Sulle origini di que~ta guerra La verità, oieot'alfro me la -ve1•ità Se rinunciassimo a ricercare la verità sull'attuale guerra, sulle sue origini, sulla sua natura, - la verità e nient'altro che la verità, - tradiremmo noi stessi, la nostra funzione di socialisti, di guide e educatori della classe operaia, tradiremmo questa nostra missione, che possiamo e dobbiamo considerare come una missione sacra, per la serietà delle questioni che solleva e anche per la fiducia che hanno in noi quelli che ci leggono e ci seguono. Se rinunciassimo a ricercare la verità sull'attuale guerra, sarebbe un dovere di coerenza rinunc'are a ricercare ogni altra verità, di ogni altro fenomeno politico o sociale della nostra epoca, perché una grande guerra come l'attuale è il punto d'incrocio, il punto di confluenza, di tutte le crisi particolari, di tutti i problemi, di tutte le contraddizioni del nostro tempo. E tutto quello che noi potremmo dire sullo stato, sull'economia, sulle nazioni, sulle colonie, sulla disoccupazione, sarebbe unilaterale e insomma falso, se seguissimo l'esame di questi fatti particolari fino al punto in cui sono sboccati nella guerra e li poi ci arrestassimo. Un socialista, una vera guida dei propri compagni di lavoro, ha il compito di diffondere attorno a sé, con la parola e con gli scritti, la coscienza, la consapevolezza, di tutto quello che accade; e come potrebbe rinunciare a dire la verità su un avvenimento cosi grave quale la guerra? Se rinunciassimo a ricercare la verità sull'attuale guerra, dovremmo rinunciare ad occuparci del dopo-guerra; è infatti intellettualmente impossibile affrontare seriamente uno solo dei problemi del dopo-guerra se non si ha una nozione esatta, chiara, storicamente fondata, delle origini e della natura dell'attuale conflitto mondiale. Purtroppo le publicazioni veramente serie sulla guerra in corso sono rare, e per quello che a noi consta quasi esclusivamente di autori inglesi. In America e negli stessi paesi neutri dell'Europa vi è una diffusa bigotteria antifascista molto restìa a trattare con serietà l'origine profonda del conflitto attuale «per non far.e il giuoco del fascismo». Noi siamo dell'opinione che solo la menzogna e la superficialità fanno il giuoco del fascismo. E siamo fermamento convinti che un piano del dopoguerra il quale non parta da un'analisi seria e disinteressata delle origini delle contraddizioni attuali è un castello costruito sulla sabbia, come lo fu il Trattato di Versaglia. Solo una giusta diagnosi può ispirare una giusta terapia; una falsa terapia, che curi solo i sin tomi del male e non le sue cause, in realità l'aggrava. E poiché non è possibile trattare della seconda guerra mondiale senza rievocare la prima, sia ben chiaro che non intendiamo riaprire delle vecchie polemiche con gli amici antifascisti che allora ebbero un atteggiamento diverso dal nostro e che a modo loro fecero il proprio dovere e pagarono di persona. Una guerra è sempre una crisi cosi vasta che in essa sono molto spesso coinvolti accanto agli ·affaristi e ai pescicani, uomini di ben altra e opposta levatura morale e intellettuale. Ma la presenza di gruppi d'idealisti non basta a cambiare il contenuto storico oggettivo di un avvenimento e gli idealisti non devono offendersi se l'analisi spassionata di un movimento al quale essi sacrificarono la propria gioventù arriva a constatazioni molto prosaiche. La nostra rivendicazione della verità sulla guerra può far sorridere i cosidetti politici realisti i quali considereranno il nostro modo di sentire e giudicare come astratto «poiché la realtà politica del mondo di oggi è la guerra e rispetto ad essa gli uomini sono divisi in due parti». In realtà nemmeno noi ignoriamo il fatto guerra e sappiamo che ogni giudizio non superficiale sulle origini e la natura di questa guerra implica un apprezzamento differenziato delle parti in conflitto; ma noi crediamo di servire l'umanità, la quale dovrà continuare a vivere anche dopo questa guerra, se non ci lasciamo imbottire il cervello da nessuna propaganda interessata e se, già da ora, in piena guerra, volendo ricercare la via per salvarci da una terza guerra mondiale, ci dedichiamo alJo studio delle cause della guerra attuale. Ciò facendo, non soltanto sentiamo di non cadere nell'astratto e nel vago, ma ci sappiamo uniti ad una realtà più grande e più forte di quella dei politici realisti, sappiamo di servire i milioni di uomini, i milioni di poveri cristi vittime deIJa guerra, sappiamo di servire il nostro paese e la causa del socialismo. Anche questa è una realtà, per noi ben più reale delle Cancellerie e dei Ministeri in guerra. Contro l'imhottimeoto dei crani Forse non è superfluo che noi ci spieghiamo ancora più chiaramente: certo, per la causa del socialismo e della democrazia non è indif ferente come finirà questa guerra; noi siamo solidali coi socialisti che si battono contro il fascismo e il nazionalsocialismo; ma la causa del socialismo, per noi, non si identifica interamente con quelJa di nessuno degli attuali paesi belligeranti; essa si identifica invece con la causa degli sftuttati e degli oppressi di tutte le contrade del mondo. E' perciò indispensabile che i socialisti, anche nella lotta contro il fascismo, non abdichino in nessuna maniera alla loro autonomia, e facciano uso del loro diritto anzitutto nel campo del pensiero, nella ricerca dei funesti errori che hanno condotto alla guerra attuale e nella discussione sui cambiamenti da apportare al più presto nei rapporti tra i popoli per allontanarè la sciagura di nuove guerre. On ambasciatore bizzarro William E. Dodd - n. a Clayton (Carolina del Nord) nel 1869 - fu ambasciatore degli Stati Uniti a Berlino dal principio dell'estate 1933 fino alla fine del 1937. Il suo diario, del quale abbiamo tradotto le notizie più interessanti, comprende dunque un periodo importante, forse il più importante della preparazione della guerra. L'ambasciatore Dodd non fu un ambasciatore di carriera; nemmeno uno di quei ricconi che, per aver elargito nel 1932 una forte somma alla cassa elettorale del Partito Democratico, si credettero autorizzati ad aspirare al posto di ambasciatore a Berlino. Il Signor Dodd - secondo il nostro criterio un benestante, ma secondo quello americano piuttosto un nullatenente - fu semplicemente professore di storia all'Università di Cicago. Nel campo professionale e nella «Repubblica degli Scienziati» godè peraltro di una grande reputazione. Una prova ne è la sua designazione per il 1934 a Presidente della Società Storica Americana. Torna ad onore della chiaroveggenza di Roosevelt e del suo senso d'indipendenza se, magrado tutti gli impacci che legano anche il potente Presidente degli Stati Uniti, abbia affidato al Signor Dodd un posto così importante come quello di ambasciatore a Berlino. La maniera come lo fece è tutta americana. Dodd stesso cosi la racconta nel suo Diario; è la prima notizia con data dell'8 giugno 1933: «alle 12 il telefono del mio ufficio alla Università di Cicago suonò. Franklin Roosevelt è al telefono: Vorrei sapere se sia disposto a rendere. un grande servizio al Governo. Desidererei che si recasse in Germania quale ambasciatore. Restai molto sorpreso e · risposi chiedendo un po' di tempo per riflettere. Ribatte: Due ore Vi bastano per prendere la decisione? - Forse. Bisogna che ne parli con le autorità Universitarie. Due ore dopo il Presidente riceveva la mia risposta affermativa e poteva presentare al Gabinetto adunato la proposta di nomina che fu accettata senza opposizione. Per il posto di ambasciatore a Berlino il Signor Dodd possedeva alcune cognizioni e qualità del tutto indicate. Aveva studiato da giovane per tre anni a Lipsia, vi si era addottorato con una tesi sul grande Presidente democratico degli Stati Uniti Jefferson. Conosceva a fondo la lingua tedesca come pure il paese ed i suoi abitanti. Di più: «il suo rispetto per i migliori tratti della vecchia Germania ed il calore cordiale che l'animava verso il popolo tedesco era insito nel suo essere.» Cosi il suo collega Charles A. Beart, in una prefazione all'edizione americana del Diario, descrive l'atteggiamento di Dodd. Ancora più sintomatico per il carattere di Dodd è il segu-ente stralcio dal medesimo brano: «La sua fedeltà alle tradizioni umanistiche dell'America era al disopra di ogni dubbio.» Nulla meglio del suo Diario dimostra la profonda umanità e la nobiltà dei sentimenti di Dodd. Basterebbero queste doti per far emergere il suo Diario al disopra di tutte le altre memorie che in quest'ultimi tempi sono state gettate sul mercato da diplomatici, statisti, giornalisti o magari ricchi viaggiatori alla ricerca del sensazionale. Quante di queste memorie non rappresentano che banali cicalate di società ? Un altro fattore rende preziose le Note del Dodd. Esse sono state scritte giorno per giorno, fresche perciò nell'impressione e nel ricordo, nè in seguito sono state modificate dagli editori, il figlio e la figlia del defunto ambasciatore. Il Diario fa risaltare cosi lo spirito democratico degli Stati Uniti dove certe critiche aperte ad alti funzionari ed al più alto, come quella a Sumner Welles e allo stesso Roosevelt confidate da Dodd al suo taccuino, non sono cadute sotto le cisoie del censore o cancellate con discreto opportunismo dagli editori. Ma questa sincerità senza belletti non è il merito essenziale di queste Note. Ciò che dà loro un valore che supera la contingenza degli- avvenimenti è il fatto che queste Note « do c u mentano come i preparativi della guerra che attualmente sconvolge il mondo si sono estesi per anni, che le cause della guerra erano BibliotecaGino Bianco reperibili e che si sarebbe potuto stornarle con la buona volontà degli uomini responsabili e con una sufficente perspicacia delle m a s s e. L a g u e r r a s i s a r e b b e p o - t u t a e v i t a r e. E s s a n o n è s c o p p i a t a per un fato ineluttabile di forze i n s c r u t a b i 1 i p e r 1 ' u m a n i t à. L a guerra è stata, nel vero senao della parola, fatta, e fatta da uomini, non da forze soprann a tu r a 1 i.» Questa è la verità lampante che balza da ogni pagina dalla Note quasi uno schiacciante verdetto. Cosi il libro diventa un'accusa che ci investe tutti. Contro Dodd si è intrigato a Washington da tutte le parti, tacciandolo di «allarmista» e di «cacciatore di sensazionali». Anche altri ammonitori che avrebbero potuto esprimersi davanti l'opinione pubblica più apertamente di un ambasciatore sono stati in egual modo ridotti al silenzio. Ma restavano tuttavia sufficenti dati di fatto e sintomi bastanti per illuminare anche «l'uomo comune» dell'epoca e, con un po' più di risolutezza, per sviare il corso degli avvenimenti. Ma prigrizia dello spirito, ignavia del cuore, desiderio di «distrazione» mentre era invece cosi necessaria la concentrazione, fuga dalla realtà verso sogni bell'e preparati e quasi sempre tra i più banali, scetticismo quando abbisognava la fede, e superstizione quanto necessitava uno scetticismo critico, tutto ciò caratterizò questo periodo decisivo e la conseguente colpa dei contemporanei. Si cianciò fatalisticamente di «destino» nascondendo a sé stessi c h e 1 a p o 1 i t i c a e r a i 1 d e s t i n o , destino del mondo e del singolo. E mentre i «bene intenzionati» furono acquiescenti e passivi, tanto più attivi furono i «demoni» e tutti quelli ad essi asserviti. Furono loro ad imprimere il marchio a questo mondo e dargli l'impùlso distruttivo. Responsabilità in alto e in basso Si trovano nel Diario di Dodd preziosi documenti sull'attività esiziale spiegata dai padroni dei grandi giornali, dai grossi industriali e dai magnati della finanza che giocarono a sangue freddo colla guerra come mezzo per favorire i loro egoistici interessi particolari. Dalle sue note risulta come diplomatici e statisti svisarono od annebbiarono i fatti, come scienziati ed artisti vennero meno alla causa loro affidata, ma anche come popoli intieri con troppa faciloneria urlarono in combutta coi lupi e forgiarono cosi colle proprie mani il loro spaventoso destino. Questo è quanto c'insegna il Diario del Dodd e dobbiamo dedurne gli ammaestramenti s e n o n v o g l i a mo che la prossima generazione debba subire una terza ed ancor più spav e n t o s a g u e r r a m o n d i a 1 e. Se pure è provato, senza ombra di dubbio, a quali nazioni ed uomini incomba la responsabilità dello scatenamento delle forze demoniache, d'altra parte non dobbiamo mai dimenticare che questa potenza, capace di rovesciare gli orrori della guerra contro il mondo fu da loro conseguita unicamente perché furono favoriti non solo nello interno ma anche dal di fuori. Anche questo è provato dal Diario dell'ambasciatore americano. Questa missione, per la quale non aveva brigato, non fu accettata dal Signor Dodd a cuor leggero. Già nel maggio 1933, richiesto se eventualmente avesse accettato un incarico diplomatico, Dodd aveva dichiarato a Washington che non avrebbe desiderato andare a Berlino perché tutto il movimento hitleriano gli era esoso e sarebbe restato continuamente sotto una oppressione insopportabile per il suo temperamento. Ciò che poi visse a Berlino superò senza dubbio le più fosche previsioni. Ne fu scosso profondamente come uomo ma non nella sua fede s u 1 v a 1 o r e d e 11 a D e m o c r a z i a. Tutt'al contrario! Si rafforzò anzi la sua convinzione che solo p e r 1 a vi a d e m o c r a ti c a l'umanità avrebbe potuto raggiungere il regno della Libertà e dell'Umanesimo. Ma era al tempo stesso convinto che la Democrazia fosse ancora in div e n ire e ben lungi dall'aver raggiunto il suo compimento, anzi, che i compiti più gravosi dovevano ancora attendersi. Charles A. Beard cita come uno dei detti prediletti di Dodd «la Democrazia non è stata ancora veramente saggiata». Come uomo e come storico Dodd fu troppo lungimirante ed onesto perché gli sfuggissero o potesse tacere le falsificazioni della democrazia politica conseguenza della spartizione ineguale della potenza economica e delle materie prime. E contro Roosevelt affacciò la sua preoccupazione che la struttura economica piramidale instaurata negli Stati Uniti avrebbe finito col condurre ad un nuovo feudalesimo, alla trasformazione dei f a r m e r in salariati e di tutti «gli operai non organizzati delle città in proletari». Come scienziato e come diplomatico Dodd si considerò sempre servitore della verità. Si oppose fino all'ultimo con tutte le sue forze alla danza macabra cui intuiva si sarebbe giunti in conseguenza della «politica di appagamento», degli intrighi e delle titubanze. «Alla memoria del nostro caro padre, maestro, ed amico che in un'epoca di inganni tenne fede alla Democrazia», ecco l'onorevole dedica che il figlio e la figlia hanno premesso al Diario: «Quando nel futuro verrà scritta la storia dei nostri aggrovigliati tempi, questo Diario sarà considerato come una fonte primaria d'informazioni e come un documento di commovente umanità». Cosi Charles A. Beard ha scritto alla fine della sua prefazione. Ed ancora : «di William E. Dodd scienziato, maestro, scrittore e servitore della Repubblica si può qire adoperando una massima di Chateaubriand : Egli resterà nella memoria del mondo per quello che ha fatto in favore del mondo.» VOCABOLARIO «Abbiamo smarrito i nomi delle cose.» Razza. La parola razza esprime l'idea-forza della rivoluzione nazionalsocialista tedesca, ma non è di origine tedesca. La parola tedesca Rasse deriva direttamente dal francese race; come pure è accertato che i francesi l'han ricevuta dagli spagnuoli (raza) e gli spagnuoli a loro volta dai marocchini; questi infine, attraverso l'Africa del Nord e la valle del Nilo, dagli etiopi. Nella lingua amarica si trova dunque la radice più remota della parola razza, ed è ras, che significa nello stesso te.mpo: capo, gente, popolo comandato dallo stesso capo e della stessa origine. La lingua amarica essendo una lingua semitica, si deve constatare che la parola espriniente l'idea-forza della rivoluzione antisemita, è una parola semitica. Radicale. L'aggettivo radicale deriva dal sostantivo radice e perciò significa andare a fondo, non rimanere alla superficie, non contentarsi dell'apparenza, ricercare le radici o cause prime di un dato fenomeno. In politica l'aggettivo radicale significa (o dovrebbe significare): estremista, avversario inconciliabile delle mezze misure, dei palliativi, dei compromessi, partigiano intransigente di un programma rivoluzionario di cui si chiede la realizzazione integrale. Ma questo significato dell'aggettivo radicale sopravvive attualmente solo nella lingua tedesca; in italiano e in francese esso accompagna talvolta le denominazioni dei partiti democratici solo come un residuo dell'epoca in cui questi partiti erano rivoluzionari. Rispetto alla loro politica attuale, essenzialmente conservatrice e fatta di piccoli compromessi, di intrighi, di finte riforme, di tira-acampare, e di una folle paura di andare a fondo, di andare alle radici dei mali presenti, la denominazione di partiti radicali borghesi è dunque acerba ironia. Lo stesso destino hanno i figli degli anarchici che fanno carriera, diventano commendatori, mettono la pancetta e devono continuare a chiamarsi Spartaco. Unitario. L'aggettivo unitario deriva dal sostantivo unità e dal verbo unire e indica la qualità del mettere assieme cose o persone separate. E' un aggettivo piacevole all'orecchio e perciò molto usato. In politica esso serve spesso a mascherare il contrario, e cosi un gruppq di uomini che si organizza per provocare una scissione nel proprio partito, nel proprio sindacato, nella propria chiesa, non si chiamerà mai e poi mai gruppo scissionista, ma volentieri e di preferenza gruvpo unitario. Amgot. In lingua turca amgot significa sterco di cavallo. (Dal The New Stateman and Nation, fascicolo del 14 agosto 1943, pag. 101, seconda colonna.) Se l'avessimo saputo prima, ci saremmo risparmiati molto cattivo sangue. AVVISI Per soddisfare le numerose richieste, l'amministrazione ha introdotto un abbonamento trimestrale (per sei numeri); esso costa Fr. 2.- e deve essere versato al conto postale No. VIII 26 305. Invitiamo di nuovo coloro ai quali abbiamo inviato i primi numeri del giornale come saggio di volersi mettere in regola con l'amministrazione o di respingere altrimenti il giornale. L'amministrazione degli opuscoli è stata accomunata a quella dell'Avvenire dei Lavoratori. Le ordinazioni debbono quindi essere dirette all'amministrazione del giornale. L'AMMINISTRAZIONE.
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