• Bit • L'azione ~ociali~ta nel dopo-guerra Il problema dell'impiego totale della mano d'opera 1 ° Dopo questa guerra l'Europa, più degli altri continenti, si ritroverà di fronte all'angoscioso problema della disoccupazione. L'Europa nel corso di 150 anni si è industrializzata con vertiginosa rapidità determinando una corrispondente intensità anche nell'organizzazione della produzione agricola. La densità della popolazione risentì l'influenza di questo intensificarsi dei mezzi di produzione. Per non citare che le cifre totali - cifre tonde - del continente, il numero degli abitanti era di 187 milioni nel 1770, di oltre 400 milioni verso la fine del 19° secolo, e di circa 550 milioni alla vigilia della guerra. L'Buropa verso la fine del 19° secolo - ancora attrezzata come unica fornitrice di prodotti industriali al mondo, sovrapopolata - sentì che il suo posto sul mercato mondiale era minacciato dal fatto che l'America del Nord si attrezzava rapidamente per un'intensa produzione industriale e che nell'Estremo Oriente asiatico paesi a popolazione densa iniziavano anch'essi un'intensa attività nel campo della produzione e del commercio. Donde la preoccupazione di diversi paesi europei. Essi dovevano difendere il loro posto per assicurare lavoro e sufficiente guadagno alle loro crescenti popolazioni. Anziché risolvere il grave problema seguendo il principio degli accordi e della collaborazione, quei paesi si misero in lotta fra di loro per assicurarsi ciascuno - a spese degli altri - un posto privilegiato. Qui troviamo una delle ragioni, la principale, della guerra fra paesi europei che, preparata già nei primissimi anni del 20° secolo, scoppiata nel 1914, sospesa nel 1918, ora ha ripreso più violenta, più micidiale, più distruggitrice che mai. Questa guerra non risolverà - per nessun o - i 1 pro b-1e ma de 11 a c r i s i c h e p e s a s u 11 ' E u r o p a. Comunque essa si risolva, l'America del Nord ·avrà approfittato del conflitto per consolidare l'unione di tutti i suoi Stati, per attrarre nella sua orbita il Canada, l'America del Sud e l'Australia; e l'Asia ne uscirà comunque affrancata dall'egemonia europea. America e Asia - ricche di materie prime e di fresche energie umane - intensificheranno la loro attività produttrice, soprattutto nel campo industriale, a tal punto che l'industria europea non resterà sul mercato mondiale che un piccolo resto del posto che essa vi occupava un tempo. Non perdiamo tempo a discutere - da un punto di vista astratto - se questo sia un bene o un male; se - internazionali - dobbiamo averne piacere o dispiacere. Ci basti constatare il fatto, e trarne le debite conclusioni. Le conclusioni non sono gaie per noi europei. Ricordiamoci che anche oggi tutta l'organizzazione economica e soci a I e dell'Europa resta la stessa dei tempi quando l'Europa era la principale fornitrice di prodotti industriali al mondo. Essa dispone di una attrezzatura industriale fortissima, divenuta tanto più forte in quanto la sua incapacità ad arrivare ad un'intesa fra i suoi paesi ha ridotto tante nazioni che erano quasi unicamente agricole ad organizzare anche una loro produzione industriale. Tanto più forte in quanto, anche la Russia - ricca di risorse naturali - ha fatto dopo la sua rivoluzione un immenso sforzo nel senso della sua industrializzazione, di cui ora si vedono gli effetti. L'Europa è dunque un continénte organizzato per un'intensa produzione industriale senza disporre più di sufficiente spazio sul mercato mondiale per collocare i suoi prodotti. Una crisi industriale l'attende. Molte fabbriche - venute su come funghi durante la guerra per fabbricare armi - dovranno arrestare la loro attività. Molte altre dovranno lavorare per poche ore del giorno. Vi è poi la minacciata paralisi dell'industria pesante tedesca da parte dei vincitori. Le conseguenze per la massa operaia sono facili da trarre : ci sarà una spaventosa disoccupazione. Si tornerà a parlare di 40 ore settimanali, e anche di meno; di ricerca di lavoro ... 2° D i r i c e r c a d i I a v o r o soprattutto. Il grande problema sta qui. L'indennità ai disoccupati, fa u te d e mi e u x , si presenterà come necessaria. Ma si tratterà di una di quelle spese che si dicono «improduttive». Non discutiamo l'esattezza del termine. Diciamo piuttosto che c'è di meglio da fare: cercare di avviare gli operai disoccupati verso forme di attività che - mentre giovano all'economia pubblica - possono procurare loro un sufficiente reddito per vivere. Forma, questa, più dignitosa, oltre che socialmente più utile. Il problema non è di facile soluzione. Esso si presenta sotto diversi aspetti, l'esame dei quali ne mostrerà le grandi difficoltà. Chi ha la debolezza di attaccarsi a dei luoghi comuni per nascondersi la gravità dei problemi, dirà che bisogna avviare gli operai delle industrie verso il lavo:ro dei campi. C'è qui, certamente, una soluzione da non scar.tar a vri,p~ Ma è una ol~ione ~ssa· complessa, che richiede tempo e grandi mezzi. Non bisogna credere che si possa semplicemente trasformare dall'oggi al domani dei lavoratori delle fabbriche in lavoratori dei campi. L'Europa, da quando è divenuta un continente fortemente industrializzato e molto popolato, ha sempre avuto bisogno di importare dei prodotti agricoli per la sua alimentazione (cereali e carni in primo luogo) e per le sue industrie (principalmente cotone e lana). Ciò non la preoccupava affatto nel passato. Essa pagava le importazioni esportando prodotti industriali, e godeva anzi di un margine di profitto che la arricchiva permettendole di elevare i regimi di vita delle sue popolazioni ... e di attrezzarsi per la guerra. Ma domani - quando le sue esportazioni saranno molto ridotte a causa della concorrenza americana e non ci sarà più, a tener su le famiglie, l'artificiosa economia di guerra basata sui debiti e sull'ipoteca di una vittoria - con che potrà essa pagare le sue importazioni? Le merci si pagano con le merci, e un paese che deve pagare le sue importazioni con dell'oro va verso l'esaurimento delle sue risorse. Se non c'è modo di pagare con l'esportazione tutte le importazioni, bisogna cercare di risolvere il problema in un altro modo: ridurre, per quanto è possibile, le importazioni. Non con la riduzione del consumo, ma aumentando la produzione in Europa di quelle derrate agricole che bisogna in parte importare. E' possibile? Una risposta esauriente è difficile darla. Bisogna basarsi su degli elementi vaghi e anche su delle supposizioni. Ma è certo che delle possibilità esistono, e non anti-economiche, s e a v r e m o 1a R u s s i a c o n n o i. Le grandi pianure russe possono aumentare di molto la loro produzione di cereali, di carne e anche di materie prime agricole. Quando si pensa che la produzione media per ettaro del grano non ha mai superato - in Russia - di molto gli 8 quintali per ettaro (la famosa organizzazione dell'agricoltura nella Russia sovietica è ancora a base di sistemi estensivi, e i famosi kolkkoz sono dei veri e propri latifondi non superiori per intensità di lavori e per capacità di produzione a quelli siciliani e pugliesi) ; quando si pensa che in Russia l'allevamento del bestiame è ancora allo stato primitivo, e che esistono in quel paese delle larghe possibilità di produrre molto cotone, molta lana e altre materie prime agricole di grande importanza, si potrebbe essere ottimisti quanto alla possibilità di assicurare in Europa una produzione agricola che riduca sensibilmente le nostre importazioni extra-continentali di derrate alimentari. Anche gli altri paesi europei, oltre la Russia, possono ;:i.umentare la produzione delle loro terre. Ma qui il compito è più difficile. Quando un sistema di produzione agricola è già intensivo, ogni grado ulteriore di intensità comporta un tale aumento del costo per ogni unità di prodotto che il margine della convenienza si restringe presto, fino a diventare nullo, e a trasformarsi in perdita. Nei paesi occidentali l'agricoltura ha raggiunto un elevato grado di intensità. Superare ancora quel grado è tecnicamente possibile, ma la convenienza dello sforzo è scarsa e sarebbe presto nulla (a parte alcune regioni spagnuole, italiane e balcaniche). Il compito dell'aumento della produzione agricola spetta principalmente ai paesi dell'Europa orientale, da compensare con convenienti forniture di prodotti industriali. Qui si affaccia il grave problema del bilancio fra la produzione industriale e la produzione agricola. E' un problema che non si risolve se non lo si pone sopra un piano continentale, europeo: piano di intese e di collaborazione. Anche qui sorge la necessità dell'unità europea. L'Europa occidentale deve poter conservare la sua economia prevalentemente industriale; l'Europa centrale e orientale deve poter conservare la sua economica prevalentemente agricola: le due parti del continente devono potersi scambiare le loro produzioni valendosi di accordi basati au t a r i f f e p r e f e r e n z i a 1i. Autarchia europea? No. Ma un regime che permetta un conveniente equilibrio fra due parti dell'Europa le quali, per ragioni geogra-: fiche e storiche, hanno sempre avuto due economie diverse. O quelle economie trovono modo di combinarsi in un'economia unica, basata su un concetto dell'unità continentale che ammetta accordi di interna preferenza, o, se esse dovessero restare distinte, non trarrebbero l'Europa da una crisi che è già grave e che si troverà ancor più aggravata dopo la guerra. L'Inghilterra e soprattutto gli Stati Uniti ci fanno già intendere che essi sognano un regime di parità fra tutti i paesi del mondo, con scambi basati sulla c I a u so 1a de 11 a n a - z i o n e p i ù f a v o r i t a. La clausola della nazione più favorita - data la loro superiore attrezzatura industriale e data l'attrezzatura industriale che avrà domani l'Estremo Oriente asiatico - metterebbe l'Europa continentale te di inferiorità tale da farle subire una vittoriosa concorrenza extra continentale, tale da indurla a deperire in uno stato di crisi economica cronica. Clausola della nazione più favorita applicata ad un'unione continentale europea, questo si; ma a 11 ' in te r n o de 1 continente i paesi devono potersi scambiare i prodotti fra di loro a condizione di preferenza. Tutto sta a vedere se questa unione continentale è fattibile, almeno per quanto riguarda le relazioni commerciali con paesi di altri continenti. Dobbiamo volerla; dobbiamo persistere a volerla, anche se gl'imperialisti vincitori vorranno ostacolarla; essa sola può salvarci. 4° Questo significa che la nuova organizzazione della produzione agricola in Europa non implica semplicemente una questione di mano d'opera. Essa esige una modificazione profonda e generale dei sistemi agricoli. Il che vuol dire: modificazioni della struttura delle aziende, modificazioni nella distribuzione delle culture, nuove direttive per gli allevamenti di bestiame, ecc. Essa esige un piano di accordi fra tutti i paesi: accordi di carattere tecnico, economico e finanziario; accordi per gli scambi fra paesi europei e con paesi extra-europei. Essa esige una organizzazione delle comunicazioni tale da rendere conveniente gli scambi fra le diverse parti dell'Europa. Per quanto riguarda la mano d'opera, in ogni caso, non si creda che sia tanto facile trasformare un lavoratore di officina in un lavoratore dei campi. I rapporti fra l'uomo e la terra danno al lavoro agricolo una caratteristica speciale, ben distinta da quella del lavoro nelle industrie. E' un lavoro che esige una molteplice capacità tecnica in ragione delle diverse forme di attività di un'azienda agricola, ed es i g e I una attitudine morale speciale, senza della quale il coltivatore non riesce a sopi portare e le dure fatiche e le sconcertanti variazioni del tempo, delle annate, dei redditi, ecc. Questa attitudine morale non si ha, non si acquista se non nel caso che il coltivatore lavori per sé, o in una piccola o piccolissima azienda familiare sua, o in una media o grande azienda collettiva. Il lavoratore agricolo salariato non ama la terra. Vi risiede se non può farne a meno. Vi lavora per abitudine; ma, se può, se ne va. Si pensi un po' come possa un lavoratore di fabbrica diventare un lavoratore salariato dei campi. Si esige da lui, subito, una capacità tecnica che non ha. G 1i o c c o r r e u n' a t ti - tudine morale che gli manca e che n o n si i m p r o v vi s a. Questa è la ragione per la quale tutti i tentativi fatti in diversi paesi - ad esempio in Francia e negli Stati Uniti - per avviare i disoccupati dalle fabbriche verso i campi, hanno dato risultati pietosi. 5° I disoccupati di domani - quelli dei paesi europei - potranno, secondo noi, trovare un'utile occupazione immediata nei lavori di ricostruzione (la guerra ne aumenta ogni giorno, spaventosamente, le possibilità) e nei lavori relativi alle nuove comunicazioni. 6° Non c'è bisogno di insistere sui lavori di ricostruzione. A guerra finita, quando si farà l'inventario delle rovine, si troverà che c'è un gran numero di fabbricati, di porti, di strade, di ponti da ricostruire; che c'è un gran numero di ettari di terra su cui è passata la guerra distruggendo tutto quello che l'uomo aveva accumulato in essi e su di essi con un duro, paziente e sapiente lavoro di secoli, e senza del quale la terra - ridiventata selvaggia - non può produrre; che c'è tutto un materiale rotabile delle ferrovie e delle strade che deve essere ricostruito o riattato; che ci sono delle flotte da ricostruire, ecc. Sono tutti lavori da fare, se si vuole che la vita collettiva riprenda un ritmo normale e tale da permettere ai popoli di lavorare con vantaggio specializzando le loro attività e di scambiarsi con vantaggio i loro prodotti. 7° Ma c'è di più. Si è parlato qui di rapporti fra l'Europa orientale, dove domina la produzione agricola, e l'Europa occidentale, dove domina la produzione industriale. Fra queste due parti dell'Europa bisogna che le relazioni commerciali diventino più intense e continue, se si vuole che l'Europa possa crearsi una propria economia unica abbastanza equilibrata, rispondente alle nuove condizioni del mercato mondiale. L'Europa orientale deve aver in te - resse ad aumentare la sua produzioneagricola e ad organizzarne la vendita in forme collettive, e deve a v e r i n t e r e s s e a fornire all'Europa occidentale delle materie prime per la produzione industriale. L'Europa occidentale deve potere salvare il massimo possibile della sua produzione industriale trovando nell'Europa orientale - e nei paesi confinanti dell'Asia e dell'Africa - un mercato conveniente. Ciò non sarà possibiie che a una condizione: quella di adatti mezzi di comunicazione fra le due parti del continente. Di mezzi di comunicazione organizzati a n c h e su un piano internazionale, e che siano adatti alla diversa natura dei prodotti da scambiare, che siano sufficienti, rapidi, economici. Il problema è di primaria importanza; è un aspetto del problema dell'unificazione politica ed economica del continente. Adesso le comunicazioni fra i paesi di Europa sono insufficienti, troppo costose e impacciate da una rovinosa quantità di ostacoli di carat~ tere nazionale. Sono insufficienti. Chi guarda una carta europea dei mezzi di comunicazione, non può esimersi dal constatare due stati di cose. Il primo: i sistemi di comunicazioni hanno uno o diversi centri per ogni paese, sono principalmente sistemi nazionali. Le comunicazioni internazionali esistono certamente, ma non sono abbastanza dirette e sono poco numerose. Il secondo: fra l'Europa orientale e l'Europa occidentale le comunicazioni sono scarse, lente, non in accordo fra di loro. Questi due stati di cose fanno ora dell'Europa occidentàle e dell'Europa· orientale due corpi distinti, dai rapporti scarsi, lenti e troppo costosi. I paesi dell'Europa occidentale trovano maggiore convenienza a rifornirsi presso i paesi di America piuttosto che, per esempio, presso la Russia, la quale non è sufficientemente premuta ad aumentare la sua produzione agricola. Domani, ciò può essere di grave pregiudizio per l'Europa in generale, sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista politico. E' vano parlare di intese politiche quando non può esistere una stretta collaborazione economica. Bisogna dunque provvedere - più rapidemente che ciò sia possibile - ad organizzare su più larga base le comunicazioni fra i diversi paesi di Europa, con questi obiettivi concreti: a) La rete ferroviaria europea, anziché essere una scacchiera di reti nazionali, deve diventare una rete veramente europea, con la costruzione di nuovi raccordi, con la costruzione di linee più dirette, con l'aggiunta di binari, con la costruzione di materiale rotabile potente per forma di trazione, per velocità, per capacità. b) Alla rete ferroviaria deve aggiungersi una rete di auto-strade. Il conflitto fra la ferrovia e l'autostrada deve essere risolto nel senso di una equa ripartizione dei servizi. c) A loro volta, rete ferroviaria e rete di autostrade devono essere completate da una rete di canali e di fiumi navigabili scavati e aperti secondo un piano internazionale. Anche qui deve essere organizzata una razionale distribuzione delle funzioni. d) Vi sono dei porti nei diversi mari europei che devono far parte dell'insieme della rete europea di comunicazioni; devono diventare porti europei. Devono quiru:li essere allargati e organizzati in modo da potere essere adibiti ad una tale funzione. L'organizzazione di una rete europea di comunicazioni comprenderà un·a parte, forse considerevole, di lavori di ricostruzione di cui si è parlato al capitolo 6 e - in più - tutti i lavori per le ferrovie, le autostrade, i canali e fiumi, i porti. Essa richiederà grandi somme. Sarà un sacrificio necessario. N o n si d e v on o trovare i miliardi solo per fare la g u e r r a. Bisogna poterli trovare anche per la produzione e lo scambiò dei beni nell'interesse dell'umanità che lavora e vuol vivere in pace. Noi prevediamo p e r t u t t i q u e s t i lavori e per la gestione dei mezzi internazionali di comunicazione la fondazione di uno speciale istituto europeo presso la Società delle Nazioni Europee comunque si chiami. Questo istituto dovrà disporre di un fondo costituito con contributi imposti ai diversi Stati interessati, ognuno in ragione composta della propria capacità finanziaria e del vantaggio che potrà ritrarre dal funzionamento della futura rete di comunicazione. Esso dovrà preparare un piano generale di tutti i lavori da compiere, e dovrà poi disporre di tutti i mezzi per intraprenderne e condurne a termine l'esecuzione. Dovrà poi presiedere, come istituto permanente, alla manutenzione della rete e del materiale, all'amministrazione dei servizi. Quale sia l'organizzazione interna di questo istituto non è qui necessario studiare nei particolari. Certo ci sarà un'assemblea con delegati di tutti i paesi, ci sarà un consiglio con delegati dell'assemblea, ci sarà un comitato esecutivo e ci saranno degli uffici tecnici e degli uffici finanziari, in relazione con gli uffici corrispondenti dei diversi paesi. 9° L'esecuzione dei lavori di ricostruzione e i lavori per l'organizzazione di una ret~ europea delle comunicazioni riusciranno ad assorbire molta mano d'opera (terrazzieri, muratori, minatori, metallurgici, meccanici e falegnami, ecc.) che domani si troverà disoccupata. Riusciranno ad assorbirla tutta? Non si può dire. Supponiamo di no. Il «no» costituisce infatti la risposta più probabile. In questo caso, che si fa? Non si può - per ragioni di ordine sociale e di ordine politico - considerare con cinica indifferenza il caso di milioni di operai senza lavoro. La società si troverà domani di fronte ad un dilemma davanti al quale non sarà possibile bendarsi gli occhi per non vedere e turarsi gli orecchi per non sentire: o trovare un'occupazione a tutti i lavoratori, o subire delle convulsioni che metteranno il mondo sottosopra senza tendere ad una ricostruzione stabile. Non dimentichiamo il ruolo dei disoccupati nello sviluppo del nazionalsocialismo tedesco. Dove non si riuscisse ad occupare tutta la mano d'opera su 1 p o s t o , bisognerà pensare
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