Bi economico. E' chiaro che molto dipenderà dal personale che, eserciterà i controlli a nome della nazione. Molti impiegati dovranno evidentemente essere uomini di affari con una conoscenza diretta e intima dell'industria; noi non potremo fare a meno della loro esperienza, qualunque siano gli altri esperti di cui faremo uso. Ma è altrettanto chiaro che i controlli esistenti, imposti dalla guerra, nella loro forma attuale, sono un grave pericolo pubblico. E' impossibile affidare delle funzioni cosi importanti a degli uomini i quali, come tanti controllori di oggi, sono direttamente e personalmente interessati nelle industrie che controllano. Nel nuovo sistema, l'unica lealtà del controllore dovrà essere verso lo stato che egli serve. Non posso qui intraprendere una discussione sui tipi di gestione delle industrie nazionalizzate né sui controlli che saranno esercitati su •quelle rimaste private. Ad ogni modo, io dubito che debbano essere conformi ad un qualsiasi schema generale; credo probabile che le forme verranno adattate con molta flessibilità alle esigenze particolari della singole industrie. Più importante è la questiÒne dei loro rapporti col Parlamento. Come li vedo io, si effettueranno attraverso il Gabinetto; e credo che il Gabinetto, a sua volta, troverà necessario di creare uno speciale comitato di ministri per la produzione. Questo comitato avrà bisogno di un personale di esperti, un po' come Gosplan nell'Unione Sovietica, incaricato di preparargli il materiale sul quale esso baserà le sue proposte definitive al Gabinetto; e quest'ultimo, a sua volta, dovrà chiedere l'approvazione generale del Parlamento. Per ragioni da me esposte altrove, non vedo nessun vantaggio a creare uno Stato Maggiore Economico in più di questi enti. Un nuovo gradino nella gerarchia dei controlli, più che conferire maggiore chiarezza vi porterebbe maggiore confusione, e avrebbe indubbiamente l'effetto di ritardare decisioni urgenti. L'impostazione generale del piano, in un regime di democrazia parlamentare, è la chiara responsabilità dei ministri; e quella responsabilità viene indebolita, non rafforzata da un concetto come quello di Sir William Beveridge, secondo il quale uno Stato Maggiore Economico dovrebbe meditare in linea di massima sulla pianificazione senza essere autorizzato a decidere sull'applicazione delle sue meditazioni. Più chiara sarà la responsabilità per le decisioni, e tanto più il giudizio del loro valore potrà essere diretto. Naturalmente queste proposte non presuppongono la creazione di uno stato socialista alla fine della guerra; esse sono semplicemente una base sulla quale, se il corpo elettorale dovesse nell'avvenire cosi decidere, si potrebbe eventualmente costruire uno stato socialista. Il loro scopo è un'altra, apparentato: quello di salvaguardare la• nostra democrazia politica contro quelle forze contro-rivoluzionarie presenti tra di noi, la cui autorità e· risolutezza erano già prima dello scoppio della guerra in forte aumento. E' anzi evidente, come ho già 1 detto in questo libro, che, senza queste misure, il rafforzamento del capitalismo monopolistico, che il clima di guerra ha favorito, potrà facilmente aumentare, anche senza volerlo esplicitamente, l'autorità e la risolutezza di quelle forze. Io credo dunque che, se non si realizza, al momento della vittoria, qualche programma di questo genere, la nostra speranza di poter democratizzare il potere economico nella Gran Bretagna sarà ben magra; e lo stesso si può dire per le altre Nazioni Unite, specialmente per gli Stati Uniti d'America. O la democrazia politica prevarrà sul monopolio economico, oppure il monopolio economico dominerà la democrazia politica. La ragione di ciò è molto semplice. Le forme economiche tendono a generare la struttura politica più adatta al loro scopo; la nostra esperienza ha dimostrato in modo definitivo che l'economia del capitalismo monopolistico si può adattare solo con estrema difficoltà alla politica richiesta da una società democratica. Il modo in cui la borghesia in ascesa, dopo la Riforma, impose l'adattamento di tutte le· istituzioni sociali al potere economico da essa acquistato, è stata l'espressione più drammatica, nell'epoca moderna, di questa tendenza. Siamo giunti ad una fase nella nostra civiltà in cui, ancora una volta, si richiede un rinnovamento fondamentale. La guerra ci fornisce la possibilità di intraprenderlo senza dover attraversare uno di quegli amari conflitti interni che sorgono quando gli uomini si rifiutano di guardare apertamente in faccia ai loro problemi e di agire finché vi è ancora tempo di risolverli pacificamente. Ma è improbabile che quest'occasione si protragga oltre la durata della ostilità. L'atmosfera drammatica del sacrificio si affievolirà; l'entusiasmo cederà il posto alla stanchezza; e la politica tenderà a basarsi su contrasti piuttosto che su obiettivi comuni da raggiungere. Ciò si manifesta già chiaramente nei maggiori partiti politici sia nella Gran Brettagna che negli Stati Uniti; l'abisso, per esempio, che separa il concetto laburista dell'istruzione pubblica nel dopo-guerra da quello conservatore non è più profondo dell'abisso che separa il concetto rooseveltiano del New Deal sui diritti di proprietà da quello degli economisti ortodossi tipo Henry Ford o Tom Girdler. Ma questo si avvera sul piano internazionale non che su quello interno. I rapporti di potere tra i grandi stati, specialmente tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti da una parte, e la Russia dall'altra, saranno per forza dettati dai loro rapporti interni di produzione. Se questi rapporti interni mirano all'espansione, ci accorgeremo che la pace è la conseguenza naturale dell'espansione; ma se sono, corno ora, di tendenza restrizi0r nista, ne risulterà uno slittamento verso la guerra cosi inevitabile come quello dei vent'anni di interregno. Ci troviamo in una posizione dove i bisogni della vittoria coincidono con la necessità del rinnovamento. Lo spirito che ci anima oggi è quello, rarissimo, in cui nessun interesse partigiano può prevalere contro l'interesse nazionale. Ma questo spirito non sopravvivrà alla guerra; e i capi che mancheranno di sfruttare le sue possibilità annulleranno quegli stessi scopi che cercano di raggiungere. Harold J. Laski. Due posizioni false :t. 0 L'anti-comunismo Con grande ritardo, dovuto alle diverse censure, ci è arrivato il no. del 14 agosto 1943 del settimanale «Italia Libre» di Buenos Aires dal quale togliamo la seguente informazione: «Nuova York, Agosto. - Eminenti personalità della colonia italo-americana degli Stati Uniti hanno costituito un comitato allo scopo di agitare l'opinione pubblica a favore di una "giusta pace,, con l'Italia: una pace che rispetti l'integrità territoriale del paese ed impedisca il passagio da una dittatura ad un'altra. Il movimento fu lanciato in una riunione ristretta che ebbe luogo all'Hotel Baltimore di Nuova York per iniziativa del Giudice della Corte Suprema, Ferdinando Pecora, oriundo della Sicilia. Vi parteciparono, fra gli altri, Luigi Antonini, Presidente dell'Italian-American Labor Council; il dottor Carlo Fama e Generoso Pope, proprietario del "Progresso,,; il tesoriere della città di Nuova York, Almerindo Portfolio, ed altre personalità appartenenti ai partiti democratico, repubblicano e laburista. Al termine della riunione, il Giudice Pecora annunziò che gli intervenuti avevano deciso di costituirsi in un "Comitato Americano pro Democrazia Italiana,,. Aggiunse che si penserà subito ad organizzare filiali a base regionale in tutta l'America, dall'Atlantico al Pacifico. II programma di lavoro adottato comporta lo stabilimento di contatti permanenti con le varie agenzie governative, specialmente con il Dipartimento di Stato, allo scopo di studiare i mezzi più indicàti per promuovere - secondo le parole stesse del Giudice Pecora - "la riabilitazione politica ed economica dell'Italia, secondo i principi della democrazia, affinché • l'Italia possa riprendere il suo posto onorato tra le libere nazioni del mondo,,. Luigi Antonini presentò un ordine del giorno, che fu approvato dopo lunga discussione, nel quale si asserisce che l'Italia non deve passare da una dittatura all'altra, inclusa specificatamente la dittatura comunista. La riunione fornì anche l'occasione per una riconciliazione tra elementi che nel passato erano stati in lotta fra loro a causa di divergenze politiche. Fra i riconciliati la stampa ha fatto i nomi del Dr. Carlo Fama, esponente della massoneria e del partito repubblicano, e di Generoso Pope, amico personale del Presidente Roosevelt e pezzo grosso del partito democratico.» Una politica democratica che si esprime con la riabilitazione del noto fascista Generoso Pope, «amico personale di Roosevelt e pezzo grosso del partito democratico», e con una esplicità e unica pregiudiziale, quella anticomunista, non può avere il nostro consenso. Vi sono delle ragioni fondamentali di principio che vietano ad ogni socialista d'intervenire in una crisi politica con l'obiettivo principale rivolto contro un altro partito operaio; e vi sono delle ragioni particolari inerenti all'attuale situazione italiana, nella quale il pericolo maggiore è a destra, in un nuovo fascismo, come ha riconosciuto perfino Benedetto Croce. Ma l'atteggiamento opposto è anche falso. 2° La capitolazione di fI·onte al partito comunista Riceviamo una lettera da Roma nella quale tra l'altro è detto: «Non è un mistero per nessuno che tra gli 10 eca Gino- 1anco attuali dirigenti socialisti ve n'è qualcuno che pensa concretamente ad una fusione col partito comunista. Di ciò discutiamo molto, ma nell'isolamento in cui ci troviamo sono un po' tempeste in un bicchiere d'acqua. E' certo che alla periferia la grande maggioranza dei compagni è vivamente contraria ad una simile capitolazione che nulla giustifica, ma la periferia ora non ha modo di farsi sentire. E noi non vogliamo distrarre le nostre forze in una pol~mica interna proprio nel momento in cui la situazione militare e quella politica richiedono tutte le nostre energie. La nostra pos1z10ne è: unità d'azione si, fusione no. Nell'interesse delle classi lavoratrici e della politica italiana in genere, una fusione col partito comunista sarebbe un disastro. Si tornerebbe ai tempi di Bombacci ! Si tornerebbe al Barnum ! I congressi del partito unificato sarebbero nuovamente spettacoli da circo equestre! Senza contare quali svolte all'estrema destra o all'estrema sinistra imporrà Stalin ai comunisti nostrani nel dopo-guerra. Fonderci significherebbe fotterci! Che si lasci ... fondere chi gli piace, noi manterremo in piedi il partito socialista.» I Socialisti per gli Stati Uniti d'Europa La coscienza europea si fa strada nei partiti socialisti. Bisogna fare in modo che essa non resti vaga aspirazione, ma si trasformi in decisa e forte volontà politica. Registriamo le opinioni dei compagni dei vari paesi. I Tedesdii In una dichiarazione dell'Unione dei gruppi socialisti tedeschi in Inghilterra è detto: «Noi socialisti e sindacalisti tedeschi siamo decisi, dopo il crollo della dittatura hitleriana in Germania, a distruggere le basi sociali del nazional-socialismo e dell'imperialismo tedesco e nella politica estera della nuova Germania a dare le prove della nostra buona volontà per una collaborazione pacifica. Noi vediamo un primo necessario passo per la pacificazione dell'Europa nel disarmo totale della Germania, che seguirà alla disfatta militare, e che abbraccerà anche il disarmo di tutte le organizzazioni del partito ... Noi socialisti e sindacalisti tedeschi ci rendiamo conto che i principi dell'auto-decisione e della collaborazione internazio.nale potranno realizzarsi solo nella misura in cui tutte le nazioni rinunzieranno alla propria sovranità militare ed economica. Noi siamo persuasi che una Germania democratica e socialista darà il suo pieno contributo ad un tale nuovo ordine sopranazionale.» I Francesi Il diciotto giugno 1942 il giornale socialista illegale «Le Populaire» pubblicò un manifesto del Comité d' Action Socialiste che dirige il partito socialista francese clandestino. Nel manifesto era detto: «Un'Europa sana o un ordine mondiale può essere costrutto soltanto se i trattati di pace eviteranno ogni abuso di potere, ogni misura oppressiva o la spartizione di paesi ... E' un fatto che oggj l'opinione pubblica dei paesi occupati (dalla Germania) e dei popoli belligeranti sempre meno distingue il popolo tedesco dai suoi dominatori. Malgrado ciò noi dobbiamo prepararci a ricercare in piena calma le condizioni di una pace duratura. Noi dobbiamo trovare una soluzione la quale conduca ad una pace durevole e che non susciti sentimenti di vendetta e di nazionalismo.» Esattamente un anno più tardi, nel giugno 1943, lo stesso giornale precisa il pensiero dei socialisti francesi in merito: «L'apparato militare tedesco dev'essere distrutto, l'industria pesante tedesca dev'essere spezzata e la grande proprietà: terriera dev'essere socializzata. Questa rivoluzione tedesca noi dobbiamo sostenerla. b'unità tedesca è un fatto storico. Perciò noi respingiamo tutte le proposte di una spartizione della Germania. L'egemonia della Prussia e dello spirito prussiano deve essere spezzata per mezzo di un sistema federativo, per mezzo di un controllo d~lle istituzioni politiche tedesche e dell'istruzione pubblica. Ma queste riforme necessarie potranno essere applicate solo in un mondo nel quale i socialisti saranno abbastanza influenti per stabilire una collaborazione stretta ed amichevole colle forze democratiche tedesche ... L'idea di spartire l'Europa fra due o tre grandi potenze noi la respingiamo. Tutte le nazioni, anche le più potenti, devono rinunziare ad un parte della loro sovranità.» I Norvegesi La rivista illegale dei sindacati socialisti norvegesi ha pubblicato: «Il mondo democratico deve contribuire a rinnovare la Germania sostenendo le sue forze democratiche. Se il nazismo dev'essere veramente distrutto, allora: bisogna estirpare le sue essenziali radici sociali: il fatale blocco tra l'industria pesante, la grande proprietà terriera e lo Stato Maggiore. La classe operaia sarà un fattore importante di questo rinnovamento. Essa cercherà di rafforzare la democrazia con misure socialiste. Molto dipende dal fatto se le potenze vincitrici e i loro eserciti favoriranno o impediranno un tale sviluppo. Un impedimento delle tendenze democratiche e socialiste sarebbe non soltanto in contraddizione con la Carta dell'Atlantico, ma rafforzerebbe la reazione.» Gli Olandesi La rivista olandese «Vrij Nederland» pubblica un articolo di un giornale clandestino olandese nel quale si legge: «Ogni tentativo di abbattere o di spartire economicamente la Germania è irragionevole. E' assolutamente necessario di accettare la Germania in una economia europea unificata. Il punto di partenza dei pensieri internazionali non devono essere gli stati nazionali ma la comunità europea. Un'altra questione è quanta sovranità bisogna lasciare ai singoli stati. L'uguaglianza dei diritti non condurrebbe ad una restaurazione dei diritti sovrani delle nazioni vinte, ma garantirebbe ad esse una certa limitata influenza nel consiglio o nella federazione europea.» Gli Italiani Abbiamo già pubblicato nel numero scorso un documento del Centro Interno del P. S. I. per una federazione europea. Riportiamo ora una proposta di variante al programma del Partito redatta da un dirigente del gruppo Movimento per l'Unità Proletaria, gruppo attualmente nel partito unificato: «I socialisti italiani vogliono che dalla pace che seguirà la presente guerra siano poste le basi di un solido ordinamento unitario che si concreti in una federazione dei liberi stati europei. Respingendo ogni progetto di Società delle Nazioni che, lasciando intatta la struttura economica, politica, militare dei vari stati si presenti come una semplice istanza superstatale in cui i singoli stati rappresentati in quanto tali con tutto il peso della loro sovranità e alle cui decisioni uno stato o un gruppo di stati fosse recalcitrante, qu'ando ne abbia forza sufficiente, ritiene che l'unica premessa per rendere impossibile che ogni conquista politica, economica e sociale venga travolta d'un tratto da una nuova guerra imperialista, è la formazione d,i un'unica federazione europea, con istituzioni rappresentative alle quali i cittadini eleggano i loro rappresentanti direttamente, e non per il tramite dei vari stati; che provveda all'unità del mercato con un'organizzazione razionale dell'economia; che abbia un esercito proprio, lasciando alla cura dei vari stati solo il mantenimento dell'ordine pubblico; che, pur curando la difesa delle autonomie nazionali, culturali, linguistiche, provveda a quei profondi ed intimi contatti fra i popoli dai quali deve sorgere una rinnovata coscienza europea. I socialisti italiani ritengono che questa prospettiva, che poteva sembrare un lontano ideale ancora pochi anni fa, si troverà, nel periodo che seguirà la presente guerra, molto prossima alla sua realizzazione, e sono convinti che tale meta sia strettamente collegata ai fini che essi si propongono in quanto socialisti; giacché la formazione di un'unità federale europea sarà evento di tale portata rivoluzionaria da non poter avvenire se non coll'attivo concorso delle masse e nell'ambito di un profondo generale rinnovamente sociale del nostro continente. Per l'Italia, come per tutti i popoli che usciranno vinti da questa guerra, una tale soluzione costituirebbe fra l'altro l'unico modo di evitare la sconfitta, la mutilazione territoriale, l'aggiogamento economico. E il partito socialista ritiene che proprio l'atteggiamento delle masse possa avere un'azione decisiva a questo proposito, creando situazioni di fatto di cui i vincitori non potranno non tener conto, provocando interventi e contribuendo a far precipitare situazioni internazionali nel senso dell'unità europea.» «Per la distruzione dei mostri guerra e militarismo ci vuole qualchecosa di più di una vittoria militare: ogni vittoria militare infatti racchiude un pericolo per la libertà, e questo vnle anche per le repubbliche vittoriose; una vittoria strepitosa può fare in otto giorni di un democratico altrimenti ragionevole un politicante imverialista. Se la vittoria militare delle democrazie non è accompagnata da una sicura garanzia del prevalere di un pensiero elevato e di un rinnovamento sociale, essa sarà initlile.» ROMAIN ROLLAND, 20 agosto 1918.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==