L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 7 - 15 aprile 1944

Anno XXXV (nuova serie) N. 7 Zurigo, 15 Aprile 1944 LIBERARE E FEDERARE! QUIN.DICINALE SOCIALISTA Redazione e A mm in i strazi on e: Casella postale No. 213, Zurigo 6; Conto postale No. VIII 26 305; Telefono: 3 70 87 Abbonamenti: 24 numeri Fr. 6.-. 12 numeri Fr. 3.-. una copia Cent. 30 Lo spirito del nuoyo socialismo europeo Discorso di André Philip André Philip, commissario per gli affari interni nel Comitato Francese di Liberazione Nazionale presieduto dal generale De Gaulle, è oggi il capo riconosciuto del socialismo francese, dopo essere stato per molti anni uno dei suoi militanti più colti, più seri e meno ascoltati. Egli appartiene alla corrente, ora abbastanza numerosa, degli uomini arrivati al socialismo partendo dalle esigenze etiche e dall'intuizione cristiana della vita ed è rimasto fedele a questa sua provenienza. A questo titolo egli è anche conosciuto in I svizzera per aver preso parte a convegni e discussioni promossi dal gruppo dei socialisti religiosi capeggiato dal Prof. Ragaz. Ohe André Philip sia oggi la guida politica e spirituale del socialismo francese è un altro segno dei tempi. Il discorso che più sotto riportiamo, traducendolo dalla rivista inglese «Socialist Oommentary», fu da lui tenuto a Londra appena vi arrivò dopo una fortunosa fuga dalla Francia. «Mentre noi siamo qui riuniti io sto pensando alla classe lavoratrice del mio paese, alle migliaia di lavoratori francesi che non hanno abbastanza da mangiare, che vivono sotto la minaccia della Gestapo, che vengono deportati in Germania per essere assoggettati ad un lavoro da schiavi. Io sto pensando alle migliaia di essi che, piuttosto che andare in Germania, vivono nelle montagne per conservare la loro libertà. Questi sono gli uomini che io rappresento qui questa sera. E' stato detto che allorché il momento della liberazione sarà giunto tutti i popoli d'Europa saranno cosi indeboliti e depressi per effetto delle privazioni sofferte che essi saranno disposti ad accettare qualsiasi cosa o chiunque sarà in condizione di procurare loro del cibo. Non credetelo. Invece è proprio quando il popolo non ha abbastanza da mangiare che esso abbisogna più che mai di tendere con fede ad una meta ideale, morale. E' proprio in tali condizioni che essi realizzano come la libertà sia più essenziale che il pane stesso. I lavoratori francesi si sono impegnati a fondo in una lotta senza quartiere contro l'oppressore ed essi continueranno a combattere fino a che non avranno conquistato una reale libertà ed una società migliore. E non sono essi gli individui che si lasceranno comperare con del pane e del latte condensato. Le circostanze nelle quali la Francia è stata sconfitta hanno dato ai lavoratori francesi una esperienza più profonda di quanto non si sia verificato in altri paesi. Il flagrante tradimento di coloro che erano capo dell'esercito e del governo hanno fatto comprendere al popolo francese che quella non era soltanto una guerra nazionale. La guerra del 1918 venne perduta perché essa si risolse in una serie di guerre nazionali in Europa. Questa guerra è invece una fasa della guerra civile europea, una guerra religiosa, la lotta tra due diverse concezioni del mondo, due diversi ed opposti modi di vita. La nostra stessa esistenza è in giuoco. L'esito di questa guerra deciderà se noi saremo capaci di vivere da uomini liberi di esprimere noi stessi. Noi possiamo raggiungere questa meta introducendo Libertà, Fraternità ed Eguaglianza non soltanto sui nostri monumenti ma anche nei nostri cuori e facendo di esse la base delle nostre istituzioni economiche e politiche. Se noi permetteremo alle differenze di razza o di nazionalità di penetrare nelle nostre menti, se noi permetteremo a coloro che hanno collaborato con Hitler e soltanto per salvare la propria pelle in seguito hanno cambiato di bandiera, se permetteremo a questi di riacquistare il potere, allora Hitler, anche s'egli avrà perduto tutte le battaglie, avrà vinto la guerra. In Francia, mentre il paese viene roso dalla miseria e dalle sofferenze, ha luogo un processo di meditazione ed educazione intellettuale. Prima di abbandonare la Francia io ho fondato yen ti gruppi di studi in diversi ~osti. del paese. Ora · · andaJt d 1 r golJ-fI ppo s I lo at Y1t . ~rado ~chiJ e ericol migliaia di individui si riuniscono per meditare e discutere come sia possibile creare una società capace di assicurare la giustizia, una società degna di prendere il posto della fallita democrazia. Bisogna ricostruire una nuova democrazia nella quale debbono essere conservati. elementi di quella passata, ma sotto una forma diversa. Una cosa è sicura: la rivoluzione è gia cominciata, noi non possiamo tornare indietro. La borghesia ha tradito la nazione e si è dimostrata indegna della posizione che, come classe dirigente, aveva nel paese. Noi abbisogniamo di un'economia eseguita secondo un piano razionale, ma certamente sorgerà un conflitto quando si dovrà decidere chi dovrà dirigere tale piano e quale sarà tale piano. Le vecchie classi dirigenti tenteranno ancora una volta di impadronirsi delle posizioni-chiave dello stato e di conservare i loro privilegi. Se noi non vogliamo essere dei giuocattoli nelle loro mani, dovremo organizzare il lavoro secondo i fondamenti del socialismo internazionale. La vita economica dovrà essere diretta da una libera organizzazione delle classi lavoratrici, organizzazione che si va ricostituendo oggidì - sui resti della vecchia C. G. T. e del Partito Socialista Francese. Finora nessuno spirito nazionalistico, nessuno spirito di odio o di vendetta si è sviluppato in seno al popolo francese. Esiste soltanto una decisa volontà di ristabilire l'indipendenza del nostro paese: esiste inoltre la volontà di collaborare e cooperare con ogni altro popolo d'Europa e con tutto il mondo. Noi siamo persuasi perfettamente che, se vogliamo guadagnare la pace, lo potremo fare soltanto su di una base internazionale. Noi vorremmo vedere, per esempio, tutte le importanti industrie d'Europa internazionalizzate, o poste sotto il controllo di un'autorità europea. Noi sentiamo che il problema di assicurare alla Francia l'unità non è un problema puramente francese. Il modo con cui questo problema verrà risolto, deciderà se la ricostruzione della Francia verrà effetuata pacificamente, per il generale consenso della maggioranza del popolo, o se ciò avverrà per mezzo della guerra civile. La seconda eventualità rappresenterebbe un pericolo non soltanto per il futuro della Francia, ma per tutto il mondo ... Noi, francesi combattenti, siamo soltanto poche migliaia di uomini e noi ci rendiamo conto quanti pochi siamo e quanto poco ciò sia in confronto all'immenso sforzo delle grandi Nazioni Unite. La sola forza che la Francia combattente possiede è di rappresentare un principio al quale noi teniamo fortemente. Noi abbiamo iniziato la nostra resistenza disperata per la nostra fede nel rispetto della personalità umana e nell'uguaglianza dei diritti per tutti. N o i c o n se r vere mm o la nostra fede anche se noi fossimo soli, con tutto il mondo contro di noi, senza speranza di v i t t o r i a. E e e o , c h e e o s a s i g n i f i e a essere socialista e combattere e o m e s o c i a 1 i s t a. Io non credo in compromessi che distruggano la nostra forza e la nostra volontà. Molti ci suggeriscono che è meglio non parlare troppo apertamente, ma invece piuttosto concentrarsi a vincere la guerra. Ma questo non è sicuramente il modo di vincere la guerra. Questa è una guerra di popoli, nella quale questi sono tenuti a fare tutto il possibile, a sacrificare tutto. L'unico modo di vincere questa guerra, comunque è di sollevare l'entusiasmo di coloro che stanno combattendo e di convincerli che le mete di questa guerra sono de&!le che si muoia per esse. I capitalisti una volta di più allungano le mani verso la ricchezza, ma facendo cosi essi distruggono lo sforzo stesso della guerra. Il mondo di domani sarà la conseguenza di ciò che noi facciamo oggi. Noi dobbiamo essere sicuri che la vittoria non ci verrà strappata dal pugno. Il giorno in cui avrà luogo uno sbarco alleato in Francia i lavoratori di tutto il paese saranno armati e forti abbastanza per raggiungere i propri obbiettivi. Oggidì sono le classi lavoratrici a combattere ed a soffrire di più. Domani esse occuperanno il posto più importante nella società nuova. Questa guerra contiene il seme di una rivoluzione socialista che potrà estendersi a tutto il mondo. E' dovere dei socialisti di rendere l'Internazionale Socialista più forte e più attiva cosi che essa possa esercitare l'influenza che le spetta nella società futura. Noi socialisti internazionalisti dobbiamo essere all'avanguardia delle nuove forze che creeranno l'Europa di domani.» Ospitalità produttiYa Nella rivista mensile «Gesundheit und Wohlfahrt» edita dalla Società Svizzera di Igiene il noto medico zurighese prof. W. von Gonzenbach ha pubblicato uno studio su i profughi, studio che egli definisce «il risultato di contatti personali con illu.merosi emigranti appartenenti a ceti intellettuali e di colloqui con personalità eh~ da anni svolgono attiva opera di soccorso verso gli emigranti stessi». Dopo un'acuta analisi psicologica sulla situazione spirituale del rifugiato, l'autore discute la questione dell'improduttività dei rifugiati, improduttività che spesso viene voluta e mantenuta dalle autorità con una scrupolosità raffinata, ed accenna per il superamento di quella a mezzi che rivelano una sempre maggiore tendenza ad istradare i profughi verso il lavoro. Il prof. von Gonzenbach s-crive: «Fa parte della ricostruzione della personalità, senza la quale non può esistere alcuna ricostruzione della civiltà, di risvegliare progressivamente la gioia e la volontà al lavoro. Quest'attività educativa ha come premessa l'interesse personale del rifugiato per il lavoro. Questo lavoro deve avere un contenuto, deve essere produttivo. In tal modo il-non facile-allievo anche se non imparerà un vero e proprio mestiere di cui poter vivere nel dopo-guerra, per lo meno dovrà assimilare delle cognizioni e eU~ manualità elementari e metodiche che segu·to re deranno più facile e più breve l'apprendimento di un mestiere. Istradamento al lavoro, apprendimento di un mestiere o di un nuovo mestiere sono i problemi più importanti per la soluzione del problema dei profughi. Un lavoro senza senso, un lavoro purchessia, prescritto "tanto per tenere occupata la gente,,, ottiene invece l'effetto diametralmente opposto. In tale caso sarà impossibile, non appena cesseranno le condizioni di anormalità, una ripresa di lavoro costante e produttivo. Per comprendere l'importanza della "pedagogia del lavoro,, bisogna considerare che la guerra e le conseguenze della guen·a hanno prodotto centinaia di migliaia di individui improduttivi. Se gli eventi permetteranno di scambiare il soggiorno in un paese-asilo con l'emigrazione in una nuova patria ove creare una nuova esistenza, allora i profughi di una volta non potranno non pensare con riconoscenza al paese ed agli abitanti del paese che salvarono loro la vita ed hanno fatto loro regalo di una nuova vita. Tali sentimenti di amicizia per il paese che ospitò sono pro d u t ti v i ; essi conducono alla ricostruzione della personalità, alla ricostruzione di una casa, alla riunione di una famiglia. Essa crea la vita. Una fraterna concezione del diritto di asilo nella sua tradizionale autenticità, una manifestazione di solidarietà umana, la protezione della libertà personale in adempimento alla tradizione svizzera, questo è stato il significato CORO DI DEPORTATI Quando il ghiaccio striderà dentro le rive verdi, e romperanno dai celesti d'aria amara nelle pozze delle carraie globi barbari di primavera noi saremo lontani. Vorremmo tornare e guardare, carezzare il trif aglio dei prati, gli stipiti della casa nuova, piangere di pietà dove passò nostra madre: invece saremo lontani. Invece noi prigionieri rideremo senza requie e odieremo fin dove le lame dei coltelli s'impugnano. Maledetto chi ci conduce lontano, sempre lontano. E quando saremo tornati l'erba pazza sarà nei cortili, e il fiato dei morti nell'aria. Le rughe sopra le mani, la ruggine sopra i badili: e ancora saremo lontani. Saremo ancora lontani dal viso che in sogno ci accoglie qui, stanchi d'odio e d'amore. Ma verranno nuove le mani come vengono nuove le foglie ora ai nostri campi lontani. Ma la gemma s'aprirà, e la fonte parlerà, come una volta. Splenderai, pietra sepolta, nostro antico cuore umano, scheggia cruda, legge nuda, all'occhio del cielo lontano. FRANGO FORTINI dell'azione di salvataggio iniziata dal popolo svizzero nell'Agosto 1942. Soltanto un affettuo:;,o interesse alla sorte del rifugiato in quanto individuo e la co;nprensione della sua situazione particolare permetteranno_ di far raggiungere ad una tale azione la propria meta. Se il primato dello spirito verrà di nuovo ammesso da tutti, allora quest'azione svolta dalla Svizzera in un tenebroso periodo della storia europea costituirà un'irrefragabile dimostrazione della missione europea della Svizzera stessa.» Un patto morale Il socialismo è oggi una parola alla quale si attribuiscono sensi cosi diversi e lati da confondere spesso il suo significato vero. Gli uomini che si dicono socialisti lo sono per un'atteggiamento umanitario del loro animo e raramente hanno una concezione chiara, non dico di che cosa possa essere una società socialista, ma di quella che è l'aspirazione dei lavoratori. Troppo tempo è passato senza che di una coltura e di una educazione socialisticamente intesa abbiano potuto nutrirsi e sentire gli effetti. I vecchi sono rimasti sulle vecchie posizioni senza poterle aggiornare, i giovani sono diseducati a ogni autonomia di pensiero. Resta nel mezzo una generazione tartassata, coartata, per lo più avvilita e agnostica, con gravi pesi materiali sulle spalle, dalla quale una piccola sparuta minoranza, che ha solitariamente riflettuto sulle cose ed è cosciente della evoluzione storica, si salva e può a buon diritto alzare una bandiera di coerenza e di intransigenza morale. Questa generazione, che è la nostra, non ha ancora potuto dire la sua parola, non ha ancora potuto assumere le sue effettive responsabilità. Dovrà fatalmente subentrare domani a quella già logorata dagli anni e dalle involuzioni reazionarie. Ma difficilmente potremmo dire che essa è preparata a tale compito. Si tratta di tutta una categoria, di tutto uno strato sociale che fino ad ieri nella sua grande maggioranza è rimasto succube, la cui maturazione ultima, il cui rendimento ai fini sociali è ancora suscettibile di influenze. Non dobbiamo assolutamente permettere che essa si sbandi dietro le mode politiche o s'aggrappi al passato come all'unica ancora di salvezza. Per la ricostruzione avremo bisogno di tutte le forze in campo e non saranno certo troppe. Evitare le dispersioni; vivificare i propositi, gli istinti generosi di quanti - per lo più per disperazione - stanno ripiegando sugli egoismi, sugli individualismi; riaccendere la speranza, il disinteresse, la solidarietà, dovunque sembra che stiano per spegnersi; esigere l'impegno della partecipazione sulla base di un patto morale che vincoli le coscienze pnma che gli interessi. Gli uomini hanno pur bisogno di credere in qualche cosa che non sia soltanto una dialettica e in questa esigenza si possono trovare forse molte spiegazioni di passate deviazioni. Occorre aggiornare una filosofia e una prassi, occorre concretare una base non solo materiale ma anche ideale e spirituale di partenza. Significherà fondare un'autorità, una forza d'attrazione, una leva che unifichi e orienti le energie.

Le Iorze della nuoya Ellropa Giudizi politici inglesi La democrazia italiana Dal «The New Statesman and Nation» del 4 marzo 1944: L'appoggio dato dal signore Churchill a Vittorio Emanuele e al maresciallo Badoglio pare abbia causato un certo naturale malessere fra i democratici italiani. Fino al suo discorso sembrava possibile che avessero avuto luogo delle discussioni non ufficiali fra le autorità alleate ed il Comitato di Liberazione a proposito di un mutamento della classe dirigente italiana sicuramente dopo la caduta di Roma e forse anche prima. La radio Bari aveva annunciato che una deputazione del Comitato era stata ricevuta dal generale Mac Farlane e che l'atmosfera della riunione era stata «cordiale». Contemporaneamente il Comitato ritirò un appello anti-monarchico che aveva messo in circolazione tra gli impiegati statali. Ma qualunque cosa possa essere stata nell'aria, l'atteggiamen.to dei democratici si è irrigidito dopo la caustica svalutazione fatta dal signore Churchill del loro ruolo. La loro posizione è molto difficile: non vorrebbero creare imbarazzi a un esercito che sta liberando il loro paese ma sono decisi a sorvegliare che la liberazione non sia soltanto formale. Essi ritengono di poter organizzare un aiuto molto più efficiente agli alleati di quello che può dar loro un qualsiasi governo-pupazzo, comunque «legittimo» sia. Intanto gli effetti della nostra amministrazione sono destinati ad indebolire le loro probabilità di successo in quanto aiutano la reazione a rafforzarsi. Forse il miglior esempio di questo lo vediamo nell'assoggettamento della scuola alla chiesa. In Sicilia, sotto il regime AMGOT per la prima volta da quando l'Italia è divenuta un Regno, l e s c u o l e elementari furono consegnate alla Chiesa con piena autorità di organizzarle e controllarle. A Napoli per la riapertura è stata data 1 a p r e c e d e n z a a 11 e s c u o 1 e c I e r i c a 1 i s e c o n d a r i e. Le scuole laiche, almeno fino alla data della nostra informazione, sono rimaste chiuse. L'UNRBA~decide In un articolo di critica alle 41 risoluzioni prese dall'UNRRA, amministrazione di soccorso e di ricostruzione delle Nazioni Unite, nella riunione tenuta ad Atlantic City «L'Economisb del 4 dicembre 1943 scrive: Per quel che si può capire dai rapporti pubblicati niente nei piani costruiti ad Atlantic City fa P!:e·;ectere ---- ------·---,::.'ac..;:;:;.c,~=- ç·.irop._a più costn.ctiva, più cooperatrice e più indirizzata all'unificazione europea. Al contrario, in ogni punto l'accento è stato messo sulla sovranità nazionale, sull'indipendenza sovrana, sull'autorità dei governi, ciascuno nella sua propria sfera territoriale. Da uno dei delegati inglesi fu avanzata la proposta che tutti i trasporti per terra delle derrate alimentari dovessero essere messe sotto un'autorità sovrana . . . ma non sembra che si sia pensato a creare una tale autorità. Bit Uno dei principi fondamentali della politica alleata nei primi anni della guerra era che, •comunque gravi avrebbero dovuto essere le limitazioni militari imposte alla Germania, la ricostruzione economica sarebbe stata estesa tanto ai vincitori che ai vinti: questo principio derivava dall'esperienza degli anni interbellici che la rovina economica e il collasso di un qualsiasi stato ha delle ripercussioni disastrose sui suoi vicini, e che, in particolare, il caos economico in Germania è stato il maggior fattore del trionfo nazista. Nel 1941 il signore Eden spiegò che le condizioni militari che sarebbero imposte sarebbero state dure ma che le condizioni economiche sarebbero tali da dare al popolo tedesco la possibilità di vivere. Questa politica fu incorporata nel 4° punto della Carta Atlantica. Non, si può dire che il consiglio dell'UNRRA abbia respinto formalmente questi principi, ma la discussione sul tratta~en~o- da infliggere alla Germania è stata ben sign.ificativa. Non si è approvato l'emendamento inglese sostenuto dagli Stati Uniti e dalla Cina che il territorio nemico dovrà pagare per i soccorsi «nella misura maggiore possibile», ma la mozione che la Germania dovrà pagare totalmente. Cosi in una questione cruciale, la gradazione dei soccorsi viene ad essere indipendente dai bisogni e viene reintrodotto il principio che ha impedito, l'ultima volta di arrivare ad una ragionevole sistemazione: Giacché la capacità di pagare e l'obbligo di pagare non hanno fra loro alcun rapporto necessario. Pure, queste prove di spirito intransigente sono poca cosa in confronto con l'umore dimostrato dalle piccole nazioni fuori della sala dell~ conf erenza. Viene riferito che i norvegesi hanno richiesto la restituzione da parte della Germania di tutto il naviglio che hanno perduto per la guerra sottomarina,_ rich_iesta qu_esta che significherebbe voler cancare 1 tedeschi del pieno costo della guerra. Il signore Kersten, delegato olandese, secondo quel che ci è pur riferito ha dichiarato che l'industria tedesca non ddvrebbe essere restaurata al di là di quel che sono le necessità per soddisfare «i bisogni interni della Germania». La qual c~sa, osserviamo incidentalmente, renderebbe Impossibile a4e Germani di soddisfare aocu altro bisongo dell'Europa o fuori d'Europa, quelli delle riparazioni o«iegli scambi commerciali. Sembra che gli olandesi, i cechi, i belgi, i polacchi abbiano discusso a Londra il modo per ridurre l'efficienza industriale tedesca. Essi vorrebbero che le loro industrie prendessero il posto sui mercati mondiali lasciati cosi liberi dall'industria tedesca. Questa è la ragione del loro atteggiamento nei riguardi della Germania e dell'UNRRA. Il voto contro l'emendamento inglese è il primo tentativo di introdurre in una politica attiva tale atteggiamento. Non dovrebbe quindi esservi alcun dubbio sulla sua direzione. L'impoverimento coatto e perma_nente della Germania porterebbe non solo alla disperazione e alla follia politica il popolo tedesco ma anche all'impoverimento dell'Europa. I vicini della Germania possono sperare di acquistare quelli che erano prima i mercati dei suoi prodotti, ma impoverendo la Germania essi perderanno uno dei maggiori mercati e la loro fonte più importante per rifornirsi. Se contemporaneamente domandano, ed è loro diritto di domandare, un pieno indennizzo per i beni danneggiati, e forse anche le riparazioni per il costo completo della guerra, coi;ne potrà una Germania paralizzata e strangolata. pagare i suoi debiti? Nessun passo irrevocabile è stato mosso ad Atlantic City in questo vicolo cieco, ma le tendenze erano in questo senso. E' necessario ripetere che questo è proprio stato l'errore massimo commesso dagli alleati dopo l'altra guerra? E quando ciò si consideri insieme all'incapacità dei partecipanti alla riunione di Atla,n,tic City di fare dei piani per il futuro dell'Europa con una visione più ampia dei problemi, non siamo in qualche modo giustificati a pensare che si è sulla strada di un fallimento analogo a quello del 1919? Nel 1919 Lord Keynes scrisse: «Lo scopo di questo mio libro è di mostrare che una pace cartaginese non è n é g i u s t a n é p o s s i b i l e . . . Le lancette dell'orologio non possono essere messe indietro. Non potete ristabilire l'Europa del 1840 senza sforzare la struttura europea in tale modo, e senza scatenare tali forze umane e spirituali che, superando le frontiere e le divisioni di razza sommergeranno non solo voi e le vostre garanzie ma anche le vostre istituzioni e l'ordine esistente della vostra società.» Questa profezia si è realizzata nel modo più completo. Oggi non è il mondo del 1870 ma il mondo del 1919 che si vorrebbe tenere presente come «normale:i>.Di nuovo si vuole mettere:indietro le lancette dell'orologio. E di nuovo inevitabilmente si avranno gli stessi risultati. Non è troppo tardi per organizzare un'Europa ordinata e cooperatrice in cui vinti e vittoriosi possano un giorno vivere e lavorare insieme, ma è già molto vicina la undicesima ora. Lettera ad un ufficiale Dalla rivista democratica e socialista «New Statesman and Nation» del 19 febbraio 1944 traduciamo la seguente «Risposta alla lettera di un giovane ufficiale sotto le armi»: Caro Jack, non avrei mai pensato che si potesse far entrare tante cose su un foglio per posta aerea. M'è stato molto utile conoscere quali questioni trattate tra voi. Tu mit dici che, a parte la volontà di battere il nemico nel più breve tempo possibile, sul resto siete assolutamente all'oscuro di tutto. I giornali e la radio vi sembrano solo propaganda. T,:a voi discutete il «dopo guerra», come «evitarne un'altra», e fino a qual punto deve essere «punita» la Germania. Avete dei dubbi sull'unità delle Nazioni Unite, e sentite che i «politici» ( che un po' frettolosamente mettete tutti nello stesso mazzo) non s'adoperano come dovrebbero per cercare di rendere il mondo più abitabile che avanti la guerra. (E' ,ben strano che ci sia ancora gente che pensa all'uccisione di qualche milione di persone, agli incendi di città, all'affamamento di coloro che sfuggono alle bombe, come a un probabile processo per rendere migliore il mondo.) Siete afflitti dalle sventure del popolo italiano che avete li>beratoe tu pensi che la tua opinione sull' Amgot non sarebbe lasciata passare dalla censura. Tu aggiungi che nelle vostre conversazioni intime vi accorgete di non avere odio contro nessuno, che la lotta non vi trova entusiasti e sentite, che le credenze in cui siete stati allevati, l'immagine del mondo che vi è stata data dai vostri genitori ed educatori, si sono rivelate, ,se non false del tutto, almeno grossolanamente in,sufficienti. Voi ritenete che io, e la gente come me, dovrebbe essere capace di far qualcosa nei riguardi di tali questioni. Ebbene, poco importa dove io cominci. In un imbroglio di questo genere si comincia per tirare un filo e ci si accorge che tutti sono intrecciati insieme, e che una questione tira la successiva. Nella guerra troppe cose debbono essere cosi sottomesse all'unità che la propaganda tende sempre ad essere pericolosamente ultrasemplificata e drammatizzata. Le com licazioni e le considerazioni a lunga scadenza, che sono nelle menti dei capi, non possono essere esposte al pubblico che sarebbe diviso in confronto degli scopi· reali dei suoi dirigenti. Alla fine della guerra, questa separazione fra l'opinione ben informata di una piccola minoranza che vuol mantenersi al potere e la raffigurazione drammatica, dipinta per il grosso pubblico, può avere dei risultati disastrosi, irreparabili. Basta vedere quel che è avvenuto alla fine dell'ultima guerra sulla quale qualcuno dei principali attori, come per es. Lloyd George e Winston Churchill, ci hanno rivelato schiettamente i segreti riguardo al 1918. In «Afternath»» Churchill ci dice che, durante la notte dell'armistizio, la sua mente era «divisa fra l'ansietà del futuro e il desiderio di aiutare il nemico caduto». Lloyd George e Winston Churchill sapevano che il loro vero compito non consisteva nell'impiccagione del Kaiser e che l'incitare il popolo a credere che «bisognava farsi pagare dai Boches» era un errore che portava a risultati disastrosi tanto per noi che per i tedeschi. Ma, ci spiega Churchill, siccome tutti e due volevane vincere nelle elezioni, seguirono i clamori popolari e dissero delle cose insensate pur di raggiungere il successo. Come risultato delle loro incapacità di essere onesti nei riguardi delle riparazioni e nel resto, ne seguì un marasma economico cosi profondo che i nostri capitalisti non furono più capaci di uscirne. Si cercò di provvedere una migliore organizzazione politica con la creazione della Società delle Nazioni ; ma senza fondamento economico, senm una vera base di unità, nessuna organizzazione politica e giuridica poteva adempiere tale compito. Occorre che qualcuno cominci a dire la verità questa volta, ancor prima che gli uomini politici siano travolti nel gorgo degli «slogans» elettorali. Il pubblico riuscì a liberarsi da tali «slogans» qualche anno dopo l'ultima pace. Ma l'occasione di cominciare il periodo del <lopo guerra su delle fondamenta sane era perduta, e la reazione consistente in una specie di «psicosi di fuga» semi isolazionista (cosa •ben diversa del pacifismo) , che prese tutti i. partiti, fu altrettanto negativa della pura follia di volere la punizione dei criminali di guerra e il pagamento del costo della guerra da parte del nemico. I politici avrebbero dovuto accorgersi che sarebbe stato molto meglio per loro e per il mondo se avessero detto fin da principio quello che pensavano veramente. Non ti preoccupare della punizione della Germania. Inevitaibilmen,te essa sarà punita: le bombe, l'infuriare dei russi, dei polacchi e degli altri popoli torturati, l'occupazione degli eserciti vittoriosi, le convulsioni interne e la rivoluzione, tutto ciò punirà il Reich hitleriano e lo renderà inoffensivo dopo la guerra. Le argomentazioni per stabilire se i tedeschi sono tutti cattivi o se qualcuno è buono, se è meglio cercare di convertirli con la gentilezza o di renderli impotenti con una pace cartaginese, sono tutte questioni di poco conto, poiché sarà impossibile far conciliare subito i tedeschi coi loro vicini ed egualmente impossibile di distruggere un popolo di 70 milioni di individui. Che alcuni dei tedeschi che sopravviveranno possano diventare ancora una volta pericolosi per gli altri europei è una cosa che dipende, non dal grado di sofferenze che infliggeremo alla Germania del dopo guerra, ma da ciò che noi faremo dell'Europa, e dai rapporti che si stabiliranno fra le grandi potenze vittoriose. Nel 1919 la Germania era completamenta impotente e disarmata e quando si riarmò, i governi alleati se ne resero perfettamente conto. Si è spesso affermato che il riarmo fu reso possibile dal sentimentalismo degli inglesi e degli americani che avevano una cattiva coscienza nei riguardi di Versailles. C'è ben poca verità in questo. La Germania fu riarmata secondo l'ordinaria strada degli affari dalle ditte inglesi ed americane che vi trovarono un buon mercato. Essa comprò le materie prime dall'America, <la noi e dai Dominions. Niente sentimentalismi: solo libertà di iniziativa. L'opinione britannica approvò in generale questo riarmo. Prima di tutto il Foreing Office voleva ristabilire l'equilibrio delle forze in Europa, perché considerava la Francia, i suoi alleati orientali, troppo forti. In seguito Hitler riiuscì a convincere i francesi e gli inglesi che aveva intenzione di lasciarli tranquilli, attaccando solo l'oriente, e gli si permise perciò di riarmare coI1Jtro il 'bolscevismo. Nulla di segreto in tutto ciò. Gli esperti del governo sapevano tutto sul riarmo tedesco molto prima che W. Churchill e altri comincia,ssero a rivelare i fatti al pubblico (che non aveva nessun desiderio di ascoltarli) ; di fatto la Germania rimase nell'impossibilità di combattere contro gli alleati fino alla rioccupa- .zione della Renania del 1936. Vedi dunque che cosa intendo dicendo che la cosa più importante non è la distruzione della Germania, ma i rapporti che si stabiliranno fra gli alleati. Supponiamo, per esempio, che questa volta gli alleati spezzettino veramente la Germania e uccidano i tedeschi che potrebbero ricominciare la guerra. (L'ultima volta gli alleati impedirono di proposito la rivoluzione in Germania e lasciarono intatta la casta degli industriali, degli Junker e dei miliSale nella piaga Le teorie come alibi Nessuna teoria, di per sé, rende l'uomo obbligatoriamente rivoluzionario; neppure una teoria rivoluzionaria. Di ogni teoria rivoluzionaria si può fare un uso reazionario. Vedete quello che è capitato al marxismo: molti vili se ne sono serviti per giustificare la propria viltà, la propria pigrizia, la propria ripugnanza ad assumersi responsabilità rischiose. - Caro mio, tu dimentichi il determinismo economico, tu cadi nel volontarismo, nell'idealismo piccolo-borghese, essi ti dicono. - Non devi dimenticare che le masse sono quelle che sono, e noi non dobbiamo distanziarci da esse, correre l'avventura. - I tempi non erano maturi, quest'è la verità. Sul quadrante della storia non c'era segnata la vittoria del socialismo e della democrazia, ma quellci del fascismo. - Un paese povero di materie prime non può fare il passo più lungo della gamba. La politica deve basarsi sulle leggi economiche; se dimentichiamo questo, buona notte, dove va a finire la nostra dottrina scientifica? E cosi via. La stessa sorte è capitata al freudismo, che molti porci invocano per giustificare le proprie porcherie. E senza timore di sbagliare si può dire che nessuna teoria rivoluzionaria, nessuna verità scientifica, morale, religiosa, accettata da uomini vili, si salva dal fornire alibi per la loro vigliaccheria. Un'analisi particolareggiata della condotta ignominiosa della quasi totalità degli intellettuali italiani negli ultimi venti anni ci darebbe un inventario completo degli alibi che, per tutto giustificare, si possono sapientemente estrarre dalle posizioni spirituali più pure ed elevate che la storia umana annoveri: da Socrate e Cristo fino a Mazzini. - Io ero nato per fare il corsaro,.ama confidare ai suoi intimi il farmacista Eusebio. Ma la vita mi riservava un diverso destino. Il matrimonio mi fu fatale, e poi la professione> i debiti, ed ora, vedete, la gotta. Ma, parola d'onore, la mia anima era quella di !'n corsaro. La Prussia A sentire Churchill la settimana scorsa denunciare «il militarismo prussiano», identificandolo col nazismo, si destarono echi dei tempi prima dell'altra guerra. Ma molto di ciò che era vero nella Prussia prima del 1914 è diventato inesatto dopo il 1918. La Prussia degli Hohenzollern era la roccaforte di un conservatorismo autoritario e militarista perché la sua Dieta, i cui poteri erano ad ogni modo limitati, veniva eletta per mezzo del famigerato sistema delle tre classi - forse il più geniale ma anche il più iniquo sistema politico basato sulla proprietà privata che il Vecchio Mondoabbia mai conosciuto. Ma dal 1919 al 1932, col suffragio universale e ugualitario, la Prussia divenne lo stato più progredito - si potrebbe quasi dire più radicale - del Reich. Durante i quattordici anni della Repubblica essa fu governata da coalizioni di sinistra con i socialdemocratici come partito dominante. Essa votava a sinistra fino alla crisi finale della fine del 1932, quando von Papen fece il suo colpo di stato e abbattè i partiti di sinistra prussiani coll'aiuto di Hindenburg. In tutto ciò non vi è nulla di stra.no perché mentre la Prussia contiene, al nord, le regioni rurali dominate dai grandi latifondi degli Junker, essa comprende pure le regioni industriali più densa.mente popolate, i etti operai in quei tempi votavanoquasi in blocco socialista o comunista. Amburgo era, dovo Vienna, la più progredita delle grandi città europee per le sue opinioni politiche. Berlino e le città della Ruhr non le stavano motto indietro. Nella questione prussiana, come pure in altre questioni, dovrenio dunque modernizzare le nostre idee sulla Germania prima di far progetti per il dopo-guerra. La Prussia non è stata mai una roccaforte del nazismo. Non un solo dei capi nazisti è prussiano. Hitler e Bormann sono austriaci; Goring, Himmler e Streicher sono bavaresi, Goebbels viene dalla Renania e Rosenberg dal Baltico, nientre Hess è cresciuto in Egitto. Il nemico, in Prussia, non è la massa della popolazione, la quale era in maggioranza a sinistra, ma la cricca dominante degli Junker e dei magnati dei cartelli dell'industria pesante. La migliore politica con la Prussia non è di smembrarla, ma di deporre questa cricca dominante. Se si dovesse, secondo la proposta di un gruppo di deputati parlamentari conservatori, tagliare via la Renania e la Ruhr dal resto del Reich, allora la Prussia scivolerebbe molto di più a destra. Una cosa da fare una buona volta è quella, già promessa sia da Weimar che da Hitler, ma finora mai eseguita - spezzare i latifondi feudali della Prussia settentrionale. (Dal «New Statesman and Nation», 2 ottobre 1943, pag. 212) tari, perché erano i loro naturali alleati contro il bolscevismo.) Supponiamo, in una parola, che la Germania, questa volta, venga ridotta alla completa impotenza d'un paese agricolo mezzo morto di fame, da cui l'industria pesante, causa essenziale del pericolo, ·sia stata presa dei vincitori. E allora? Avremo con ciò (Continuazione vedi pag. 4.) ,.

T Bi Liberare e federare! Attualità di Proudhon Verso il socialismo federalista confluiscono attualmente le ricerche di varie correnti di pensiero che qui rapidamente elenchiamo: il Guild-Socialism dell'inglese G. D. H. Cole, la Wirtschaftsdemokratie di alcuni compagni tedeschi, il sindacalismo costruttivo del francese Maxime Leroy, il cooperativismo di molti dispersi cooperatori, le teorie giuridiche dei francesi Hauriou e Saleilles, e infine il diritto sociale di Georges Gurvitch. Se ci sarà concesso di svolgere senza ostacoli il nostro programma di formulazione del pensiero socialista federalista, ci proponiamo anzitutto di presentare e dare un'analisi delle tesi, in qualche modo tra loro apparentate eppure essenzialmente autonome, delle sei correnti sopra ricordate. Noi siamo convinti che questo porterà ad un forte arricchimento della dottrina socialista democratica, notevolmente schematizzata e inaridita durante la troppo lunga prevalenza degli epigoni marxisti della scuola di Kautsky. Nello svolgimento del nostro programma avremo anche occasione di rivalorizzare e di conciliare con le tendenze attuali del movimento operaio la cospicua corrente federalista del pensiero politico italiano, dai federalisti giacobini G. A. Ranza, G. Fanfuzzi, G. M. Bosisio, ai federalisti democratici e repubblicani C. Cattaneo e G. Ferrari. Il diritto sociale Nella critica dei rapporti tra sdcietà e stato il pensiero più denso d'insegnamento è oggi quello di Georges Gurvitch. La sua tesi fondamentale è nell'affermazione di un diritto sociale autonomo, a fianco e al di sopra del diritto statale e individuale. Questa tesi si sovrappone all'antico contrasto tra i fautori dello stato assolutista, per i quali lo stato è l'unica fonte del diritto, e gli adepti del diritto individualista, per i quali ogni diritto non può essere che una convenzione contrattuale. Nella dottrina di Gurvitch non vengono negati né il diritto individuale né quello statale, ma chiaramente circoscritti; accanto ad essi viene indicato e postulato un diritto sociale immensamente più vasto, che abbraccia tutti i diritti particolari. Da questo punto di vista il diritto dello stato democratico è anch'esso un diritto sociale, in quanto emana e serve la società politica dei cittadini; cosi come il diritto canonico corrisponde all'esistenza di una società religiosa e nelle sue vicende è ad essa legato; e alla stessa guisa è andato formandosi un diritto internazionale, non come concessione degli esistenti stati nazionali, spesso anzi in contrasto con essi, sebbene quale espressione giuridica del fatto concreto che si chiama società internazionale. Allorché un sindacato espelle dalle proprie file un socio, ed in certi casi l'espulsione può rappresentare la rovina dell'individuo colpito senza che egli abbia la possibilità di ricorrere ai tribunali ma solo alle istanze di appello dell'organizzazione sindacale stessa, si ha una nuova categoria di diritto sociale del tutto autonomo rispetto a quello dello stato. Su questa teoria pluralista del diritto si fonda e giustifica l'opposizione antitotalitaria del federalismo funzionale. La pluralità dei poteri è legittima perché rispecchia la vivente dialettica della realtà. Ogni attività politica la quale voglia ignorarlo è liberticida ed inumana, in qualunque modo essa pretenda poi giustificarsi. Bisogna però_ subito aggiungere che il concetto di ·«potere», nella teoria del diritto sociale, è diverso da quello dell'antico diritto statale. L'antico diritto si fondava sulla subordinazione; il diritto individualista-contrattualista poggia sulla coordinazione; il diritto sociale rivendica l'integrazione. Un'ottima introduzione allo studio del diritto sociale è Proudhon. Un morto che risuscita Tra i pensatori socialisti francesi, predecessori o contemporanei di Marx, Joseph Proudhon è il solo che possa ancora insegnarci alcune cose fondamentali. Com'è noto, Marx l'aggredì con estrema violenza e credé, ed in seguito anche ai suoi epigoni sembrò, che l'avesse demolito; ma, assieme a Marx, Proudhon vive ancora e noi possiamo giovarci del suo insegnamento. Noi esortiamo perciò gli uomini sinceramente preoccupati delle questioni politiche e sociali a leggere o a rileggere Proudhon. A leggerlo e a rileggerlo, s'intende, da persone intelligenti, e questo vuol dire non come un catechismo, non come un ricettario, non come un breviario di verità rivelate da imparare a memoria e da recitare nelle occasioni propizie. Proudhon è zeppo di contraddizioni, d'ineguaglianze, d'ingenuità, e il suo stesso stile è contorto ed oscuro. Per leggere Proudhon con profitto è inoltre indispensabile di non aver paura della parola anarchismo, e questa dote dell'intelligenza è piuttosto rara. Ma superati questi ostacoli, il lettore che si avventurerà in Proudhon sarà largamente ricompensato e spesso gli capiterà di stupire nel constatare quanto l'Europa del 1848 sia vicina a quella del 1944 e quanto viva fosse nei sociaO I listi di allora l'esigenza dell'autonomia e della libertà politica, esigenza più tardi, nell'epoca della seconda Internazionale, affievolitasi, e che ora, per il bene comune, bisogna risuscitare. Non c'è dubbio infatti che il contributo di Proudhon alla critica dello stato totalitario conserva ancora oggi un'efficacia essenziale; anzi, nella situazione odierna esso ha acquistato un valore di cui molti prima non si avvedevano. Il pensiero di Proudhon, a differenza di quello monolitico e rigorosamente logico di Marx, è pieno di contraddizioni, ma vi è un principio al quale, tra molte stravaganti incoerenze, Proudhon restò fedele durante tutta la sua vita: quello tendente a detronizzare lo stato dalla sua posizione di tiranno della vita sociale e a restituire alla persona e alla società, attraverso la liberazione dei suoi naturali centri motori, le prerogative di cui è stata progressivamente depauperata durante lunghi secoli di falsificazioni delle istituzioni civili. «La sostituzione del governo degli uomini con l'amministrazione delle cose», questo principio fu per prima affermato da Proudhon ed in seguito adottato da altri socialisti come formula definitiva di un'organizzazione umana senza oppressione politica. A cominciare dalle sue prime meditazioni sulla vita dei gruppi nei quali la specie umana si trova suddivisa, Proudhon è indotto ad insorgere quasi d'istinto contro ogni sistema avente la pretesa di far regnare l'unità per mezzo dell'autorità. Ed egli non esita a condannare, si può dire «a priori», la dottrina hegeliana - che d'altra parte egli non conosce che in modo molto sommario e di seconda mano - appunto perché essa risolve il processo dialettico mediante la celebrazione della «sintesi». E' una caratteristica del pensiero di Proudhon questa inesorabile negazione della sintesi, un rifiuto ostinato di ricercare la conciliazione in una dissoluzione dei contrari. Tutt'al più - come si è osservato con ragione - egli non intende pervenire alla conciliazione universale che per mezzo dell'«opposizione universale». Poiché le opposizioni sono eterne ed ogni tentativo di eliminarle si rivela sempre vano. Peggio, se tentato con imposizione autoritaria. Le forze che si trovano in presenza l'una dell'altra, nel seno della società, hanno ciascuna per conto proprio, una ragione di essere indistruttibile, di modo che la pace non può essere realizzata che attraverso un meccanismo di oscillazioni alternate e attraverso l'applicazione costante della legge suprema della giustizia, la quale sola potrà permettere ch'esse si tengano in equilibrio, le une in rapporto alle altre. Proudhon proietta questa necessità <lella lotta anche nella società senza classi, perché soltanto a questa condizione essa sarà una società vivente e suscettibile di ulteriore progresso; la differenza rispetto alla forma precedente di organizzazione sociale risiederà soltanto nel livello superiore in cui la lotta si svolgerà. Stato e società Secondo Proudhon significa rendersi colpevoli di un vero sacrilegio ammettere che lo stato possa essere posto al di sopra della società e che nello stato si possa percepire, seguendo le traccie di Hegel, una sorta d'incarnazione divina. Al contrario, è la società, ch'egli vuol far vivere a fianco e in seguito anche al di sopra dello stato concepito come potere governativo. Il suo obbiettivo ultimo, il sogno ardentemente perseguito da lui durante tutta la sua vita, è, ripetiamo, «la dissoluzione del governo nell'organizzazione sociale». Nel sistema ch'egli costruisce, ed all'interno del quale, definendolo, egli vorrebbe, in un certo senso, far posto nei loro termini autentici alle esigenze naturali ed incoercibili di qualsiasi forma di vita degli uomini in società, «la dignità individuale e la dignità collettiva, la coscienza personale e la comunanza delle coscienze, la libertà individuale e la libertà del gruppo in quanto totalità, insomma, l'individuo ed il gruppo, non possono mai essere separati, poiché essi si generano l'un l'altro reciprocamente nell'attività propriamente morale». L'opposizione, rinnovandosi in ogni i.stante, è la sola garanzia dell'ordine, vale a dire dell'equilibrio. Ma affinché un tale equilibrio possa essere raggiunto, è necessario, anzitutto, distruggere ogni legame arbitrario, ogni costruzione abusiva, ogni soprastruttura artificiale. E' necessario, conseguentemente, riconoscere le forme sociali spontanee e trasformare lo stato, riducendone i poteri. L'equilibrio tra la società e lo stato, vale a dire la disciplina naturale e fondamentale della loro coesistenza, presuppongono la realizzazione preventiva di tutta una serie di equilibri nell'interno di ciascuno degli ordini che si presentono, l'uno in rapporto all'altro, in una situazione di indipendenza: distribuzione dei poteri, equilibrio tra libertà ed autorità, tra centralizzazione e federalismo sia territoriale che funzionale, e via di seguito. Secondo Proudhon, il principio di una delimitazione dello stato fondata sull'iniziativa dei gruppi sociali (ed a questo proposito egli pecca di apriorismo, dato che non si tratta qui di un frazionamento artificiale, e, per cosi dire, simmetricamente ordinato, una volta per tutte, secondo un criterio immutabile, ma, al contrario, di un vero atto di liberazione compiuto da una realtà complessa e multipla, e sempre mobile, che lo stato moderno reprime violentemente), questo principio il quale tende ad attribuire alla società organizzata la funzione di delimitare e definire il compito e la parte dello stato, non solamente solleva e risolve UI}-aquestione di vitale importanza per le libertà individuali e collettive, ma permette altresi di ottemperare ad una condizione essenziale, alla realizzazione della quale è sempre subordinata la stabilità stessa dello stato. Il ruolo del proletariato L'idea che Proudhon agita, a guisa di uno specifico infallibile per la preservazione del corpo sociale contro ogni abuso ed ogni eccesso di potere, è 1 ' i d e a o p e r a i a , la quale si fa valere attraverso la creazione del diritto economico e il cui sviluppo implica l'unione federativa di gruppi integranti il loro diritto economico particolare in un diritto economico comune, il quale è precisamente il diritto che reggerà la federazione dei produttori chiamata da Proudhon industriale-agricola. La struttura sindacale malgrado le ripugnanze che per effetto di un recente passato essa suscita, non spaventa Proudhon. Egli è sicuro che una volta integrati, per virtù della costituzione sociale a carattere mutualista, nella federazione industriale generale, i sindacati o corporazioni si troveranno automaticamente spogliati di ogni carattere egoistico o sovversivo, pur conservando tutti i vantaggi derivanti dalla loro potenza economica. Per lui non vi è dubbio ch'essi saranno a poco a poco spinti a trasformarsi in «altrettante èhiese particolari in seno alla Chiesa universale, di cui eventualmente esse sole saranno sempre in grado di assicurare la sopravvivenza se per caso questa dovesse scomparire». E' grazie alla combinazione di queste federazioni particolari, all'infuori della federazione economica generale, che ogni specie di asservimento dell'uomo potrà essere definitivamente bandito e che le classi, nate dall'autarchia economica e dall'individualismo speculatore, distinguendosi ancora, secondo una terminologia corrente, in classe superiore e classi inferiori, potranno raggiungere reciprocamente une perfetta e solida omogeneità. Fondandosi sulle sue premesse categoriche ed in piena coerenza con queste suggestive anticipazioni, Proudhon è portato a combattere ed a condannare con una eguale intransigenza tanto l'universalismo comunista che l'individualismo strettamente personalista. Il problema per lui è di trovare una forma di organizzazione della vita economica che sia lontano cosi dal collettivismo statale come dal liberismo individualista; un ordine della società economica, indipendente rispetto allo stato e costituente una totalità reale di carattere antigerarchico. «Mantenere la personalità umana in un regime di associazione e salvare la libertà dalle catene della comunità nella vita economica» ( «Seconda Memoria sulla Proprietà», primo voi., pag. 229), questo è lo scopo che deve realizzare la società organizzata, opposta allo stato. Proudhon attacca sovente la concezione giacobina dello stato, fortemente autoritaria e centralizzatrice. E' una concezione, egli osserva, che «non afferra lo stato in ciò che ha di concreto e positivo . . . e lo considera solo come strumento di dominazione», ( «Soluzione del problema sociale», pag. 70). «E' solo perché la società non è stata mai organizzata, ma solo sulla via d'organizzarsi, ch'essa ha avuto bisogno finora di legislatori, di uomini di stato, di eroi e di commissari di polizia» (Miscellanea, III, pag. 55). «Al di sotto dell'apparato governativo, all'ombra delle istituzioni politiche, lontano dagli sguardi degli uomini di stato . . . la società produce lentamente e in silenzio il suo proprio organismo, essa si fa un nuovo ordine» ( «Idea generale della rivoluzione», pag. 300). «Iodistinguo, egli scrive, in ogni società due specie di costituzioni: l'una che si chiama la costituzione sociale, l'altra che è la costituzione politica; la prima intima all'umanità, liberale, necessaria ... cosa organica ... e il cui sviluppo consiste soprattutto a indebolire ed eliminare a poco a poco la seconda, essenzialmente fittizia ... meccanica ... restrittiva ... transitoria. Queste due costituzioni . . . sono di natura assolutamente diverse e perfino incompatibili» ( «Confessioni di un rivoluzionario», ~ag. 67 _e seguenti). «La sovranità è un'espress10n~ pericolosa ed è augurabile che nell'avveru~e la democrazia se ne preservi; qualunque sia la potenza dell'essere collettivo, non per_ ciò_e_ssa costituisce una sovranità» ( «Della Grnstiz1a», pag. 114). Lo stato deve affermars~ «!a risultante e non la dominante» della società econo• mica ( «Della Giustizia», pag. 122). «Portiamo a termine, verso e contro tutti, la rivoluzione cominciata nell'89 e fondiamo l'equilibrio economico e sociale, cioè il diritto, la libertà, l'uguaglianza (io non parlo di governo, io non parlo qui di politica) sulla repubblica industriale» ( «Manuale di uno speculatore», pag. 7). Proudhon si dichiara di conseguenza per la più grande autonomia possibile dei comuni e anche per l'auto-governo dei servizi pubblici (scuole'. tribunali, posta, ferrovie, ecc.). L'insieme d1 questi corpi autonomi costituisce lo stato. «Il governo più libero e più morale è quello nel quale i poteri sono meglio suddivisi, l'ammini: straziane meglio ripartita, l'indipendenza dei gruppi più rispettata, le autorità provinciali, cantonali, municipali meglio servite dall'autorità centrale: in una parola, il governo federativo» ( «Del principio federativo», pag. 114). Sul piano astratto, sul terreno dei principi più generali e sommari, il programma di Proudhon appare quindi abbastanza organico e coerente. Sventuratamente questi caratteri sembrano spogliarsi di ogni significato preciso man mano che si cerca di verificare l'aderenza di questo programma alle esigenze di una riforma dell'ordinamento della vita sociale, la quale si proponga di demolire senza pietà le posizioni sulle quali, da tanto tempo, il moderno stato monocentrico si trova ·solidamente installato. A buon diritto, a proposito di federalismo, si è osservato in epoca del tutto recente che invano si cercherebbero in tutta l'opera di Proudhon - che è tuttavia conosciuta come quella del più celebre federalista - indicazioni non equivoche permettenti di renderci conto del contenuto effettivo che Proudhon stesso ha inteso attribuire a questa nozione a lui tanto cara, sia nell'ordine della politica interna che in quello della politica internazionale. Bisogna dunque ricostruirla procedendo a tastoni. La federazione, nel sistema ch'egli abbozza, non è altro, in realtà,· che una convenzione, grazie alla quale, uno o più capi di famiglia, uno o più comuni, uno o più raggruppamenti di comuni, uno o più stati, si obbligano reciprocamente ed egualmente, gli uni in r~pporto agli altri, in rapporto ad uno o più scopi particolari, scopi il cui raggiungimento sarà poi compito speciale ed egualitario dei delegati della Federazione. Egli non esita a far risiedere in questa definizione tutta la scienza costituzionale, di cui egli definisce il compito per mezzo delle tre proposizioni seguenti: 1° Trovare dei gruppi mediocri (sic!) di cui ciascuno goda di una propria sovranità ed unirli per mezzo di un patto federativo; 2° Organizzare il governo all'interno di ogni stato federato secondo il principio della separazione degli organi; 3 ° Invece di assorbire i poteri degli stati federati e delle autorità provinciali e municipali nella competenza di un'autorità centrale provvedere metodicamente a far si che le attribuzioni di questa siano ridotte ad un semplice compito d'iniziativa generale, di garanzia mutua, di sorveglianza, e provvedere alla predisposizione di misure tali che i decreti presi dalla detta autorità non possano divenire esecutivi che allorché sono muniti di un visto da parte dei governi confederati, e questo per cura di agenti posti sotto i loro ordini. In altre parole, secondo Proudhon, il governo, qualunque sia l'estensione dei suoi poteri, non deve essere e non deve rappresentare mai altra cosa che un sistema di garanzie o di limitazioni che si affermano e si fanno valere attraverso un processo, per cosi dire, di generazione spontanea. Il mutualismo, vale a dire, la solidarietà è la chiave di volta dell'ordine ch'egli preconizza. Egli vi ricorre come ad una forza della natura che basta evocare per ottenere che la vita sociale sia, di un sol colpo e come per incanto, purgata di tutti i vizi e perché la giustizia sia trionfalmente instaurata su basi indistruttibili. Lo stesso principio di mutua garanzia - egli scrive - che deve assicurare a ciascuno l'istruzione, il lavoro, il godimento della proprietà, lo scambio dei prodotti, assicurerà egualmente a tutti l'ordine, la giustizia, la pace, l'eguaglianza, la fedeltà dei funzionari, il fervore e l'applicazione da parte della collettività tutta intera. A leggere simili affermazioni sembrerebbe che vocazione naturale della società sia di produrre gratuitamente l'armonia, il benessere, la felicità. Tutti questi beni sarebbero a portata di mano se soltanto si acconsentisse a non turbare lo sviluppo spontaneo delle forze umane nei rapporti reciproci della coesistenza. «La formazione spontanea e popolare dei gruppi di produzione delle officine, delle compagnie, delle associazioni dei lavoratori che fanno partecipare tutti gli associati alla direzione dell'impresa nei limiti ed aUe condizioni fissati per mezzo dell ' a t t o s o c i a 1 e e che sono fondati sopra i nuovi principi di diritto sconosciuti al Codice», costituisce per Proudhon il primo passo verso la costituzione della

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