Bit all'emigrazione interna, e questo è compito di ciascun paese. Dove non si riuscisse ad occuparla tutta nell'interno di ciascun paese, dovranno provvedere i lavori di cui abbiamo parlato. Dove anche questa risorsa si rivelasse insufficiente bisogna provvedere all'emigrazione verso altri Continenti: in Africa del nord, in America del nord, nei paesi dell'America del sud, in Australia. Sono, questi, paesi e Continenti che dispongono di grandi risorse naturali per realizzare le quali occorre della mano d'opera, molta mano d'opera. L'Europa ha da fornirgliene: mano d'opera di lavoratori attivi, intelligenti, in gran parte specializzati. Perché l'emigrazione dell'eccesso di mano d'opera europea sia possibile, occorre. un'organizrazione internazionale che a questo fine regoli da una parte le relazioni fra i paesi di emigrazione in modo che ognuno di essi possa contare sopra un contingente proprio e su un collocamento adatto alla capacità dei propri operai, e regoli dall'altra le relazioni fra l'insieme dei paesi di emigrazione e i paesi di immigrazione per organizzare le migrazioni in modo conveniente per tutti. Questa organizzazione è - per sua natura - l'Ufficio internazionale del lavoro verso cui dovrebbe convergere l'attività di uffici nazionali <l.ellavoro organizzati nei diversi paesi. Perché il servizio di emigrazione dia risultati che convengano- equamente a tutti i paesi ci sono due ordini di esigenze da soddisfare. Primo: che il piano per l'emigrazione dell'eccesso di mano d'opera non sia oggetto di accordi solo tra singoli paesi. Sarebbe la corsa di tutti i paesi di emigrazione per giungere primi, offrendo mano d'opera alle condizioni più accettabili dai paesi di immigrazione e dalle loro classi padronali, con danno dei paesi meno quotati anche se più bisognosi e con danno dei lavoratori in genere. Secondo : che le masse operaie dei paesi di immigrazione non si oppongano, per assicurarsi delle condizioni di privilegio sul mercato nazionale del lavoro, all'introduzione di mano d'opera dal di fuori. Essi sacrificherebbero gli interessi dei loro stessi paesi, che - per l'insufficienza di mano d'opera - non potrebbero utilizzare tutte le loro risorse naturali. Il caso dell'Australia, ridotta a tremare per il pericolo di un'invasione dei giapponesi i quali furono sempre respinti come immigranti, è li che mostra le conseguenze di una politica dalle porte chiuse, forma inumana e pericolosa di protezionismo che si ritorce contro chi l'applica. E' giusto che le masse operaie dei paesi di immigrazione siano interpellate a mezzo delle loro organizzazioni; è giusto che esse reclamino misure tendenti ad impedire una concorrenza sul mercato del lavoro che condurebbe ad un'abbassamento del regime di vita; è giusto perciò che esse reclamino una uguaglianza di trattamento fra operai indigeni e op~rai immigrati. Ma non è giusto che si reclami la politica delle porte chiuse. Qui c'è una questione che deve essere esaminata anche - e prima di tutto - in seno alle Internazionali delle organizzazioni operaie; Internazionali politiche e Internazionali sindacali. Olindo Gorni. La falsa <<pianificazione>> corporativa Come naturale reazione alle sempre più evidenti nefaste con.seguenze della politica corporativa è attualmente molto diffusa in Italia, fra tutte le classi sociali, un'ostilità preconcetta contro qualsiasi forma di regolamentazione dell'economia. Diffusa approvazione trovano perciò gli scritti dei liberisti intransigenti, come ad esempio del prof. Einaudi, i quali predicano la necessità di togliere ogni vincolo alla libera azione dei fattori della produzione, dello scambio e del consumo, se si vuole realizzare quell'ideale mondo economico, nel quale avviene al minimo costo la produzione più aderente alla richiesta. Anche gli statistici hanno tentato di dimostrare in base al confronto dei dati sul complessivo reddito nazionale in questi ultimi anni e nei decenni precedenti, come, abbandonando il criterio del minimo costo, il reddito medio di ogni singolo cittadino italiano abbia finito col ridursi sensibilmente. Tale impoverimento si sarebbe ripercosso perfino sulle possibilità militari del paese, in nome delle quali il criterio del minimo costo era appunto stato abbandonato. Ciò che tuttavia, in questo periodo di idee confuse da lungo oscurantismo, non si ~a sempre conciliare (e non solo da parte dell'uomo comune) è la negazione della politica corporativa con l'innegabile imponenza di talune realizzazioni fasciste, assunte da taluni trasecolati cittadini, in Italia e all'estero, come giustificazione morale della loro adesione al fascismo. In realtà hanno torto sia coloro che si lasciarono trasecolare dalle imponenti realizzazioni, sia coloro che, individuando l'economia corporativa in una economia regolata, vogliono trarne motivo sperimentale per un giustificato rifiuto di questa ultima forma economica. Infatti dall'imponenza delle realizzazioni di un grande paese come l'Italia è lecito trarre senz'altro conclusioni unicamene sull'elevato livello tecnico degli esecutori, ma non mai in ordine alla bontà o meno della politica economica che permise tali realizzazioni. Ricorrendo a un paragone di facile comprensione, nessuno si azzarderà a lodare l'amministratore delegato che, avendo investito tutto il capitale affidato alle sue cure nella costruzione di una lussuosa e imponente direzione, abbia cosi condotto la sua azienda al fallimento. Per quanto si riferisce alla classificazione da dare all'economia corporativa, cosi come è esistita in Italia durante il primo fascismo, diremo che essa non era certo liberista ma nemmeno regolata, il che logicamente avrebbe dovuto presupporre un'azione concreta di governo mira::i.te al raggiungimento di un determinato fine di interesse collettivo. E' bensi vero che in Italia si è affermato fino alla nausea, in occasione a.ella emanazione di un qualsiasi provvedimento legislativo, che esso mirava al superiore interesse nazionale. In realtà però l'ispirazione di ogni provvedimento regolante la materia economica portava la marca di un «Consigliere nazionale», nominato tale appunto nella sua qualità di esponente di privati interessi industriali o commerciali ch'era suo compito difendere. Mentre però nella economia liberista della teoria il «Consigliere nazionale» nel compiere le sue manipolazioni avrebbe dovuto tener conto dell'immediata reazione del mercato tendente al suo «equilibrio naturale» e avrebbe cioè dovuto fare subito i conti con tutti gli interessati dal consumatore ai colleghi di governo rappresentanti di diversi e forse opposti interessi, nel caso della economia corporativa ogni Cosigliere poteva fare i propri comodi senza disturbare i signori a lato P..oich' e ·mmediate eazioni del mercato venivano proprio a questo scopo di pace imbrigliate dalla cosidetta economia manovrata che in sostanza ad altro non mirava se non all'imbavagliamento del consumatore. Da anni ormai ogni riunione di comitati corporativi per l'esame di contratti collettivi si chiudeva fra la generale soddisfazione con un decretato aumento dei margini e dei ricavi. I produttori agricoli volevano, ad esempio, un maggior prezzo per il kg. di bozzoli? I filandieri non avevano nessuna difficoltà a concederlo, purché fosse loro garantito un prezzo congruamente più elevato per il kg. di seta. I tessitori a loro volta non avanzavano difficoltà contro garantito aumento nel ricavo del tessuto venduto all'interno e all'estero. A mantenere viva la richiesta interna provvedeva un giro di vite alle importazioni, a rendere possibili le esportazioni provvedevano premi governativi (economia manovrata). Cosi il ciclo della discussione veniva chiuso senza che il danneggiato consumatore avesse potuto difendersi, in mancanza perfino del gratuito patrocinio. Quali le conseguenze di tale procedere? Margini eccessivi con la conseguente mancata eliminazione di aziende producenti a costi elevati, orientamento frequente della produzione, secondo l'interesse di gruppi precostituiti, verso settori assurdi da un punto di vista dei costi internazionali; scarso reddito nazionale per ora lavorativa, accentramento di ricchezze e cosi via. Che in Italia non si sia mai nemmeno tentato di svolgere una politica economica regolata secondo il fine generale dell'interesse nazionale, è dimostrato chiaramente dalla legge sugli impianti industriali, legge fondamentale di qualsiasi pianificazione. Questa legge si propose invece in Italia funzioni meramente negative, vietando la costruzione di nuovi impianti o l'ampliamento di quelli esistenti senza la preventiva autorizzazione del competente comitato. Chi riceveva· l'autorizzazione non aveva l'obbligo di realizzare l'impianto relativo e questa era la fondamentale lacuna della legge. Cosi in taluni casi questa legge, rigidamente invocata dagli interessati., ad altro non servi che di comodo riparo ad aziende monopoliste, che, fattesi rilasciare autorizzazioni per esuberanti impianti che ben si guardarono dal realizzare, fecero rifiutare poi ad altri gruppi il rilascio di nuove autorizzazioni che aggiunte a quelle già concesse avrebbero portato alle stelle le prospettive dello sviluppo industriale del ramo considerato. Tale legge d'altronde, anche nelle sue funzioni negative, ebbe, come altre, poco rispetto da parte degli interessati che, quando non ebbero a temere la guardia montata dai concorrenti all'osservanza della legge, ampliarono impianti o ne fecero di nuovi senza regolare autorizzazione, limitandosi nella migliore delle ipotesi a chiedere a posteriori una sanatoria frequentemente concessa, come si può rilevare scorrendo le G. U. In uno studio riservato del Ministero delle Corporazioni veniva appunto posta in risalto la scarsa attendibilità dei dati da esso posseduti sul valore degli impianti autorizzati e realizzati, valori che per taluni settori furono poi stimati di 4 e 5 volte inferiori al vero. In conseguenza dei difetti del sistema corporativo, l'Italia dopo anni di proclamata politica autarchica arrivò in guerra assolutamente impreparata, dato che vennero realizzati solo quegli impianti la cui produzione dava agli investitori un certo affidamento di poter essere mantenuta nel dopoguerra oppure permetteva margini cospicui per ammortamenti lampo. Esaroinfamo ad esempio un settore fondamentale quello degli oli minerali ove pure furono investiti ingenti capitali. Vennero ampliate o costruite ex novo le distillerie del Veneto, quella di Napoli e i due stabilimenti per l'idrogenazione di Bari e Livorno. Tutti questi stabilimenti furono costruiti per lavorare olio greggio importato da lontani paesi, salvo il poco minerale albanese; essi dovettero ridurre del 90 per cento la loro produzione quando il paese si trovò in guerra. Per la produzione di benzina sintetica da ligniti nazionali o da rocce asfaltiche vennero concesse numerose e importanti autorizzazioni delle quali fino al 1943 non una era giunta in porto su vasta scala. Eppure solo la 1 benzina sintetica doveva interessare la politica autarchica. Altro caratteristico esempio nel settore tessile è quello della canapa-fiocco, cioè della canapa sfibrata si da renderne le fibre simili a quelle del cotone. Durante il periodo prebellico all'industria cotoniera fu imposto l'acquisto di una determinata percentuale di canapa-fiocco per ogni kg. di cotone importato. Vi fu un anno in cui gli industriali dopo aver riempito i magazzini di canapa-fiocco la rivendettero in perdita pur di non adoperarla. La canapa-fiocco veniva allora imposta allo scopo di potenziarne la produzione, che in tempo di guerre avrebbe dovuto sostituire il cotone. Orbene, appena l'Italia fu in guerra la produzione di canapafiocco precipitò intorno ai 2 mii. di kg. annui, perché le autorità militari requisirono la canapa in tiglio per fronteggiare le necessità belliche in teloni, corde, sacchi ecc. e giustamente si rifiutarono di fare forti assegnazioni per la produzione di canapa-fiocco per uso civile. In guerra la canapa era troppo preziosa per sciuparla nella canapa-fiocco. Analogo fenomeno si verificò nel settore delle fibre artificiali alla viscosa, la cui produzione dovette essere ridotta durante la guerra per la scarsità delle importazioni di cellulosa, carbone e soda. E purtroppo nel dopoguerra gran parte degli stabilimenti produttori di fiocco viscosa continueranno a restare inoperosi a causa della superproduzione di una fibra che certo non può ancora soppiantare il cotone nei suoi impieghi df massa, essendone più cara e qualitativamente scadente. Altro settore fondamentale per la guerra è quello della gomma. Orbene in Italia nessuno stabilimento è stato tempestivamente preparato e solo da qualche mese funziona uno stabilimento a Ferrara (da alcole) mentre quello maggiore di Terni (da carbone) stava per essere ùltimato di questi tempi. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi ma ci riserviamo di esaminare successivamente e nei più accurati particolari ogni settore della attività nazionale italiana dal 1935, che ha segnato l'inizio ufficiale dell'autarchia, ad oggi. Il fallimento del sistema corporativo agli effetti dello svolgimento di una politica economica regolata secondo un dato fine, apparve chiaro d'altronde allo stesso governo fascista sin dal 1942. Da quell'anno infatti, divenendo sempre più grave la situazione militare e in conseguenza sempre più urgente il dare unità di indirizzo allo sforzo economico italiano,il governo ricorseasempre più frequenti improvvisidecreti catenaccio, pubblicati all'insétputa della organizzazione sindacale e corporativa. Come è noto anche questi decreti che mirarono sia a bloccare innn.unerevoli merci e servizi, sia a regolarne la distribuzione, ebbero assai incerta applicazione e dubbi risultati, incontrando non solo l'ostilità dei singoli, ma anche delle organizzazioni economiche fasciste. Tra i clamorosi insuccessi ricordiamo in proposito il tentativo di concentrare l'industria tessile, tentativo di cui si parlòvanamente per mesi ingiornali,leggi e decreti, e quello di unificare la produzione tessile che sboccò nell'adozione di oltre 1000 diversi prodotti tessili tipo. V. P. Proudhon profeta Dall'opuscolo «La Federazione e l'unità d'Italia»: «Chi dice nazione unitaria, dice nazione venduta al suo governo, urbem venalem. A chi può profittare questo regime di unità? Al popolo? No, alle classi superiori . . . L'unità politica nei grandi Stati è la borghesia: i posti che essa crea, gli imbrogli che essa fomenta, le influenze che essa accarezza, tutto ciò è borghese, e giova al borghese. Roma e l'Unità: poi al più presto il Trentino, il Ticino, la Corsica e la Dalmazia; per portare a compimento questa grande restaurazione, non rimarrà che da cambiare una parola, e nominare Vittorio Emanuele Imperatore anzicché Re. Cosi l'Italia, più che mai pontificale e imperiale, si crederà all'apice dei suoi sogni. Come potete credere al risveglio di una nazione, se per tutta politica non le date che da rimasticare la sua storia antica? Ebbene, io ve lo ripeto: quel che avrà l'Italia è una mano di ferro per flagellarla: che questa mano sia quella di un principe di Savoia o quella di un condottiere qualunque. Per averlo cercato all'infuori della Rivoluzione, l'Italia ha fissato il suo destino: sarà una combinazione del pretoriano, dello sfruttatore e del prete.» Eccovi con cento anni d'anticipo una fotografia a colori di Mussolini: «una combinazione del pretoriano, clello sfruttatore e del prete!» Documenti L'ultimo libro di Sir Nevile Henderson Sfr Nevile Henderson, ambasciatore britannico a Berlino fino al settembre 1939, ha licenziato alle stampe, prima di morire, un libro in memoria del suo cane. («Hippy. In m e m o r i a m. L a s t o r i a d i u n c a n e » , edito da Hodder and Staughton a Londra nel 1943. Prezzo 3½ shilling.) Ogni scritto di un personaggio cosi importante è degno di essere conosciuto. Com'è noto, ed ammesso dallo stesso Sir Nevile nel suo libro di ricordi diplomatici «Insuccesso di una missione», fino al 1938 egli aveva ammirato e favorito il nazionalsocialismo tedesco, nell'illusione che potesse servire contro la Russia e contro la Francits nella politica d'equilibrio inglese. La recensione ehe segue, consacrata all'ultimo libro di Sir Nevile, è apparsa sul New State s man a n .d N a ti on del 10 maggio 1943 firmato dallo scr-ittore inglese Leonard Woolf: «Questo libro è un importante documento storico, scrive il Woolf, perché rivela la psicologia del proprietario di Hippy. Hippy era dunque un cane molto antipatico ma adorato dal suo padrone. Pare che la ragione per la quale Sir Nevile adorava questo cagnaccio coraggioso e rabbioso fosse, che Hippy aveva una sola passione nella vita, la caccia, e Sir Nevile aveva la stessa passione, con la differenza naturalmente che Hippy si serviva dei piedi e dei denti mentre Sir Nevile del fucile. All'inizio del libro Sir Nevile confessa che Hippy gli ha compensato la perdita di sua madre e del castello dei propri antenati, e alla fine del libro si lascia sfuggire ch'egli non può concepire un'esistenza dopo la morte, in Paradiso, "se non ci sarà Hippy a tenermi compagnia ,,. L'autore parla raramente di altro che delle avventure di Hippy e della caccia, del tiro e della pesca; i soli altri oggetti del suo interesse sembrano essere stati i re, i principi e le principesse, e soprattutto i cani dei re, dei principi e delle principesse. Non ci si può immaginare libro più ingenuo, né ambasciatore più ingenuo; l'insieme è brillantemente illustrato da cinque ingenue fotografie di Hippy con Sir Nevite, quest'ultimo variamente abbigliato, e in compagnia ogni volta di bestie e di un re. Questo .;portivo di modesta intelligenza era stato educato per far la vita del signorotto di campagna ottocentesco. Il Foreign Office e il governo lo sc~lsero come l'inglese più capace di trattare con Hitler. Avrebbero fatto molto meglio di scegliere Hippy. Perché Hippy, come Hitler, era una specie di Austriaco, cioè un'incrocio tra un bassotto austriaco e un cane di caccia bavar·ese, e inoltre: "il suo ruolo, secondo quello che scrive Sir Nevile, era cli inseguire la traccia del sangue finché l'avesse perduta oppure avesse raggiunto la bestia ferita ed esaurita. Dopo averla fermata, abba.iava coi toni bassi e profondi del cane da caccia, strani a udire da un cane cosi piccolo. Durante l'inseguimento, invece, il suo tono era un guaito piuttosto acuto. Se perdeva la traccia tornava sempre indietro sulle proprie orme fino al posto dal quale era partito.,, Si, Hippy avrebbe fatto molto meglio.» AVVISO Accludiamo al presente numero dell'Avvenire dei Lavoratori una cedola per pagare l'abbonamento, invitando coloro che desiderantt ricevere il giornale a mettersi in regola. Onde evitare malintesi avvertiamo espressamente che per ragioni di opportunità la cedola si trova allegata a tutte le copie del giornale, quindi anche a quelle inviate ad abbonati che hanno già versato l'importo dell'abbonamento. L'Amministrazione. «Liberare e federare!» Scritti di politica, economia e cultura PIERO GOBETTI PROFILO DI MATTEOTTI Indice: L'intransigente del «sovversivismo». L'aristocratico del «sovversivismo»; La lott~ agraria nel Polesine; 11 socialista persecutore di socialisti; Il nemico delle sagre; Il suo marxismo; Il suo antifascismo; Il volontario della morte. Cenni biografici. ' Ristampa dell'introvabile profilo di Matteotti scritto da Gobetti, d1e nella sua brevità e semplicità è quanto di meglio si sia fin'ora scritto sul grande martire socialista italiano. La personalità intellettuale e morale di Matteotti viene disegnata sullo sfondo delle lotte sociali e della vita politica del Polesine e dell'Italia. Un opuscolo di pagine 30, et. 50 la copia. Per ordinazioni scrivere alla Casella postale Nr. 213, Zurigo 6. Redattori: Dr. WERNERSTOCKERZ, urigo; PIERRE ORABERL,ausanne;ELMOPATOCCHBI, elllnzona Druck: OENOSSENSCHAFTSDRUCKEREIZ0RICH
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