale tende ad attribuire alla società organizzata la funzione di delimitare e definire il compito e la parte dello stato, non solamente solleva e risolve UI}-aquestione di vitale importanza per le libertà individuali e collettive, ma permette altresi di ottemperare ad una condizione essenziale, alla realizzazione della quale è sempre subordinata la stabilità stessa dello stato. Il ruolo del proletariato L'idea che Proudhon agita, a guisa di uno specifico infallibile per la preservazione del corpo sociale contro ogni abuso ed ogni eccesso di potere, è 1 ' i d e a o p e r a i a , la quale si fa valere attraverso la creazione del diritto economico e il cui sviluppo implica l'unione federativa di gruppi integranti il loro diritto economico particolare in un diritto economico comune, il quale è precisamente il diritto che reggerà la federazione dei produttori chiamata da Proudhon industriale-agricola. La struttura sindacale malgrado le ripugnanze che per effetto di un recente passato essa suscita, non spaventa Proudhon. Egli è sicuro che una volta integrati, per virtù della costituzione sociale a carattere mutualista, nella federazione industriale generale, i sindacati o corporazioni si troveranno automaticamente spogliati di ogni carattere egoistico o sovversivo, pur conservando tutti i vantaggi derivanti dalla loro potenza economica. Per lui non vi è dubbio ch'essi saranno a poco a poco spinti a trasformarsi in «altrettante èhiese particolari in seno alla Chiesa universale, di cui eventualmente esse sole saranno sempre in grado di assicurare la sopravvivenza se per caso questa dovesse scomparire». E' grazie alla combinazione di queste federazioni particolari, all'infuori della federazione economica generale, che ogni specie di asservimento dell'uomo potrà essere definitivamente bandito e che le classi, nate dall'autarchia economica e dall'individualismo speculatore, distinguendosi ancora, secondo una terminologia corrente, in classe superiore e classi inferiori, potranno raggiungere reciprocamente une perfetta e solida omogeneità. Fondandosi sulle sue premesse categoriche ed in piena coerenza con queste suggestive anticipazioni, Proudhon è portato a combattere ed a condannare con una eguale intransigenza tanto l'universalismo comunista che l'individualismo strettamente personalista. Il problema per lui è di trovare una forma di organizzazione della vita economica che sia lontano cosi dal collettivismo statale come dal liberismo individualista; un ordine della società economica, indipendente rispetto allo stato e costituente una totalità reale di carattere antigerarchico. «Mantenere la personalità umana in un regime di associazione e salvare la libertà dalle catene della comunità nella vita economica» ( «Seconda Memoria sulla Proprietà», primo voi., pag. 229), questo è lo scopo che deve realizzare la società organizzata, opposta allo stato. Proudhon attacca sovente la concezione giacobina dello stato, fortemente autoritaria e centralizzatrice. E' una concezione, egli osserva, che «non afferra lo stato in ciò che ha di concreto e positivo . . . e lo considera solo come strumento di dominazione», ( «Soluzione del problema sociale», pag. 70). «E' solo perché la società non è stata mai organizzata, ma solo sulla via d'organizzarsi, ch'essa ha avuto bisogno finora di legislatori, di uomini di stato, di eroi e di commissari di polizia» (Miscellanea, III, pag. 55). «Al di sotto dell'apparato governativo, all'ombra delle istituzioni politiche, lontano dagli sguardi degli uomini di stato . . . la società produce lentamente e in silenzio il suo proprio organismo, essa si fa un nuovo ordine» ( «Idea generale della rivoluzione», pag. 300). «Iodistinguo, egli scrive, in ogni società due specie di costituzioni: l'una che si chiama la costituzione sociale, l'altra che è la costituzione politica; la prima intima all'umanità, liberale, necessaria ... cosa organica ... e il cui sviluppo consiste soprattutto a indebolire ed eliminare a poco a poco la seconda, essenzialmente fittizia ... meccanica ... restrittiva ... transitoria. Queste due costituzioni . . . sono di natura assolutamente diverse e perfino incompatibili» ( «Confessioni di un rivoluzionario», ~ag. 67 _e seguenti). «La sovranità è un'espress10n~ pericolosa ed è augurabile che nell'avveru~e la democrazia se ne preservi; qualunque sia la potenza dell'essere collettivo, non per_ ciò_e_ssa costituisce una sovranità» ( «Della Grnstiz1a», pag. 114). Lo stato deve affermars~ «!a risultante e non la dominante» della società econo• mica ( «Della Giustizia», pag. 122). «Portiamo a termine, verso e contro tutti, la rivoluzione cominciata nell'89 e fondiamo l'equilibrio economico e sociale, cioè il diritto, la libertà, l'uguaglianza (io non parlo di governo, io non parlo qui di politica) sulla repubblica industriale» ( «Manuale di uno speculatore», pag. 7). Proudhon si dichiara di conseguenza per la più grande autonomia possibile dei comuni e anche per l'auto-governo dei servizi pubblici (scuole'. tribunali, posta, ferrovie, ecc.). L'insieme d1 questi corpi autonomi costituisce lo stato. «Il governo più libero e più morale è quello nel quale i poteri sono meglio suddivisi, l'ammini: straziane meglio ripartita, l'indipendenza dei gruppi più rispettata, le autorità provinciali, cantonali, municipali meglio servite dall'autorità centrale: in una parola, il governo federativo» ( «Del principio federativo», pag. 114). Sul piano astratto, sul terreno dei principi più generali e sommari, il programma di Proudhon appare quindi abbastanza organico e coerente. Sventuratamente questi caratteri sembrano spogliarsi di ogni significato preciso man mano che si cerca di verificare l'aderenza di questo programma alle esigenze di una riforma dell'ordinamento della vita sociale, la quale si proponga di demolire senza pietà le posizioni sulle quali, da tanto tempo, il moderno stato monocentrico si trova ·solidamente installato. A buon diritto, a proposito di federalismo, si è osservato in epoca del tutto recente che invano si cercherebbero in tutta l'opera di Proudhon - che è tuttavia conosciuta come quella del più celebre federalista - indicazioni non equivoche permettenti di renderci conto del contenuto effettivo che Proudhon stesso ha inteso attribuire a questa nozione a lui tanto cara, sia nell'ordine della politica interna che in quello della politica internazionale. Bisogna dunque ricostruirla procedendo a tastoni. La federazione, nel sistema ch'egli abbozza, non è altro, in realtà,· che una convenzione, grazie alla quale, uno o più capi di famiglia, uno o più comuni, uno o più raggruppamenti di comuni, uno o più stati, si obbligano reciprocamente ed egualmente, gli uni in r~pporto agli altri, in rapporto ad uno o più scopi particolari, scopi il cui raggiungimento sarà poi compito speciale ed egualitario dei delegati della Federazione. Egli non esita a far risiedere in questa definizione tutta la scienza costituzionale, di cui egli definisce il compito per mezzo delle tre proposizioni seguenti: 1° Trovare dei gruppi mediocri (sic!) di cui ciascuno goda di una propria sovranità ed unirli per mezzo di un patto federativo; 2° Organizzare il governo all'interno di ogni stato federato secondo il principio della separazione degli organi; 3 ° Invece di assorbire i poteri degli stati federati e delle autorità provinciali e municipali nella competenza di un'autorità centrale provvedere metodicamente a far si che le attribuzioni di questa siano ridotte ad un semplice compito d'iniziativa generale, di garanzia mutua, di sorveglianza, e provvedere alla predisposizione di misure tali che i decreti presi dalla detta autorità non possano divenire esecutivi che allorché sono muniti di un visto da parte dei governi confederati, e questo per cura di agenti posti sotto i loro ordini. In altre parole, secondo Proudhon, il governo, qualunque sia l'estensione dei suoi poteri, non deve essere e non deve rappresentare mai altra cosa che un sistema di garanzie o di limitazioni che si affermano e si fanno valere attraverso un processo, per cosi dire, di generazione spontanea. Il mutualismo, vale a dire, la solidarietà è la chiave di volta dell'ordine ch'egli preconizza. Egli vi ricorre come ad una forza della natura che basta evocare per ottenere che la vita sociale sia, di un sol colpo e come per incanto, purgata di tutti i vizi e perché la giustizia sia trionfalmente instaurata su basi indistruttibili. Lo stesso principio di mutua garanzia - egli scrive - che deve assicurare a ciascuno l'istruzione, il lavoro, il godimento della proprietà, lo scambio dei prodotti, assicurerà egualmente a tutti l'ordine, la giustizia, la pace, l'eguaglianza, la fedeltà dei funzionari, il fervore e l'applicazione da parte della collettività tutta intera. A leggere simili affermazioni sembrerebbe che vocazione naturale della società sia di produrre gratuitamente l'armonia, il benessere, la felicità. Tutti questi beni sarebbero a portata di mano se soltanto si acconsentisse a non turbare lo sviluppo spontaneo delle forze umane nei rapporti reciproci della coesistenza. «La formazione spontanea e popolare dei gruppi di produzione delle officine, delle compagnie, delle associazioni dei lavoratori che fanno partecipare tutti gli associati alla direzione dell'impresa nei limiti ed aUe condizioni fissati per mezzo dell ' a t t o s o c i a 1 e e che sono fondati sopra i nuovi principi di diritto sconosciuti al Codice», costituisce per Proudhon il primo passo verso la costituzione della

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