4° I SOCIALISTI E LO STATO (Continuazione) Credere che le a v venture fasciste o semifasciste che hanno travolto le istituzioni democratiche in quasi tutti i paesi di Europa siano un violento, ma transitorio fenomeno patologico di cui non rimarrà traccia dopo opportune operazioni chirurgiche, credere cioè che dopo la cacciata di Mussolini, di Hitler, di Franco con la loro progenie di quislinghi, antoneschi, antepavelici, ecc. potranno normalmente funzionare riedizioni, in qualche punto corretto, della costituzione di Weimar o di quella adottata nel 1931 dalla Spagna, sarebbe altrettanto ragionevole quanto aspettarsi a che, vinti gli eserciti dell'Asse, si vedano ristabilire, su per giù, le frontiere fissate nel 1918, dei «sovrani» stati di Polonia, Cecoslovacchia, Yugoslavia, e magari gli statuti di Danzica e della Sarre. Ormai è provato che nell'era dell'aviazione, dei carri armati, ecc., le frontiere terrestri e marittime non si difendono più come ancora potevano difendersi venticinque anni fa, e che i sistemi di economia accentuata sotto il controllo dello Stato, di valute non più fondate sul valore oro ma sul grado di potenza di una finanza di Stato «autarchica», hanno reso inoperanti o molto diversi gli effetti di un «blocco» economico. Cosi sembra evidente che di fronte a questo stesso Stato che dispone (per l'uso interno quanto per la lotta contro lo straniero) dei carri armati, dell'aviazione, del monopolio della radio, di tutte le risorse procacciate dall'economia governata, i diritti personali del cittadino e la libertà di spontanee attività sociali ( come associazioni non obbligatorie e non sorvegliate) non possono più valersi delle garanzie che erano sufficienti quando una serie di comizi e manifestazioni, uno sciopero generale, e magari una giornata di barricate, bastavano per ridurre un governo a resipiscenza. La soluzione del problema sarebbe, secondo certuni, semplice e infallibile: le leve di comando, strappate ai nemici del popolo, verranno affidate ai suoi rappresentanti autentici, eletti dal suffragio universale e per giunta affiancati da altri eletti che alacremente sorveglieranno ed «interpelleranno» i piloti, mentre questi assicureranno la navigazione del Leviatano statale. Allora quella potenza concentrata che oggi opprime le masse e le precipita nella guerra, agirà a vantaggio del popolo e della pace. L'esperienza della rivoluzione russa (oltre quella della rivoluzione spagnuola che esigerebbe un più lungo discorso per le condizioni particolari in cui si svolse) dovrebbero suggerire parecchie riflessioni in merito all'ipotesi semplicista ed ottimista a cui acceniamo. 5° L'esperienza russa Non si può negare che quando l'intiera macchina dello Stato zarista cadde nelle forti mani del partito bolscevico alla fine del 1917 Lenin e i suoi seguaci avessero l'intenzione sincera di utilizzare questi mezzi potenti per la felicità delle masse operaie e contadine russe e anche per facilitare la rivoluzione sociale, quindi la solidarietà pacifica fra popoli del mondo intero. Vedere una meditata menzogna nella prima costituzione sovietica che garantiva libertà veramente illimitate all'individuo ed alle associazioni di ogni genere, sospettare il governo dei co~ssari del popolo, ancora nuovo agli arduissimi compiti della• dittatura, di aver voluto fini da principio eliminare e ridurre a gesti decorativi la cooperazione ed il controllo degli innumerevoli Consigli (Soviet) di ogni grado, eletti dal popolo e muniti di ampi poteri, è una ipotesi gratuita. Se queste forme di democrazia estrema avessero potuto conciliarsi con l'efficienza di un'amministrazione centrale, avrebbe durato; e ci vollero parecchi anni perché il governo di Lenin giungesse alla conclusione che una buona gestione delle industrie nazionalizzate non sopportava più né la «collegialità» negli organi direttivi, né l'esercizio di «controlli operai» nelle singole imprese. Prescindiamo da due argomenti addotti di solito per spiegare lo sconcertante fallimento delle libertà promulgate in Russia nel 1917: a) il basso livello dell'economia e dell'industria popolare; b) le tremende complicazioni create dalle conseguenze della guerra mondiale, del trattato di Brest - Litowsk, delle insurrezioni bianche, dal blocco e dagli interventi ostili delle potenze occidentali. Una rivoluzione fatta sul serio pone sempre e dovunque la nazione che l'ha fatta dinnanzi ad eccezionali difficoltà interne e esterne. E per quanto riguarda la misura dei «livelli di civiltà»· e la capacità di un popolo a essere degno della libertà, i criteri (specialmente dopo le esperienze fasciste) sono estremamente confusi, e per esempio su la Francia pareri contradditori sono stati espressi durante un secolo dopo il 1789. Comunque l'attrezzamento militare ed industriale di cui vediamo armato ora Stalin parrebbe dimostrare che le decine di migliaia di operai e contadini che hanno sostituito l'antica classe dirigente nella gerarchia militare, amministrativa ed economica non sono tanto inferiori agli uomini politici, generali, diplomatici, ingegneri delle nazioni più progredite del mondo. La verità è che il partito bolscevico - in seguito ad una lunga preparazione nella disciplina del «sottosuolo rivoluzionario>> e a una di uomini spregiudicati moralmente e razionalisti dogmatici fino all'intolleranza - si distingueva dalle altre correnti socialiste per il modo di concepire la lotta di classe, gli effetti (secondo esso benefici) della violenza e l'organizzazione collettivista «su basi rigorosamente scientifiche» che doveva succedere al capitalismo. Nella lotta condotta senza pietà contro gli avversari e senza indulgenza verso le proprie truppe, avevano acquititato un forte sentimento della eguaglianza come la praticano i militari in guerra, ma la libertà dell'uomo, la varietà dei suoi bisogni, le sfumature e gli «imponderabili» dei rapporti sociali in un ambiente di civilità elaborata erano ignoti per le loro esperienze. Abituati a sacrificare tutte le proprie facoltà e la vita stessa alle esigenze dell'azione rivoluzionaria, erano fin troppo disposti a vedere in ogni persona umana uno s t r u m e n t o anzicché un f i n e in sé stesso e la grandiosità abbagliante dello scopo cui miravano - il «salto dal mondo della necessità in quello della libertà» secondo la dialettica marxista - faceva apparire ovvia la giustificazione di qualunque mezzo pur che fosse o sembrasse atto ad avvicinare il finale trionfo. Non è inutile, per capire meglio l'importanza di tali predisposizioni psicologiche in un gruppo energico e posto dagli eventi ad una svolta importante dell'evoluzione politica, osservare : a) una mentalità analoga animò il partito giacobino francese ;nel 1793 e si ritrova, attenuata o ridotta a pura teatralità, negli epigoni di tale partito (democrazia di sinistra); b) l'austerità e l'umanità cui si educò il bolscevismo durante il tirocinio di cospirazioni, di prigione, esilii, possono cristalizzarsi pure nelle coscienze di molti proletari, per l'effetto delle érudeli e ingiuste privazioni sopportate fin dall'infanzia; e ciò spiega l'attrazione che esercitano non solo la dottrina ma anche la «ferrea disciplina» comunista su larghi strati della classe operaia; c) i nuclei veramente fanatici ed entusiasti del fascismo, dell'hitlerismo, della falange spagnuola si sono formati sotto influssi razj.onali e sentimentali molto affini al modo di sentire e di pensare di un bolscevico sincero del _1917. Ma soprattutto vi è una corrispondenza fra i motivi dominanti di un atteggiamento intellettuale e morale come quello del bolscevico di fronte alla vita sociale, ed il culto della forza, dell'efficacia meccanica, del risultato quantitativo ed uniforme che la natura delle cose esige dai tecnici cui incombe di trarre il massimo utile da una macchina e cosi pure dal gigantesco e complicato macchinario che è l'amministrazione centrale di uno Stato moderno. Mercé la loro psicologica disposizione i seguaci di Lenin riuscirono a diventare i padroni assoluti dell'apparecchio di governo imperiale, venuto in loro possesso quasi per un colpo insperato di fortuna. E senza dovere cedere il posto ad un altro partito, per una specie di in v o l u zio ne interna ( cioè adattandosi sempre meglio alla ragione di Stato, scartando gli elementi troppo fedeli alle origini insurrezionali, aggregandosi tecnici più valenti ed arrivisti sempre meno scrupolosi) lo stato maggiore di Lenin e di Trotzky si tramutò in una burocrazia tecnocratica e nazionalista sotto Stalin. 6° Comunisti e socialisti al governo La conquista dello Stato riuscì ai comunisti ed ai loro emuli (ed in parte imitatori) fascisti. Non riuscì invece ai socialisti né in Russia sotto Kerensky, né in Germania, né in Austria dopo le rivoluzioni stroncate del 1918, né nella repubblica spagnuola. La causa principale del successo dei partiti pronti alla dittatura e dell'insuccesso dei socialisti democratici può trovarsi espressa nel motto di Cavour: «Con lo stato di assedio qualunque imbecille è in grado di governare.» Sarebbe tutto onore dei socialisti se la differenza stesse nel fatto che essi intendono amministrare la pubblica cosa con il consenso della maggioranza dei «governati» ; mentre i comunisti non esitano a forzare tale consenso (per dire le cose blandamente). In sostanza è quasi la stessa difficoltà, cui si accennava sopra, dicendo che un socialista non immemore dei fondamentali principi e delle origini del movimento di emancipazione proletaria, concepisce l'ordine sia economico sia politico della società come una «integrazione» piuttosto che come una «subordinazione» e coordinazione degli individui, e che per ciò egli è naturalmente disposto a ridurre quanto più gli Bib 10eca 1no 1anco sia possibile il dominio di leggi e istituzioni «rigide» appoggiate su la «paura del gendarme», dei tribunali, delle pene, per estendere la sfera del «diritto sociale»; quest'ultimo distinguendosi dalle forme fisse e tassative dei codici in vigore e relativa giurisprudenza per il fatto che: a) invece di essere emanato formalmente da qualche superiore autorità (lo Stato, la Chiesa), si afferma in un diffuso sentimento di giustizia, di solidarietà, di disciplina v o l o n tari a , da cui è animata una comunità dove i legami fra le persone sono intimi (integrazione reciproca) e non esterni (di coordinazione) ; b) invece di comportare regole e sanzioni astrattamente previste per un caso generico, il «diritto sociale» è una creazione continua, uno sforzo di comprensione e di simpatia nei riguardi di ogni specifica situazione di un dato gruppo o di una data persona; c) invece di obblighi negativi ( «non fare agli altri» ecc.) implica l'esigenza: «Bisogna far e positivamente agli altri ciò che si vuole sia f a t t o a noi.» Abbiamo detto che l'atteggiamento dei socialisti quando si offriva loro la possibilità di assumere la direzione dello Stato, coincideva quasi con un'opposizione del «diritto sociale» alla sovranità dei poteri costituiti, perché in realtà tale contrasto è stato raramente concepito in modo chiaro ed esplicito dagli organi rappresentativi del movimento operaio. I partiti aderenti all'Internazionale socialista hanno accettato responsabilità di governo senza nulla mutare nella struttura dello Stato attuale accentrato (vedi soprattuto l'esperimento della socialdemocrazia tedesca) e nell'esercizio del potere hanno chiesto il consenso ma non 1 ' a t t i v a c o l l a b o r a z i o n e delle masse popolari. Che queste ~sperienze abbiano potuto essere utilissime alle classi lavoratrici o necessarie Lr1 una data congiuntura politica, e che certi insuccessi debbano ascriversi a circostanze soverchianti le buone intenzioni, è una tesi che non intendiaxp..o affatto combattere. Importa solo constatare che l'apparecchio dello Stato moderno capitato nelle mani dei bolscevichi o di fascisti, serve benissimo ai loro fini, trasformandosi rapidamente in Stato totalitario; ma ogni volta che un'occasione si presenta ai socialisti di asaumere la direzione sorgono gravissime contraddizioni fra l'impegno di mantenere l'ordine legale e i tentativi di riforma in senso socialista. La violenza potrebbe risolvere tali contraddizioni, ma l'uso della violenza rovinerebbe la causa del socialismo. 7° Efficienza dello Stato e giustizia sociale Non è U11J paradosso dire che lo Stato attrezzato con tutte le risorse moderne tecniche esige, per essere bene amministrato, una buona dose di «Stato d'assedio». Nell'ultimo decennio varie campagne erano state iniziate (in buona o cattiva fede) dalla grande stampa e da uomini politici di paesi ancora democratici (Francia) per un «governo che governi»; anche le rane, malcontente del re Travicello, esprimevano una simile desiderio. I geni napoleonici sono rari; e pert:hé uomini di media capacità riescano a mantenere in ordine e in efficienza gli innumerevoli complicati e spesso delicati servizi che lo Stato moderno ha monopolizzato, ci vuole la stabilità di una gerarchia rigorosamente graduata di tipo più o meno militare. E sembra pure necessario che il lavoro di questi tecnici non venga disturbato da intrusioni di incompetenti. Ora gli incompetenti sono la maggioranza della nazione che dovrebbe essere sovrana. Il suffragio universale può eleggere e controllare legislatori e magistrati, ma solo pochissimi specialisti sono in grado di valutare e di controllare un tecnico delle finanze, dell'aviazione, degli armamenti in genere, delle ferrovie, delle industrie; e solo chi da vicino lo vede lavorare può avere motivi seri di fiducia e di sfiducia. Un dittatore che sorvegli attentamente i propri collaboratori può sceglierli e sostituirli a ragion veduta; ma né un corpo elettorale, né un parlamento sono capaci di giudicare e anche soltanto conoscere l'opera di uffici, di stati maggiori, di enti economici parastatali ecc. Del resto il segreto è ritenuto indispensabile per molte operazioni, sia nei dicasteri amministrativi, sia nelle grandi imprese industriali, ed una «disinformazione sistematica» coltivata dalla grande stampa, fa si che l'immensa maggioranza del popolo ignori totalmente l'immensa complessività del meccanismo politico ed economico in mezzo al quale vive. L'efficienza dello stato moderno esige dunque una direzione autoritaria che si sottrae ai controlli: in tempo di guerra, quando è richiesto il massimo rendimento dell'organizzazione governativa, sono di regola i pieni poteri di un ristretto gabinetto ( di un dittatore) e la soppressione dei controlli pubblici. Ma, anche senza pretesto di evitare divulgazioni che «gioverebbero al nemico», anche in piena pace, l'efficienza di uno Stato accentrato è in ragione inversa delle libertà accordate alla persona umana e del campo concesso a quello che abbiamo chiamato il «diritto sociale». Queste osservazioni sono fatte non a sostegno di qualche diatriba libertaria o per edificare un'utopia, ma per richiamare l'attenzione dei socialisti su un problema che non è stato riveduto né dal punto di vista della dottrina né agli effetti dell'azione politica dai tempi ormai lontani in cui lo Stato capitalista non era quello di oggi, non si prevedevano le conseguenze di un totalitarismo esteso fino alla gestione «autarchica» dell'economia nazionale, ed era lecito credere definitive le conquiste del suffragio universale, della libertà d'associazione, di stampa, ecc. Probabilmente molti disastri subiti dal socialismo durante gli ultimi vent'anni provengono dal non avere afferrato l'importanza dei nuovi aspetti dell'organizzazione statale e del non averne dedotto opportune conseguenze. Il contrasto fra il partito socialista e tutti i partiti che tendono alla «massima efficienza» dello Stato non è meno profondo che il contrasto fra socialisti e partiti borghesi in merito all'assetto economico della società, ed il contrasto fra socialisti e partiti «nazionali» sulle questioni dei rapporti fra i popoli, dell'espansione coloniale e della pace perpetua. Pretendere di conciliare la massima efficienza dell'apparecchio statale moderno e quindi l'accentramento di mostruosi mezzi di azione nelle mani di un governo, con la massima libertà degli individui e dei gruppi «privati», è una illusione democratico-borghese o una truffa di propagandisti staliniani e di filosofastri dello «Stato etico» cioè fascista. Non per. nulla la dottrina socialista fa coincidere l'avvento di una società «ini cui il libero sviluppo di ciascun individuo sarà condizione del libero sviluppo di tutti» con la morte dello Stato di classe ossia con la sua trasformazione da strument~ di dominazione politica in organo tecnico-pedagogico della società. Questa <i:morte» concepita sin qui meccanicamente ed irrazionalmente come p o s t e r i o r e alla socializzazione dei mezzi produttivi e all'abolizione delle classi e come sbocco di una fase di «dittatura» ( cioè del suo perfetto contrario!), deve oggi - dopo la tragica esperienza russa - concepirsi come un processo di trasformazione s i m u 1 t a n e o ad esse ed operantesi gradualmente, in un'atmosfera piena e continua di democrazia e di libertà. Ricordandosi dunque dell'origine del movimento e dell'etimologia stessa del loro nome, i socialisti non possono trascurare le idee che finora hanno motivato e giustificato le lorò aspirazioni: a) La persona umana, e non un ente collettivo qualsiasi, è il supremo valore ed il fine di ogni sistemazione economica e politica; b) la produzione di beni e tutte le risorse tecniche devono adattarsi al benessere materiale e normale dell'uomo, e ma i l'esistenza umana deve essere asservita a qualche piano di massimo rendimento o di perfezione tecnica; c) la società è infinitamente più vasta che lo Stato che di quella è un prodotto storico, quindi transeunte; molte forme di associazione libera ed attività spontanea (sindacati, cooperative, comuni, enti autonomi, ecc.) devono potere esplicarsi fuori dello Stato ed anche di fronte allo Stato, nel senso di una limitazione e correzione dei poteri coercitivi di cui lo Stato dispone e di un riassorbimento di molte sue funzioni da parte della società (federalismo funzionale); d) per garantire realmente i diritti dell'individuo e delle comunità indipendenti dallo Stato, conviene che queste siano provviste di mezzi di azione e di risorse sufficienti per un'energica resistenza ad eventuali abusi di autorità, e conviene altres( che il potere centrale dello Stato non disponga di mezzi tali da schiacciare le iniziative regolari dei vari gruppi autonomi. Una conclusione sembra lecita : se si vogliono mantenere (o, in molti paesi ora asserviti, risuscitare) la libertà e la democrazia bi- , sogna che «supremo signore della vita economica» sia non lo stato, ma un sistema più complesso; cioè un continuo, vigile, sempre dibattuto e verificato accordo fra lo Stato e le formazioni sociali fuori dello Stato. Sarà una coordinazione condizionata non esente da critiche opposizioni; tale insomma da ricordare ad ognuno che chi vuol essere libero deve ogni giorno conquistare e difendere la propria libertà e che, finché dura la vita, i problemi, le difficoltà, le antimonie non si sopprimono. AVVISO Abbiamo inviato ad un certo numero di persone come saggio una copia del primo numero dell'Avvenire dei Lavoratori. Avvertiamo che a coloro che entro i prossimi quindici giorni non i'nvieranno l'importo dell'abbonamento non manderemo il terzo numero del giornale. Per ragioni tecniche indipendenti dalla nostra volontà il primo numero dell'Avvenire dei Lavoratori esce con alcuni giorni di ritardo. Il 3° numero uscirà venerdì 11 febbraio. L'amministrazione.
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