Anno XXXV (nuova serie) N. 1• 2 (doppio). L'Avvenire dei Lavoratori Zurigo, 1 Febbraio 1944. LIBERARE E FEDERARE! Compiti e responsabilità dei socialisti • Bisogna dare una direzione e un contenuto preciso alla rivoluzione europea in gestazione.• 1 ° Il proletariato nella società divisa in classi La classe dei lavor:atori salariati vive nell'ordine di rapporti economici e giuridici che noi continuiamo a chiamare «società capitalistica», benché negli ultimi decenni le norme del diritto di proprietà sui mezzi di produzione, e soprattutto le norme dell'effettivo controllo su la produzione e su la distribuzione dei beni, abbiano subito mutamenti radicali: la potenza enormemente accresciuta dello Stato, ma anche necessità imposte dal progresso tecnico, ed in una certa misura il successo parziale delle rivendicazioni operaie, hanno creato un tipo di economia e quindi un sistema di rapporti sociali ben diversi dalla plutocrazia liberale (e più esattamente «liberista») contro la quale insorgevano, più di cent'anni fa, i primi socialisti e le prime organizzazioni di «resistenza» spontanea fra i lavoratori. Ma qualunque siano gli spostamenti avvenuti nel ceto dirigente (nuovi ricchi, più rapaci, più spregiudicati, meno «rispettabili» dei ricchi di «antica data»; capitale finanziario prevalente su quello industriale o commerciale; parte leonina attribuita al militarismo ed alle attinenti industrie degli armamenti; corruzione di capi politici nelle democrazie; casta di plutocratici e di funzionari «corporativi» strapotenti nei regimi totalitari) e qualunque siano le modificazioni nella «divisione del lavoro» e quindi nella gerarchia dei ceti subordinati (aumentata importanza numerica e qualitativa di tecnici e di impiegati; moltiplicazione di nuove classi medie; protezione e creazione per ragioni politiche di piccole aziende agricole; ed in seguito a quel sempre più disastroso malgoverno economico che si chiamava una volta «anarchia capitalista» ed oggi è soprattutto un frettoloso, incompetente ed oppressivo intervento statale - formazione di un largo strato di nullatenenti i quali non costituiscono più un «esercito di riserva», ma sono condannati sia al mercenarismo brigantesco o poliziesco nelle squadre fasciste, sia alla degradante mendicità del parco sussidio per «disoccupazione perpetua») due fatti fondamentali determinano oggi, come un secolo fa, la posizione del proletario lavoratore nel complesso del vigente sistema sociale e politico. I 1 p r i m o è che con la sua operosità produttiva il proletariato rimane il principale fattore della prosperità materiale, dello sviluppo, dell'esistenza stessa delle «nazioni» e della loro «civiltà». I 1 s e c o n d o f a t t o è che, pur non essendo esclusi da tutti i benefici di detta civiltà e pure avendo conquistato qualche influenza su le decisioni che orientano la vita collettiva delle nazioni, i proletari si vedono tuttora ridotti ad una parte incongrua, assolutamente sproporzionata alla loro numerica prevalenza e al loro contributo produttivo, nella repartizione del «reddito nazionale»; sono posti in istato di irrimediabile inferiorità in tutte le vie di accesso ai reali valori della civiltà (dalla comodità della vita quotidiana~alle spirituali soddisfazioni dell'arte, della scienza, ecc.); si vedono nell'impossibilità di acquistare la preparazione intellettuale, l'esperienza del vasto mondo, la libertà di movimenti che sarebbero indispensabili per partecipare con criteri di vera competenza, con risorse eguali a quelle delle classi ora privilegiate, alla direzione della cosa pubblica. Perciò non possono sentirsi figli devoti e contenti delle attuali patrie; solo in una società dove sarà abolito il salariato e dove non esisterà più né una classe di proletari capitalisti né una casta di «ge~archi» burocratici (nominati e destituiti da qualche supremo capo, o duce, o gran consiglio, o politburo) per «comandare il lavoro» e disporre dei frutti del lavoro, coloro che oggi costituiscono il proletariato delle officine, delle miniere, dei trasporti, dei latifondi o dei «kolkosi» (ed anche degli eserciti combattenti) potranno identificare il loro proprio interesse, quali esseri umani, con l'interesse generale del consorzio sociale in cui si troveranno inquadrati. 2° L'Internazionalismo Non è che un altro aspetto della situazione medesima quella necessità di una fratellanza internazionale che i lavoratori dei paesi industriali hanno sentito quasi per istinto fino dal primo risveglio della loro coscienza di classe. Il mondo capitalistico, e poi quel sistema di economia e di organizzazione sociale che si tenta di caratterizzare coi termini die «supercapitalismo», di fase «imperialista» e magari di «autarchia totalitaria», hanno sempre preteso di attingere un aumento di vitalità nella lotta, prima sotto la forma relativamente pacifica della concorrenza fra individui e singole imprese, ed ai tempi nostri sotto specie di conflitti rovinosi fra grosse potenze finanziarie e monopolistiche (trust, cartelli, corporazioni) le quali per utilizzare le forze dello stato, rastrellare i risparmi del pubblico, «socializzare» le loro perdite croniche e sfruttare persino l'entusiasmo, il furore, i risentimenti, le superstizioni di grandi masse, sanno camuffare le brame di profitto con apocalittiche visioni di gloria nazionale, di conquiste ed egemonie, e magari di guerre «rivoluzionarie» e rigeneratrici delle «giovani nazioni proletarie» contro le «vecchie nazioni» plutocratiche. Purtroppo anche la classe operaia si è lasciata talvolta tentare dagli immediati vantaggi che offriva la sopraffazione di un debole vicino o dello straniero in genere. Le ricchezze estorte all'India, e la distruzione delle industrie indigene in questo impero annesso alla corona d'Inghilterra, hanno facilitato l'elevamento del livello dei salari in Gran Bretagna, e ciò potrebbe spiegare l'indifferenza di cui a lungo hanno fatto mostra le associazioni operaie inglesi di fronte alla miseria e alla schiavitù dei popoli coloniali. Del resto un'influente frazione della socialdemocrazia tedesca ( Schippel fin dal 1905) e parecchi socialisti di altri paesi hanno apertamente sostenuto l'opportwtità di «espansioni» a spese delle razze primitive. Le crudeli «barriere di colore» (Colour Bar) che dovrebbero mantenere in uno stato di abbiezione la mano d'opera negra e asiatica furono istituite spesso per iniziativa di sindacati di lavoratori bianchi in America, in Sud-Africa, in Australia. Durissimi regolamenti che hanno quasi privato gli operai di origine straniera die ogni normale «diritto al lavoro» non incontrarono quasi nessuna protesta da parte del proletariato organizzato nei paesi più evoluti di Europa. E sarebbe vano negare che una parte almeno dei proletari italiani e dei proletari germanici si è lasciata adescare dal miraggio (presto dileguato) del posto al sole in Etiopia o delle «grasse terre» di Ucraina. Ma in tutti questi casi si tratta di una evidentissima incomprensione dei reali e durevoli interessi della' classe dei lavoratori salariati. Non appena questi considerino il loro stato presente e le possibilità di migliore avvenire nella piena luce dell'esperienza e del buon senso, appare indubbio ai loro occhi che la questione sociale o sarà risolta mediante la solidarietà assoluta dei salariati di tutti i paesi, di tutte le razze, di tutte le professioni, o non potrà mai essere risolta. Nessun proletario veramente cosciente, «nessun socialista» vorrà adottare mai soluzioni «nazionali» che nell'ordine internazionale comportassero la diminuzione di altre nazioni. E ciò per pura, utilitaria, re a 1i s t i c a prudenza. Poiché la quiete e la prosperità del vicino sono la condizione indispensabile della quiete e della prosperità propria e quindi di uno sviluppo progressivo di tutti. Gli smembramenti, gli schiacciamenti di popoli interi o di «minoranze nazionali» ( o razziali) prima che delitti sono spropositi. 3° Carattere speciale dei rapporti fra popoli secondo il socialismo Importa insistere sulla connessione strettissima fra quella che si può chiamare «politica estera» conveniente ad un partito operaio e la «questione sociale»; perché le idee in proposito sono diventate alquanto incerte dopo che i socialisti hanno partecipato al governo di Stati capitalisti e quindi al giuoco diplomatico secondo le tradizioni ed i pregiudizi del mondo borghese, ma più ancora in seguito all'ambigua linea di condotta dell'Unione soviettica la quale si dice stato socialista e non esita tuttavia a fare uso BibliotecaGino Bianco dei più vieti arcani delle cancellerie autocratiche conseguendo scopi squisitamente imperialisti. Invece il modo in cui un socialista concepisce i rapporti tra i popoli (e non già tra gli Stati) implica non una semplice divergenza di vedute ma un contrasto insuperabile con tutti quei partiti politici i quali considerano normale la divisione del genere umano in «Stati sovrani» ed inevitabilmente rivali. E' naturale che al politico borghese il sistema delle relazioni internazionali si presenti come un insieme di c o o r - dinazioni e di subordinazioni di enti abbastanza astratti in quanto «riassumano» uno Stato (organizzazione e gerarchia di poteri esecutivi), un territorio ed un popolo in una specie di finta «persona giuridica» che si chiama Italia, Germania, Francia, Impero Britannico e via dicendo; così come nel diritto romano, nel codice napoleonico ed anche nella Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 (ed in quella precedente americana) la reale sostanza della persona umana, i suoi bisogni concreti e le sue particolari preoccupazioni scompaiono dietro la convenzionale «forma» del proprietario, del pagatore d'imposte, dell'elettore, del coscritto di leva, ecc. che viene coordinato e subordinato ai suoi simili ed ai suoi superiori in una rete di rapporti generici. Ora il socialismo è nato proprio dall'esigenza opposta : da una visione cioè della persona umana in carne ed ossa, dalle sue effettive sofferenze ed aspirazioni, d'un solo elementare diritto di «vivere la propria vita» e di esplicare pienamente le proprie facoltà. Non basta promulgare «libertà» spettanti a chiunque sia in grado di usarne, ma occorre assicurare a ciascuno le condizioni che lo rendono libero davvero; non vale la «eguaglianza dinnanzi la legge» se non è garantita un'eguaglianza di risorse e di «opportune occasioni» a tutti nel momento iniziale della loro «carriera in. questo mondo»; non ci si può contentare d'una corretta, esteriore «deferenza» verso una supposta, delimitata sfera di diritti o interessi altrui, ma ci vuole una cooperazione positiva ed una continua, reciproca comprensione per arricchire la propria vita personale e quella del prossimo di tutte le risorse, gli stimoli, gli appoggi materiali e morali che soltanto l'unione delle forze, la comunione nelle pene, nei pericoli, nel lavoro, nella gioia, nelle conquiste dell'intelletto può procurare. E tale comunione si estende fino alla massima : «n u 11 a d i q u e 1 che è umano mi può essere indifferente». Tutto ciò si può esprimere dicendo che il socialista vede l'uomo non «coordinato» ma integrato nel più o meno ristretto consorzio dei suoi «eguali» per nascita, per professione o per qualche «affinità elettiva»; e vede lo stesso uomo integrato in modo altrettanto immediato nella comunità più vasta che si chiama genere umano. L'umanità intiera si presenta al proletario socialista non come una coordinazione di corpi separati ( che sarebbero le nazioni ordinate a Stati sovrani), ma come una reale, unita soci età, entro la quale ogni individuo si muove libero e sicuro non solo della tolleranza ma di un attivo consenso dell'immensa maggioranza dei «consoci» nelle essenziali questioni del giusto e dell'ingiusto, dell'utile e del nocivo, della pace come supremo bene e della riprovazione di ogni violenza. 4° I socialisti e lo Stato Il socialismo, cosi come si costituì nella Seconda Internazionale, cioè dal 1889 in poi, manifestò piuttosto una propensione, non sempre cauta, ad estendere il raggio di azione ed a moltiplicare i congegni del meccanismo governativo. Gli è che mentre l'azione diretta delle organizzazioni operaie - gli scioperi anzitutto - richiedeva sacrifici e otteneva risultati incerti, sempre rimessi in questione da una crisi industriale o da una controffensiva padronale, il suffragio universale faceva salire con una meravigliosa rapidità il numero di socialisti nei Parlamenti e nelle altre assemblee elettive. Non si ignorava certo che il sistema di amministrazione, di polizia, di lavori pubblici, di eserciti stanziali, di pubblica istruzione, foggiato da Napoleone, da Bismark e dai loro imitatori, reso infinitamente più efficiente dalla moderna tecnica delle comunicazioni rapide e dalle armi ultra micidiali, era ordinato in modo da assicurare due scopi precipui: all'interno la protezione della proprietà privata e dell'arricchimento dei capitalisti; verso l'estero l'espansione capitalistica sotto forma di conquista di mercati e di colonie, in rivalità ringhiosa con altre potenze. Ma si nutriva fiducia che tutta l'attività di questo Stato borghese ed imperialista sarebbe stata sempre meglio controllata ed anzi diretta dagli «eletti del popolo». Si affermava la convinzione riformista, secondo la quale fin da ora lo Stato potrebbe funzionare da arbitro imparziale fra le classi sociali ed appoggiare certe rivendicazioni degli sfruttati contro l'egoismo plutocratico. Nel pensiero di molti fautori del collettivismo la «statizzazione» diviene sinonimo di «socializzazione». La facilità con cui allo scoppio della grande guerra del 1914 ogni garanzia costituzionale ed , ogni controllo democratico svanirono quasi istantaneamente, di fatto prima ancora che di diritto, fu cosa stupefacente per molti democratici abituati a considerare come irremovibili le conquiste che il suffragio universale non aveva cessato di accumulare durante i precedenti due o tre decenni; forse fu una sorpresa per gli stessi governanti. Lo sviluppo delle forme democratiche era stato spettacoloso, accompagnato da gioiosi tripudi, mentre sfuggiva all'attenzione del pubblico l'accentramento di risorse materiali, di servizi tecnici sempre più numerosi, più perfettamente specializzati e sempre meno controllabili, sicché al momento critico tali mezzi di azione si trovarono nuniti in poche mani. Bastò il decreto della mobilitazione generale e la formalità del voto dei «pieni poteri» accordati al governo in carica, perché ad un tratto una ristrettissima oligarchia (per giunta composta di figure mediocrissime) si tro·,asse padrona assoluta della vita e della morte di milioni di uomini. Questa rivelazione della completa impotenza non solo dell'individuo intelligente, ma dell'intiero popolo, die fronte al gigantesco ingranaggio dello Stato accentrato, spaventò sino all'avvilimento molti animi, ma non fruttò salutari insegnamenti, perché si pensò che la guerra era un fatto eccezionale dovuto ad un intreccio di fatali errori che non si sarebbe mai ripetuto. E poi la vittoria delle potenze democratiche, la rivoluzione russa, le costituzioni più che mai liberali ed anche socialisteggianti promulgate nel 1918-1919, la Società delle Nazioni, apparivano come altrettanti argomenti per credere fermamente che dopo l'increscioso intermezzo di massacri e di brutale autoritarismo, l'ascesa trionfale del suffragio universale e dello Stato democratico non incontrerebbero più inciampi. Fu invece lo Stato totalitario che spuntò e crebbe rigogliosamente. Alle combinazioni finanziarie, pubblicitarie e poliziesche che spianarono la via del potere a Mussolini e a Hitler si possono assimilare le cosidette crisi di fiducia (bancaria) che per tre volte (nel 1926, 1934 e nel 1938) strozzarono in Francia un governo di partiti di sinistra, e l'analoga manovra che nell'autunno del 1931 riuscì ad eliminare per un decennio i laburisti dal potere. I grandi servizi amministrativi dello Stato ( compresi la polizia e l'esercito), diretti da insigni «tecnici», pressocché ignoti al pubblico e praticamente inamovibili, entrarono in collusione con certe potenze dette occulte ma in cui si riconoscono facilmente i magnati della finanza, con le rispettive clientele di specialisti superiormente «competenti» in ogni ramo tecnico, economico e magari scientifico, di legulei, giornalisti, demagoghi, e magari anche di semplici delinquenti. Agli immensi mezzi di pressione economica, di propaganda, di corruzione, di violenza poliziesca, militare ed anche squadrista, che la complicità di pochi uomini realmente capaci di muovere le «leve di comando» nello Stato moderno permette di utilizzare a scopo «fazioso», le istituzioni create dal suffragio universale non sono in grado di resistere; gli uomini di governo si sottomettono o si dimettono; i Parlamenti si lasciano addomesticare o sprofondano nello scandalo e rischiano di vedere «trasformato in bivacco» la loro «aula sorda e grigia»; la pubblica opinione è presto sconvolta e travista da una «grande stampa» e da una radio anche esse divenute monopolio dei veri padroni dello Stato; il popolo sfiduciato, incapace di reagire contro fatti compiuti e compiuti con quel ritmo fulmineo - da Blitzkrieg - ( che i mezzi tecnici, di cui so 1o lo Stato dispone, rendono possibile) si lascia indurre con le buone o con le cattive ai plebisciti i quali, beninteso, sanciscono qualunque cosa col 90 O/o di voti.
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