L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 6 - 30 marzo 1944

Bit Per rifare l'Italia Non ci han da essere, non si ha da favorire la procreazione di altri «minorenni», fuor di quelli che tali sono per l'età: l'età che dà loro diritto a tutti gli aiuti. Non più «minorenni» in ragione del sesso. Non più «minorenni» per colpa dei loro simili che non s'interessano della loro elevazione culturale o sociale. E tutti «maggiorenni»: tutti equiparati nell'esercizio dei diritti civili e politici. Premesse Chi voglia proporsi di far risalire l'Italia dall'abisso in cui l'hanno precipitata il fascismo prima, e la guerra poi, deve aver il coraggio di veder chiaro nelle cause lontane che hanno condotto il fascismo al potere ed hanno reso possibile che l'Italia si schierasse a fianco della Germania hitleriana nel folle proposito di imporre all'Europa la loro dominazione. Non c'è dubbio: l'Italia sconta oggi errori non suoi. Non c'è dubbio: l'Italia non è all'origine del conflitto mondiale nel quale si affrontano propositi di dominio di altre genti, rivalità d'interessi e di aspirazioni nate fuor di ogni sua influenza e che di tanto superano le sue capacità d'influire sugli avvenimenti. Ma non è meno certo - e deve esser detto - che l'impotenQ;a degli italiani a ribellarsi al fascismo ed alla sua corsa verso l'abisso, viene da cause interne e profonde che si riassumono nella constatazione - dolorosa ma necessaria - che dopo fatta l'Italia non si sono fatti gl'italiani. L'Italia è stata fatta da pochi veggenti: veggenti che le insegnarono ad essere unitaria e seppero mettere a profitto rivalità ed interessi di altre nazioni per imporre l'unità italiana, sia all'Europa, sia alla stessa maggioranza degli italiani. Carlo Alberto non aveva né animo né programma unitario. E Vittorio Emanuele comprese solo dopo la breccia di Porta Pia, che «andare a Roma» non era «una balossada». E le masse italiane miserrime ed incolte - solo nei due ultimi decenni del secolo cominciarono ad avere il sentimento del proprio diritto di escire dalla miseria materiale e culturale in cui la mantenevano i ceti dirigenti, soli benificiari, tanto a lungo, della unità nazionale e dei diritti politici. Suffragio politico ristrettissimo; l'analfabetismo combattuto senza energia e senza efficacia, segnatamente nel mezzogiorno; legislazione sociale meno che embrionale; ma al minimo stormire di malcontento, crepitio di fucilate e assegnazioni al domicilio coatto, per i primi annunziatori della lotta di classe. Ed appena si ebbero i primi moti un po' meno isolati del malcontento dal «basso»: fucilate anche più nutrite e stati d'assedio «idioti e nefandi». Questo, e questo solo, fecero, per la classe lavoratrice, le classi dirigenti italiane fino a tutto il secolo scorso. E bisogna arrivare al principio del secolo ventesimo, per assistere - finalmente! - ad un minore ostruzionismo «dall'alto» contro tutto quel che attuava l'ascesa del lavoro, e nel campo organizzativo, e nell'orientamento verso il socialismo moderno. Con questo di più grave, che le classi dirigenti italiane, mentre si opponevano al salire delle masse e non ne facilitavano (quanto sarebbe stato doveroso) l'elevazione culturale, persero esse stesse, fin dal primo decennio dopo l'entrata in Roma, quell'educazione politica che la lotta per l'unità italiana aveva pur promosso. Come era naturale, esse si erano dedicate allo sviluppo dei commerci e delle industrie; ma per tutto quanto atteneva alla politica si contentarono di trarne tutti i possibili aiuti per i loro affari, disinteressandosi di quanto atteneva alla difesa delle pubbliche libertà ed ai compiti di elevamento civile, propri dello stato moderno. E cosi, mentre il proletariato fu a lungo amorfo ed impotente, i ceti dirigenti si abituarono sempre più ad essere non meno amorfi. Non ebbero partiti e si lasciarono condurre da empirici o da avventurieri; tollerarono a lungo, ciecamente, tutti i trasformismi, tutti i giolittismi, i più tenacemente corruttori della fedeltà alle idee e ai programmi. E nella progressiva eliminazione di ogni movimento o partito, anche il più precisamente borghese, la politica italiana diventò sempre più una politica «dall'alto» (si potrebbe dire: a porte chiuse), nella quale i potentati finanziari sapevano farsi valere - e come! - ma i problemi e le decisioni, più decisamente e più gravemente politici, erano riservati alla Corona e ai pochi fiduciari suoi, padroni di maggioranze parlamentari, tanto più ligie, quanto più amorfe. Basti dire, a riprova, che in virtù di un preciso «regolamento» (sic!) giolittiano, le decisioni sulla pace e sulla guerra erano riservate, in sostanza, al re, al presidente del consiglio, al ministro degli esteri, ed al capo di stato maggiore. Rifare l'Italia dovrà dunque dire, prima di tutto, insegnare agli italiani - obbligare gl'italiani ! - ad essere cittadini, come primi cominciarono ad essere, e soli restarono, fino all'altra guerra, quegli operai ai quali il socialismo aveva finalmente fatto prendere, in Italia, il posto che loro spettava. Quanto dire che l'emancipazione politica - premessa e strumento della elevazione morale e sociale - è la «pregiudiziale» indeclinabile imposta oggi agli italiani, non solo e non tanto da concezioni dottrinarie, ma da tutta l'esperienza storica dei trequarti d i s e c o 1o d i u n i t à i t a 1i a n a. Il fascismo è infatti venuto dal terrore - quanto esagerato! - da cui furono presi di soprassalto i ceti dirigenti italiani politicamente incapaci, nel momento in cui rivendicazio · ~ ltu se del~dia o d0 guerra furono sfruttate dal conservatorismo asservitore, allo scopo di riconsegnare il paese a dittatori e dittatorelli senza scrupoli, invasati, frenetici, disastrosi, fattisi innanzi per ... ristabilire l'ordine! Che la monarchia dovesse essere ai servizi del fascismo feroce dopo esser stata la protettrice di tutto il dissolvimento politico, non è cosa che possa stupire. Come non stupisce il fatto, che ancor oggi, nel disastro immane dell'Italia tutta, quelli che non intendono e non vogliono intendere il dovere dell'ora, si stringano attorno al re fascista, al re del disastro, al re che non ha nemmeno capito di dover espiare. Alcune dh•etffve politime 1 ° Bisogna ristabilire i contatti, ed anzi renderli più efficienti, fra i cittadini e la cosa pubblica. Cosi da rendere sempre più operante, sempre più sollecita, sempre più protetta contro ogni attentato, la partecipazione di tutti allo studio effettivo, all'esame collettivo ed alla soluzione concreta dei singoli problemi politici e sociali interessanti i singoli e la collettività. Non basterà dunque che l'Italia si dia una costituzione repubblicana e democratica, ma bisognerà che la Repubblica Italiana sia il coronamento ed il baluardo di tutta una rete di autonomie amministrative locali. Cosicché i più modesti problemi comunali ( che sono però anche i problemi più direttamente sentiti). come anche i problemi più vasti e più complessi delle singole regioni, siano, non soltanto curati, ma proiettati in piena luce in modo da invogliare tutti gl'interessati a partecipare alle soluzioni e ad opporsi agli accaparramenti d; cricche e di potentati. Tutto il dinamismo degli interessi più pros• simi - vuoi comunali, vuoi regionali - deve cioè concorrere a far si che g1'italiani diventino cittadini attivi e cessino di essere sudditi tenuti in quarantena, o, peggio, militi fascisticamente irrigimentabili alla prima occasione Gl'italiani furono infatti asserviti - si lasciarono asservire! - appunto perché erano stati esclusi dall'utile costante esercizio dei loro diritti. Rendete loro il possesso dei diritti; rendete loro la possibilità di trarne le oneste utilità che ne derivano; ed essi riesciranno a difenderli, in tempo, contro chiunque li minacci o vi attenti. 2° Condizione prima di questo ridisposarsi dei cittadini con la cosa pubblica - con la gestione da parte di tutti della cosa pubblica - è però la più effettiva affranca~one dei singoli dalle dominazioni economiche che non scompariranno del tutto fino a che non scomparirà la struttura capitalistica della società umana. Ed a tale affrancazione deve mirare - senza eccessi fallimentari, cosi come senza debolezze paralizzatrici - il programma sociale della nuova Italia. Ma di ciò a suo luogo. Qui, per logica immediata connessione colle direttive più propriamente politiche che or ora abbiamo indicato, bisogna darsi carico di quelle che ci appaiono come vere pregiudizi a 1i della rinascita politica italiana. Occorre prima di tutto eliminare quanto si oppone alla diffusione illimitata della cultura beneficio di quanti la desiderano, e di quanti dovranno esser attratti a desiderarla. Nei riguardi della cultura - e senza entrare in dettagli «tecnici» - deve esser ripristinata l'assoluta supremazia dello stato, salvo disciplinare la distribuzione, ma anche la coordinazione dei compiti culturali, fra le amministrazioni locali e quella centrale. Nessun privilegio, nessuna ingerenza a favore di chicchessia: nemmeno - e bisogna dirlo fin dal principio - a favore della Chiesa. A questa - come a tutte le religioni - libertà piena di culto, di propaganda e d'insegnamento: ma con mezzi propri. Lo stato non s'interessi che delle proprie scuole; le organizzi laicamente; riconosca soltanto alle proprie scuole la capacità di consacrare meriti e titoli a chi le abbia frequentate. I patti in contrario che furono sottoscritti nel 1929 sono uno dei tanti attentati fascisti e monarchici al pieno esercizio della sovranità popolare. Non dando loro seguito non si fa torto a nessuno: si rivendica il diritto di tutti. La laicità dello stato è una condizione essenziale per il pieno esercizio, da parte dello stato medesimo, delle funzioni conferitegli dalla collettività nazionale. Di fronte a questa pregiudiziale della laicità repubblicana del nuovo stato italiano - facile prevederlo - non si inclineranno le forze conservatrici che ancor ora tentano di riprendere il sopravvento nell'Italia da loro condotta al disastro. Invocheranno i diritti della fede, che nessuno minaccia, mentre non pochi la sfruttano ai loro fini di dominazione politica e sociale. La fede è, e deve restare, patrimonio di chi la professa; e patrimonio intangibile. Ma cosi come ogni altra devozione mistica, essa mai deve aver diritto di dettare legge a chi non la professi. 3° E redimere bisogna, e subito, l'altra categoria di «minorenni» : le donne. Queste minorenni di tutta la vita, bisognerà dunque ammetterle senz'altro ed al suffragio ed all'eliggibilità di tutte le cariche pubbliche. «Anche la donna è un uomo»! E' dunque l'ora di finirla con l'escludere dalla partecipazione alla vita pubblica della metà dei cittadini, che, astretta pur essa al rispetto dei doveri dell'uomo, non deve essere esclusa dall'esercizio dei «diritti dell'uomo». Questa parificazione della donna all'uomo, nell'esercizio dei diritti, si urta al pregiudizio ancestrale della superiorità del marito; ma tale pregiudizio ha ormai fatto il suo tempo, e deve essere sostituito da quella concezione della famiglia che poggia ad un tempo sulla parificazione dei sessi e sulla dissoluzione del vincolo coniugale, quando necessaria. Una precisa rivendicazione quest'ultima, che avevamo il dovere di non lasciare in ombra nel momento in cui, fra le altre esigenze morali della rinascita italiana abbiamo dovuto mettere in tutta luce quella di non sottostare a qualsiasi dettame chiesastico. Condanni pure la Chiesa il divorzio, la legge della nuova Italia deve ammetterlo; altri veda in questa nuova legge un sacrilegio; gl'italiani la considereranno come una conseguenza della loro volontà di rinnovazione. Validità del partito Le discussioni che volgono oggi sull'azione socialista debbono muovere da un chiaro e spassionato esame della situazione di fatto cui, se vogliono avere una ragione viva e attuale, han ben da riferirsi. E questo esame porta ad affermare fondamentalmente in via pregiudiziale la validità del Partito come mezzo per la sua esplicazione. I. La ricostituzione del Partito Socialista nell'agosto scorso avvenne sulla base delle posizioni assunte da ristrette minoranze nel corso della lotta clandestina. Esse erano rappresentate dal Movimento di Unità Proletaria e, separato da esso, dal ricostituito Partito Socialista Italiano. Tale divisione doveva manifestarsi quanto mai pregiudizievole ad una ripresa socialista e non giustificata dall'atteggiamento degli stessi organizzati. Cosi furono presto indotti gli esponenti delle due correnti ad operarne la fusione, dando vita ad un unico organismo, l'attuale Partito Socialista di Unità Proletaria. La divisione s'era fondata non su punti precisi, ma su due diversi orientamenti di massima, l'uno intransigente nelle rivendicazioni rivoluzionarie e nel propugnare l'azione di classe, l'altro più moderato e nell'insieme più tradizionalista, sia per quel che riguarda le finalità come i metodi della lotta. Questa polarizzazione di forze ripeteva dunque i vecchi motivi della politica socialista del passato e provava come gli sforzi volti a innovarne i termini non fossero arrivati a ta"to da poter impro:i.tare ad una fisionomia definita, né ad indirizzo esclusivo, fin dall'inizio, la ripresa socialista. Al di o · :t,ssa si pronunciavano altre tendenze che non avevano potuto prender corpo se non in atteggiamenti di gruppo o situazioni locali. Dobbiamo fare riferimento ai socialisti di Romagna, che avevano realizzato l'unione coi repubblicani, e più particolarmente, per il significato di certe enunciazioni ideologiche, al gruppo del Terzo Fronte. II. La costituzione di un unico Partito ovviò al pericolo di una dispersione delle forze genericamente orientate al socialismo, nel momento in cui esse erano chiamate ad ordinarsi nello schieramento dei partiti di opposizione, per far valere il loro peso. Essa non poteva portare ad unità però tutte le tendenze con una improvvisazione. Poteva tutt'al più creare le condizioni per il loro incontro e la loro più proficua conciliazione. Oggi è consentito di dire, sulla base dei risultati conseguiti, che queste condizioni furono effettivamente assicurate. coll'effetto di convogliare nei quadri del partito tutte le forze apprezzabili del socialismo italiano. La varietà delle tendenze esistenti in seno al Partito non si stabilisce solo in ragione di una mancata o manchevole attività unitaria durante il fascismo, e delle difficoltà che si incontrano nella saldatura della nuova con la vecchia generazione, ma soprattutto e più sostanzialmente per l'impossibilità di trovare fuori dell'esperienza la «nuova via» del socialismo italiano, di formulare cioè con compiutezza la soluzione dei problemi di una politica realizzatrice non ancora in atto. C'è cosi chi propende per una direttiva integralista, chi accentua l'esigenza politica più di quella sociale, chi vorrebbe promuovere il processo di aggiornamento della politica socialista sulla richiesta di autonomie e una formula federalista, chi fissa in una recisa definizione ideologica le differenze col comunismo e chi pone su altro terreno la questione, tendendo ad una soluzione pratica fuori d'ogni pregiudiziale. Pertanto, se è vero che l'affermazione del Partito non è stata impedita da questa diversificazione interiore, si può ben ritenere che l'azione risolverà domani tanto più facilmente le difficoltà che ne possono derivare, riducendo le differenze ed opposizioni teoriche alle proporzioni che loro competono. III. Le forze che il Partito potè convogliare nel brevissimo periodo che corre dalla sua ricostituzione unitaria all'8 settembre non furono rilevanti, e non si può dire veramente che venissero a costituire una massa di equilibrio sicuro in presenza di cosi varie tendenze. I nuclei organizzati nel periodo clandestino si collegarono, operando come centri di attrazione, ma senza poter assicurare con questo al Partito un vero seguito di massa, ciò che non riusciva d'altra parte neanche agli altri partiti. Mentre ogni lavoro in profondità trovavasi impedito dalle condizioni eccezionali in cui il paese era mantenuto, le incertezze del momento gravavano in tutto il loro enorme peso sulle forze che avrebbero dovuto risvegliarsi, quasi paralizzandole. La politica di Badoglio era un incubo da cui la popolazione pareva chiedere di essere sollevata prima di affrontare altri problemi. Il seguito naturale del Partito Socialista era in una massa che l'azione di punta e la struttura chiusa del Partito Comunista avrebbero potuto molto difficilmente legare a sé e che il funambulismo neo-socialista non avrebbe mai penetrato o per lo meno avrebbe presto deluso. Questa massa si manteneva però in un atteggiamento d'attesa, ciò che non è difficile spiegarsi. E' la massa che può sentire e vivere la politica solo nella sua concreta esplicazione, dove interpreta interessi e definite esigenze, piuttosto che agitare semplicemente programmi. IV. Una nuova fase si apre dopo 1'8 settembre. Se l'armistizio, nonché alla pace ed a condizioni di libertà, porta all'invasione del paese ed alla guerra civile, risolve comunque una incertezza ossessionante. La popolazione, che reagisce istintivamente alla nuova situazione, tende a far corpo attorno ai partiti che ne inter;:>retano i sentimenti e ne difendono gli interessi. La base troppo ristretta su cui fino allora avevano appoggiatq si dilata per reggerli molto più solidamente. Successivamente la ripresa fascista andrà mettendo in crescenti difficoltà l'azione politica la quale verrà di nuovo limitata sempre più nel suo raggio. Ma si sarà avuta una sorte di collaudo di vitalità per i partiti, e questo collaudo, che il Partito Socialista non aveva certo affrontato in facili condizioni, noi possiam dire che gli è riuscito favorevole. Ostacolato nel processo di ricostruzione interiore e di unficazione ideologica, il Partito perviene a consolidare la sua compagine sotto l'imperativo della lotta. I gravi sacrifici che riesce a sopportare e le capacità di ricupero che in sé trova, provano la compattezza cui l'azione l'ha portato. Cosi il Partito, indurito nella sua volontà unitaria, per quante questioni rimangano aperte, si afferma come una delle espressioni su cui impernia la contrastata ripresa politica in Italia e come una forza che non è più possibile mettere in discussione con argomentazioni astratte e schematizzazioni arbitrarie. V. L'unità, che non potè essere imposta altrimenti alle varie correnti, è scaturita dalla disciplina dell'azione per conseguire un risultato superiore a ogni finalità particolare, quale doveva essere la affermazione delle forze socialiste nella lotta che consacra la rigenerazione politica del paese. Fosse pur preferibile diversamente, è un fatto che le condizioni per una nuova formulazione della politica socialista quale elaborato collettivo di forze capaci di costituirsi esse sulla scena politica italiana, dopo 20 anni di fascismo, come i 1 P a r t i t o , sono mancate. Ed ora il Partito non può essere portato a percorrere a ritroso il cammino fatto, per improntarlo ad una fisonomia più definita, per conferirgli una individualità più spiccata. Vuol dire questo che, in presenza delle varie tendenze che vi si accampano, si deve rinunziare a recare a maggiore omogeneità l'organismo esistente? No certamente, ma piuttosto che questa omogeneità deve essere conseguita con opera svolta dall'interno del Partito e non fuori di esso. Dove si affrontano i problemi della azione, che è altra cosa dal dibattere le questioni astratte che si possono proporre in sede critica, bisogna apertamente riconoscere che il Partito, i1 quale si presenta oggi come luogo d'incontro delle correnti stabilitesi nel processo di ricostituzione, ha acquistato piena autorità a rappresentare le forze e l'ideale socialista in Italia. Redattori: Dr. WERNERSTOCKER,Zurigo; PIERRE GqABER,Lausanne;ELMOPATOCCHI,Bellinzona Druck: GENOSSENSCHAFTSDRUCKEREI Z0RICH

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