Alfabeta 114 do, di modo che se tallora non viene ridotto a temperie, resta ottuso, inabile alle cognizioni sensibili e ripieno d'immondi escrementi: perciò gl'odori soavi, che sono calidi e temperati, li conferiscono grandemente; ma a questo effetto è miracoloso il seme di persona ingegnosa e dotta, perché questo, trasmesso per le parti basse del giardinetto, per virtù del suo nativo calore, esalla verso il celebro spiriti ben disposti, che lo dispongono attivamente a ricever qualità quasi simili a quelle del operante. Né è permesso a fanciullo diventar pari al suo maestro se non per questa via». Necessario péndant è il disprezzo per la donna considerata «tiranna, inumana ed empia», causa di rovina e di abbrutimento. Ma il padre Rocco non si ferma qui, spingendosi fino ad esprimere e un v~ro e proprio orrore per il sesso femminile, palude inconoscibile che fagocita e distrugge, «intricato laberinto» che perde l'uomo: «il dolce stesso che si prende da esso è amarissimo, per gl'escrementi focosi e venenosi del menstruo, che sono cagione di putredine, di ulcere, di taroli, di piaghe e altri infiniri mali». Disgusto, dunque, dichiarato per la femminilità e per la sua stessa manifestazione più alta e tenera: il concepimento. Meglio spargere sfacciatamente il seme piuttosto che usarlo per la procreazione. «Combattere valorosamente sotto gli stendardi di Sodoma» risulta pertanto l'unica possibilità concessa alla donna di riscattarsi dal disprezzo che le è dovuto, sottraendosi al ruolo di procreatrice. E questo ci conduce ad un altro A driano SP_atolanon è più tra noi. E morto d'infarto il 23 novembre, di sera. Abbiamo «riaperto» il numero di «Alfabeta» di dicembre per ricordare il suo percorso. Era nato a Sapjane (Yugoslavia) nel 1941 ma la sua formazione è tutta bolognese, con la guida di un maestro di molti, Luciano Anceschi, nell'ambito de «il verri». Qualcuno ha detto un po' per gioco e molto sul serio che Adriano Spatola è stato l'ultimo poeta a salire sull'autobus ormai in corsa dei «nuovissimi», pur non essendo presente in quella antologia (uscita riel marzo 1961). Si voleva dire, con questa battuta, che Adriano lavorava molto bene a ridosso di quell'esperienza (poi detta della neo-avanguardia e del Gruppo 63) per arricchirla con una sua linea di sviluppo. Esordì con un romanzo, L'Oblò (1964), progettato come contaminazione tra una linea «bassa» di sotto-letteratura (romanzo rosa e caposaldo dell'antimorale libertina: la rivolta contro Dio perpetrata in nome della natura. Un profondo rivolgimento è ora in c1tto, in questo momento storico, in quanto la filosofia naturale si sgancia dalla teologia e legittima una visione del mondo in chiave naturalistica, consentendo dunque la soddisfazione di qualunque istinto. Dio viene esiliato al di fuori del tempo e dello spazio, in una dimensione metafisica completamente sganciata dalla terra. Questo consente a Filotimo di giungere ali'irrisione estrema, identificando la divinità con Alcibiade. Si capisce ora anche perché Dante avesse collocato i sodomiti non nel cerchio dei lussuriosi, bensì in quello dei violenti contro Dio, unendo così indissolubilmente bestemmia e omosessualità. A questo punto appaiono più che chiari i motivi della feroce persecuzione cui l'opera è stata fin dall'inizio sottoposta. Siamo di fronte ad una vera e propria istigazione alla perversione, all'infrazione della norma, all'irridente rovesciamento della morale comuCfr ne. Lo scandalo consiste nella corruzione perpretrata attraverso la parola, la dissoluzione attuata sul filo di un ragionamento di tono piacevolmente scherzoso ma serrato, razionale, lucidissimo, dei più elementari e inattaccabili principi della morale corrente: dissoluzione di cui è reso partecipe un giovanissimo aristocratico che, divenuto adulto e chiamato ad assolvere al proprio impegno politico di uomo di governo, perpetuerà e propagherà a sua volta la «peste» della nuova aberrante morale libertina. Lo stupro fisico di Alcibiade non è che il piacevole corollario dello supro, ben più malefico, che Filotimo ha condotto sull'intelletto del fanciullo, inserendovi il seme di «dogmi pestiferi», violenza mentale che ha assolto inoltre al compito, tutt'altro che secondario, di stimolare la fantasia e il desiderio, caricando la papagina 33 distruzione libertina. In definitiva, siamo in presenza di un volumetto agile, di piacevole le!tura, completata da un'ampia e lucida introduzione nonché da alcuni sonetti licenziosi anonimi, fine, per quanto l'argomento possa permetterlo, e - cosa più inquie- ,, . tante - ancora forse pericolosamente attivo nei suoi propositi eversivi: a conferma della convinrola di un denso portato afrodisiaco. L'iniziazione dunque è in primo luogo mentale, quindi più profonda, indelebile, determinante per la vita futura del fanciullo. Insieme con la verginità di Alcibiade cadono, ed è qui lo scandalo, i simulacri dylla legge e della religione, idoli polemici su cui per secoli s'è appuntata la volontà di zione sadiana che l'importante non è commettere un crimine, per quanto turpe, ma invitare a commetterlo descrivendolo. Anche nel sonno del suo autore, anche dopo la morte di questo, la parola, una volta pronunciata, agirà all'infinito. Sia consentita infine una nota al modesto recensore: noi, nonostante il «demoniaco» eloquio di Filotimo ci fluisca, insinuante e suadente, nelle orecchie, ci permettiamo di conservare integre le nostre «naturali» convinzioni, niente affatto desiderosi di conoscere - e ci piange il cuòre a scontentare così il buon Sade - quei diletti soavissimi che tanto premono al «fortunato maestro» Filotimo. Acceda dunque l'ignaro lettore a queste pagine con animo sereno: il diletto che ne trarrà sarà interamente intellettuale né correrà altri rischi. Predisposizioni permettendo. Antonio Rocco L'Alcibiade fanciullo a scola Salerno Ed., Roma 1988 pp. 104, lire 12.000 1941-1988 pop) e la linea «alta» del nouveau roman. Un'opera troppo in anticipo sui tempi per avere il successo che l'autore si aspettava. Il Kitsch come dimensione della cultura moderna era un'intuizione intelligente ma poco produttiva. Il primo libro di poesia di Adriano, L'ebreo negro (1986) mostrava un'eccellente maturità. Uscì nello stesso anno la rivista «Malebolge», punta della nuova avanguardia italiana; una sua invenzione, un obiettivo perseguito con assoluta determinazione. L'ultimo quaderno di «Malebolge», dedicato ai «Nuov_iprogetti di poesia» (dove uscì anche quel poema, «Aviazione/aviatore», che Spatola portò al successo in infinite performance) andò a confluire in un altro progetto, quello del mensile «Quindici», fondato a Roma da Nanni Baiestrini con altri quattordici «sodali» del Gruppo 63. Adriano Spatola diventa redattore sotto la direzione di Alfredo Giuliani. Alla chiusura di «Quindici» (1969) provocata dalla spaccatura tra chi voleva continuare un giornale fondamentalmente_ di cultura politico-letteraria e chi invece voleva giocarlo tutto sul versante dell'impegno politico, Adriano «emigra» al Mulino di Bazzano (Parma), dove fonda la rivista «Tam Tam», un puro atto di fede nella continuità della poesia in un momento in cui qualcuno tentava di gettarla alle ortiche in nome di un fallimentare vetero-marxismo. Chi andava a trovarlo al Mulino di Bazzano poteva stupirsi della forte convinzione di Adriano; ma poi lo salutava, partendo, affascinato e in fondo anche rassicurato nella solitudine dei primissimi anni Settanta. L'attività di Adriano non si limitava alla pur fondamentale iniziativa editoriale (alla rivista si andarono ben presto affiancando preziosi libretfi, fantastici «messaggi nella bottiglia»); la sua opera si andava affinando sul versante visivo, sconfinando in un raffinato segno pittorico, e su quello della scrittura. Basti citare Majakovskiiiiiiiij (1971) e Diversi accorgimenti (1975 l Nel 1978 raccoglie il frutto del suo lavoro, dal 1961 al 1977, ne La composizione del testo, edito dalla Cooperativa scrittori, con una prefazione sensibilissima di Luciano Anceschi, che sottolineò quel «recupero di antichi strumenti» per una musica nuova. La sua «fame di poesia» non poteva però essere saziata dal solo strumento della scrittura. L'utopia resisteva, e occorre dire che in questo sogno Adriano rimase fedele ali'amata lezione surrealista. Esce così un'opera ancora oggi di riferimento: Verso la poesia totale (1978). Spatola vi teorizza un linguaggio della poesia non circoscrivibile alla pura verbalità. La parola deve /ar parte di un insieme in cui entrano in gioco e interagiscono tutti i linguaggi dell'arte, dalla danza al segno pittorico,· unificati dalla centralità di un' esigenza della mente prigioniera: trovare una via di uscita e di salvezza non nella compensazione ma nell'invenzione. Nella Piegatura del foglio (1983) la musicalità della sua lingua poetica si accentua e la poesia torna ancora una volta alla propria origine, alla ricerca di un senso della parola al di là di quello codificato dalla comunicazione quotidiana. Suono come significato, materiale per la costruzione di un senso-altro, rifiuto della poesia come semplice meta-linguaggio o supporto di qualcosa d'altro, ma fiducia piena nella possibilità di una produttiva autonomia. Questo il rapido tracciato di un percorso, per suggestioni e ricordi personali. Ora spetta a tutti noi il compito di approfondire e mettere a frutto un lavoro che non ha ancora avuto l'alto riconoscimento che merita. Antonio Porta
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==