I Alf abeta J.14 za esistenziale del singolo. «Se ciò che si realizza è l'aprimento dell'ente in ciò che esso è e nel come è, nell'opera è all'opera l'evento della verità.» (Heidegger, Holzwege, L'origine dell'opera d'arte, 21). In cosa consiste questo non esser nascosto? Cosa rende possibile questa libertà del non dipendere dal sapere? La verità è nello stile, nella coerenza di uno stile che pone in essere il mondo, e lo pone in essere nella dimensione dell'etica e dell'estetica, non nella dimensione della conoscenza. R iflettere sulla mitologia del 68 significa, in primo luogo, riflettere sullo statuto del mito moderno. Il mito è un racconto sulle origini: del mondo di una nazione, di una cultura, di una religione, di un rito di un eroe o di un movimento. La dimensione mitica è, essenzialmente, dimensione di un passato che ritorna: non un passato particolare, un evento specifico (reale o immaginario), ma il Passato. Il mito celebra l'evento per antonomasia, ciò che è accaduto una volta per tutte, in ilio tempo re, e rispetto a cui nulla di veramente nuovo può accadere. Il tempo mitico è un eterno presente, infinita ripetizione dell'evento fondativo. Il che non implica affatto che la cultura mitica ignori il tempo: significa piuttosto che essa affronta le aporie dell'esperienza temporale (l'angoscia di fronte al divenire, alla morte, alla finitezza del nostro esistere) elaborandole in immagini simboliche che consentono di attribuire senso al tempo: per il mito, il divenire è unità dei contrari, l'infinito che si manifesta nel finito; la morte non è fine irreversibile, ma mutamento di stato, necessaria premessa di nuove nascite. A sua volta il moderno non·è, come troppo spesso si afferma, una cultura povera, o addirittura, priva di miti; è piuttosto una cultura fondata su un mito povero. Povero di immagini, o meglio: fondato essenzialmente su un'unica immagine modulata in numerose varianti. Immagine di un evento (supporto reale) da cui si diparte il tempo storico: morte e resurrezione di Cristo; origine dell'Universo materiale e delle leggi fisiche che lo governano (Big Bang); rivoluzione industriale e origine del modo di produzione capitalistico; grandi rivoluzioni borghesi e origine dello Stato moderno; rivoluzione socialista: qualsiasi sia il punto di vista - religioso, scientifico, politico - e/o l'evento «catastrofico» che viene assunto come riferimento, si tratta in ogni caso di fissare lo o gli spartiacque che separano la «preistoria» (confusa dimensione temporale che ancora risponde all'immaginario mitico) dalla Storia, di avviare un processo temporale direzionato, orientato da un fine immanente (salvezza, evoluzione, progresso). Ma la concezione moderna, «secolarizzata», del tempo non si limita a invertire la posizione dell'evento escatologico (dall'OA più voci Il sapere come mero riconoscimento del mondo, del darsi del mondo nella storia non ha nulla a che fare con questa verità anzi costituisce proprio il nascondimento. E al tempo stesso la verità è terapia dall'ottundimento che il sapere porta in sé. Questa verità è coniugazione dell'inquietudine e della serenità che rende possibile l'opera armonica - l'esistenza come armonia che si fa esempio. «Il bisogno della filosofia si determina quando lo spirito esperisce la sua laceraziorigine di un passato mitico all'Utopia di un futuro storico): la visione moderna si differenzia da quella antica e classica soprattutto perché, mentre attribuisce un carattere di realtà all'evento originario, lo «storicizza», riconosce al contrario la natura «immaginaria» dell'evento futuro: l'utopia non può mai essere veramente realizzata, il fine immanente al processo storico dev'essere continuamente procrastinato in modo che il presente possa essere esperito come uno stato di «rivoluzione permanente», salto e rottura ininterrottamente aperti sul nuovo. In altre parole: il pensiero moderno, contrariamente al pensiero tradizionale, non «crede» veramente all'evento guida, è un pensiero del «disincanto» che «sa» del carattere immaginario dei propri miti. Ma l'immagine che viene riconosciuto come tale, éome pura metafora o come principio regolativo, perde la sua potenza simbolica, diventa appunto un'immagine «povera». Qual è il ruolo che la mitologia del 68 assume in questa struttura dell'immaginario storico? L'universalità dello slogan «l'immaginazione al potere», la natura prevalentemente «giovanilistica» del movimento, la rivitalizzazione di credenze «forti» nei confronti degli eventi fondativi (la grande tradizione rivoluzionaria del movimento operaio) così come nei confronti dell'obiettivo escatologico (la rivoluzione socialista non è più un orizzonte vago e indeterminato ma il compito immediato dell'azione politica), tutti questi elementi sembrerebbero deporre nel senso di una «regressione» dell'immaginario collettivo ne assoluta» (Hegel). Bisogna riproporre il problema della verità su questo piano etico-terapeutico. Il pensiero strumentale opera una separazione della Gnosi dall'etica; in questa separazione sta certo la potenza strumentale del • conoscere, ma anche la sua destinazione nichilìsta, ed infine la sua malattia. Ma il pensiero deve allora riproporsi la questione della verità - ripartendo dalla premessa della fine della misura, della commensurabilità, in una nota dei Sentieri ... verso la struttura tradizionale del pensiero mitico. Da questo giudizio hanno effettivamente preso le mosse molti critici del 68 per denunciare !'«ambiguità» del movimento, la presenza di un'anima di destra dietro la sua facciata ultrasinistra. Secondo tale interpretazione, sono proprio le forti connotazioni mitico-escatologiche del movimento a rivelarne l'essenza «antimoderna». L'idea di un «tempo rinnovato», un tempo-ora in cui si incarnano i grandi miti del passato e nel quale diviene immediatamente realizzabile il sogno utopistico, trascinano migliaia di giovani a organizzarsi sul modello di forme politiche anacronistiche (partito leninista) e ad avviare l'avventura della lotta armata. Le interpretazioni apologetiche del 68, al contrario, si sforzano per lo più di condurre l'immaginario nel grande alveo della cultura secolarizzata, del mito moderno. Un esempio significativo di tale atteggiamento è offerto da molti inserti celebrativi dei media in occasione del ventennale del movimento. Le caratteristiche richiamate poco sopra non vengono negate, ma giudicate come elementi marginali di un ciclo di lotte che non si rivolge contro la cultura moderna bensì contro il «tradimento» che le classi dirigenti hanno consumato nei suoi confronti. È proprio perché il moderno è venuto meno alle sue promesse e promesse, perché non si è più dimostrato capace di aprirsi al nuovo in ogni campo (nella famiglia, nella scuola, nelle fabbriche, nei partiti politici, nelle istituzioni), perché il disincanto Eugenio Finardi in Diesel pagina 51 . interrotti Heidegger cita il «Protagora» di Platone: «Di tutte le cose l'uomo è misura, delle essenti-presenti in quanto sono presenti come tali e di quelle a cui è negato esser presenti in quanto non lo sono.» Verità è istituzione di una centralità; questa istituzione non è il riconoscimento di una centralità in sé sussistente, bensì una passione, una sofferenza, la coerenza di uno stile. Vera è soltanto la passione, la sofferenza, il desiderio. si è rovesciato in cinismo, in modo che i grandi ideali di progresso, democrazia, emancipazione non erano nemmeno più assunti come principi regolativi, che si è scatenata la reazione degli strati giovanili. Pur in mezzo a mille contraddizioni, errori, eccessi, il 68 ha riaperto la strada al movimento moderno; liquidati gli orpelli escatologici e le nostalgie per il passato e superato lo choc degli «anni di piombo», gli effetti di lungo periodo del 68 si sono rivelati positivi: la società terziarizzata, «post-industriale» degli anni '80 è di nuovo in corsa verso il nuovo, la prospettiva temporale torna ad essere quella di un «sano» disincanto (il quadro ottimistico è incrinato solo da qualche frecciata a un sistema politico che non si è ancora messo al passo delle nuove dinamiche sociali). Contro queste due letture - rispettivamente, «di destra» e «di sinistra» - propongo una terza interpretazione: 1) senza ombra di dubbio il 68 rappresenta un punto di crisi irreversibile della moderna cultura politica, una rivitalizzazione dell'immagine simbolica, un evento che non è in alcun modo riducibile a un episodio di pura «accelerazione» dei meccanismi di sviluppo della società moderna; 2) altrettanto certamente tuttavia, il 68 non è un movimento «antimoderno»; esso rappresenta, piuttosto, la prima riemergenza di un filone «sotterraneo» della tradizione moderna, che si è ulteriormente dispiegato nell'immaginario dei cosiddetti «nuovi movimenti» degli anni '70 e '80 (culture alternative, ecopacifismo). I nuovi movimenti rielaborano (in parte «secolarizzandoli», in parte accentuandone gli elementi mitici) alcuni nuclei tematici del 68: valorizzazione di saperi tradizionali (attenzione agli equilibri ambientali delle culture premoderne al posto della tradizione marxista), e concentrazione esclusiva sul presente (il tempo-ora dell'escatologia rivoluzionaria viene sostituito dal tempo-ora dell'impegno immediato per la salvaguardia degli equilibri ecologici, della pace e dei diritti fondamentali dell'uomo contro gli automatismi catastrofici del «progresso» capitalistico). La nuova visione del mondo pone l'accento sulla complessità delle interazioni fra differenti livelli di realtà (società-ambiente; natura-cultura; individuo-comunità) e
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==