Alfabeta - anno X - n. 114 - dicembre 1988

i 'I Alfabeta 114 gli dèi, o - come diceva Hebbel - «devota bestemmia» che inchioda il dio nel letto di Procuste di un'umanità fallita, dedita al peccato e schiava per volontà divina del male. Il Tragico post-hebbeliano è un'accusa in cui però è dato intravedere i tratti di un'immensa compassione, Mitleid appunto, per gli dèi o, più esattamente per un Dio incapace di salvare la sua creatura, anche dopo il suo sacrificio sulla croce. Insondabili sono le profondità di questa «dialettica» tra redenzione e perdizione, tra apoteosi e fallimento, e Givone ne coglie il nucleo in un passo di grande efficacia: «Come pensare l'idea stessa di redimibilità, se le cose appaiono redimibili in quanto paradossalmente restano irredente, per sempre segnate dalla separazione e solo in quanto tali - bisognose, dolenti, fatte oggetto d'una espiazione infinita - destinata a Dio?» (p. 69). Tutto ciò è pensabile appunto solo in quanto si tiene fermo ad un punto: che va osato l'estremo paradosso, pensare la redimibilità della divinità stessa. Va da sé che il Tragico non può non essere teistico, non può escludere l'orizzonte ultramondano, divino. Come diceva Lukacs, la divinità, pur nella sua irredimibile e irredenta lontananza da noi, deve restare testimone dell'accadimento tragico, deve conferire senso, se paradossale poco importa, all'evento sulla scena. Un mondo senza senso, il nichilismo compiuto, esclude il tragico, poiché tutto l'accadere sarebbe beata danza degli eventi. Mentre il tragico è al mondo per dimostrare, per rappresentare l'esistenza del male, della morte, della cenosi. Per conservare un mondo tutto redento, un mondo abitato da Dio, dalla verità, sarebbe altrettanto fuori dal Tragico. È dunque necessario immaginare e sperimentare la presenza di una divinità sempre revocabile, incompiuta (Romantik), o - come ha illustrato la grande poesia tragica da Hebbel a Dostoevskij - ad un Dio sofferente bisognoso d'aiuto (Lukacs), ovvero, oltre ogni sfida, un Dio che si «oppone a se stesso», secondo la tradizionale verità di «nemo contra deum, nisi deus ipse». È questa la grande chance di verità, e di libertà, argomenta Givone, che ci si offre oltre ogni demitizzazione, desacralizzazione, e disincanto. Teismo tragico dunque, e tragedia di Dio. Ecco perché secondo Givone, contrariamente a quanto si afferma in una fin troppo superficiale filosofia della storia, il Tragico è ancora pensabile, o forse solamente pensabile, all'interno dell'orizzonte del Cristianesimo. È questa una tonalità di fondo del lavoro di Givone che emerge in tutta la sua problematicità e grandezza nel sesto capitolo dedicato appunto a Cristianesimo e tragedia. È qui che si riannodano i fili di tutte le argomentazioni del libro e probabilmente di tutta la speculazione di Givone. Naturalmente bisogna intendersi sulla nozione di Cristianesimo mostrandosi disposti a riconoscere che teologia negativa e teologia della speranza sono tragicament,e una cosa sola, così come lo sono escatologia e nichilismo, risvolti consustanziali d'uno stesso destino: «Cristianesimo della speranza, da una parte, e cristianesimo della cenosi dall'altra; cristianesimo che considera la storia come il luogo della produzione del senso e quindi dell'instaurazione progressiva del regno di Dio, da un parte, e cristianesimo che dalCfr I I i l'altra vede il senso abbandonato alla storia che se ne appropria e lo svuota, evocando il regno di Dio per via negativa e anzi catastrofale, ma cristianesimo comunque che pensa in modo assiologico, dunque nichilistico [... ] e fa suo il principio che deriva fondamentalmente dal nichilismo per cui la storia, come storia della salvezza, significa secolarizzazione» (p. 109). Là dove speranza e cenosi si saldano, dove redenzione e sacrificio si scambiano le maschere, dove una testimonianza vitale si fa croce, là scaturisce il Tragico. Sergio Givone Disincanto del mondo e pensiero tragico Il Saggiatore, Milano, 1988 pp. 189, lire 25.000 Racconti polacchi Adrzej Zielinski ' E sorprendente constatare come gli italiani, che in genere si direbbero così affascinati da tutto quanto proviene da oltre frontiera, sembrino praticare nei confronti della letteratura polacca una sorta di censura prammatica. Come se la direzione delle loro perlustrazioni alla· ricerca di materiale da tradurre non sia dettata per nulla dal principio che il lettore italiano avrebbe diritto di accedere a tutto ciò che, della letterattura europea arricchisce e sviluppa il retaggio, a tutto ciò che esprime contenuti umanistici e che difende l'umanità di fronte a ogni genere di minaccia. I. :: Ecco perciò che la ricezione della prosa polacca, che pur costituisce una parte ben viva della letteratura europea, in Italia avviene in un circuito di seconda se non addirittura di terza categoria, e l'intero patrimonio di testi tradotti dalle case editrici e dalle riviste italiane, nonostante un interessamento ultimamente intensificatosi per il paese di Karol Wojtyla, continua a rimanere frutto di attività sporadica e occasionale più che sistematica. Con frequenza incomparabilmente maggiore che non il riflesso letterario della vita polacca, giunge in Italia l'immagine della Polonia contemporanea composta da ogni genere di informazione non letteraria. La divergenza fra stampa e letteratura naturalmente è inevitabile. In che misura tuttavia questi quadri sono convergenti? La narrativa polacca contemporanea tiene il passo con la realtà del paese in cui nasce? A questi interrogativi sembra ora in qualche modo rispondere una antologia, appena pubblicata, a èura di _Paolo Statuti, che presenta un ricco panorama di tutto quel vasto campo costituito •dal racconto polacco contemporaneo. Si tratta inoltre dalla prima antologia italiana a offrire uno spaccato così ampio delle forme narrative brevi in Polonia: dei 55 scrittori qui presenti, quasi 40 sono prosatori con i quali il lettore italiano si incontra per la prima volta. Nei suoi aspetti fondamentali e più rappresentativi, il racconto polacco è un esempio di creazione fortemente e multiformemente legata alla vita della nazione, alla sua problematica morale, psicologica, politica e di costume. Dal 1945 ad oggi vi osserviamo una pluralità di interessi tematici, una forte differenziazione di stili e linguaggi, un intrecciarsi di atteggiamenti ideologici eterogenei e una grande varietà di posizioni rispetto alla tradizione letteraria. Si tratta insomma di un fenomeno dotato di una forte dinamica interna che può vantare molte opere significative coinvolte in profondità nei gravi problemi dell'epoca contemporanea. Nel selezionare i testi il curatore del volume giustamente tiene conto soprattutto - come egli stesso afferma - «del loro carattere universale, riferibile cioè potenzialmente al mondo interiore di ogni persona». Il coerente attenersi a tale criterio ha dato in effetti una scelta di racconti i quali, oltrepassata la soglia dell'attualità contingente, hanno mostrato la loro durevolezza, come se fossero al di sopra dell'immediato interesse della «sacralità» e della clownerie, per richiamarsi alla famosa formula di Leszek Kolakowski del 1959, la quale coglieva il processo di formazione della prosa postbellica polacca in una, chiaramente percettibile, dipendenza dalla politica culturale dei poteri politici (ogni opera di un certo grado di rilevanza sociale era orientata in un modo o nell'altro verso il sistema; uno scrittore si definiva fondamentalmente per il suo essere «pro» o «contro», e i contenuti restanti della sua produzione assumevano una portata decisamente secondaria). Spingendo coscientemente in margine problemi di questo genere, Statuti presenta quindi nella sua raccolta opere che, radicate nelle esperienze dell'oggi, al tempo stesso tendono ai valori fondamentali della vita e si richiamano a determinati significati più generali, o quanto meno sottendono il bisogno di significati che permettano di capire la contemporaneità dell'uomo di oggi nei più ampi processi del sorgere e dell'erodersi dei valori. Sono quindi racconti che tentano di dar risposta a quesiti sempre presenti nella grande letteratura: sul senso della vita e della storia, sul concetto di felicità, sulla reazione alla sofferenza, sulle trasformazioni della coscienza collettiva dovute al condizionamento dei processi storici e culturali. Un tale comunicato sulle intricate questioni della storia e degli uomini che vi partecipano, un comunicato che presenta alla coscienza dell'uomo l'equilibrio e la fede nel futuro, è dato per esempio dai racconti dei maestri della prosa contemporanea polacca che debuttano sia prima della grande guerra (Nalkowska) sia alle soglie della seconda indipendenza (Dabrowska e Iwaszkiewicz). Lo stesso dicasi per le novelle di scrittori appartenenti alla classe del 191020, «tragica» generazione che oc~ pagina 29 cupa nella letteratura polacca del dopoguerra una posizione senza dubbio definita più nitidamente: essa, nonostante tutti i meandri nello sviluppo dei propri atteggiamenti filosofico-morali, impone con forza che non viene mai meno la problematica delle proprie esperienze di vita (Andrzejewski, Brandys, Rudnicki, Szcezpaòski e altri). Il nucleo dell'antologia è costituito tuttavia dalla produzione degli scrittori che debuttarono nel 1956 e negli anni seguenti e che a suo tempo uno dei critici riconobbe come un vero e proprio «cambio della guardia» nella letteratura polacca. Meno espressiva in confronto alle precedenti (con l'eccezione di S. Mrozek), questa generazione è anche più letteraria nei suoi miti dell'outsider e dello strangeness; un suo punto di forza è senza dubbio l'aggressiva presenza dei prosatori della corrente contadina (Kawalec, Nowak, Redlinski) con la quale compete benissimo Janusz Glowacki, eccellente osservatore del costume cittadino e critico impietoso delle mode culturali della nuova inteligencja polacca. Non mancano nel libro di Statuti neppure altri esordienti di maggiore interesse degli anni Sessanta, come P. Wojciechowski o E. Stachura, avvolto, quest'ultimo, ormai in un alone di leggenda, perché incarnazione di un mito molto diffuso fra i giovani di ogni latitudine negli ultimi decenni, quello del vagabondo senza meta. Per la prima volta vengono anche presentati in Italia J. Szaniawski, drammaturgo ma anche autore di racconti di atmosfera- e di riflessione puntati sul mondo interiore di un modesto uomo di provincia, oppure narratori come J. KrzysztoÌl o K. Filipowicz, che si ispirano al ricco bagaglio di esperienze della letteratura psicologica. Qualunque critica rivolta all'antologia dal punto di vista delle insufficienze e delle omissioni sarebbe già in partenza chiaramente falsa e non farebbe fare un solo passo avanti ad alcuna questione di merito. L'antologia di Statuti, in quanto espressione di una rinuncia - tanto più difficile quanto più vasta si dispiega la ricchezza della prosa degna di essere letta e ricordata - è innegabilmente un'iniziativa degna della massima lode e di ciò ci si deve rallegrare, sebbene, come ogni pubblicazione di questo genere, essa possa suscitare determinate obiezioni. Si vorrebbe ad esempio aggiungervi uno o due nomi (K. Pruszynski, L. Buczkowski, A. Bursa), sia per delineare· la presenza di ùlteriori correnti della prosa polacca sia per accennare all'esistenza di prosatori anche più giovani di Jan Rybowicz (1949), i quali, con voce sempre più decisa, danno espressione alla peculiarità del proprio modo di vedere il mondo. Alcune riserve solleva anche il principio, assunto in modo forse un po' troppo rigido, di assegnare un solo racconto, e quanto più possibile breve, a tutti gli scrittori presentati. Tanto più, allora, risulta difficile capire perché Statuti ritraduca ben quattro racconti precedentemente gia pubblicati in edizione italiana (Dabrowska, Iwaszkiewicz, Nalkowska, Brandys) quando, entro lo stesso numero di pagine, dei medesimi autori si sarebbero potuti presentare altri testi ancora sconosciuti in Italia. Tali carenze non offuscano tuttavia la validità hopefulmonster ---- editore __ C. CASTORIADIS GLIINCROCIDELLABIRINTO pp. 320 circa, lire 35.000 ISBN·88-7757-0l l-3 Che cos'è l'anima, in quale misura, a quali condizioni, la psicanalisi ci obbliga a pensarla inmodo diverso? Cos'è il linguaggio, e come possiamo parlarne? Cos'è l'oggetto matematico, fisico, biologico, socio-storico e come si concede e si sottrae nel contempo all'impresà straordinaria della scienza moderna? A partire da cosa, e mediante cosa,possiamo parlare di economia, di uguaglianza, di giustizia, di politica? I testi qui riuniti vogliono riprendere e, se possibile, rinnovare queste domande. Ambizione sfrenata, gratuita e obbligatoria:chiarire lo strano fatto del sapere, esplorarne la situazione attuale, cercarvi significati che la superino. Ci rimane una sola scelta,gettarci in una galleria qualsiasi del labirinto dove ci troviamo senza sapere dove essa possa condurci, né se eternamente ci ricondurrà allo stesso incrocio, o adun altroperfettamente uguale. Pensare non significa uscire dalla caverna, né sostituire all'incertezza delle ombre i contorni nitidi delle cose, al vacillante bagliore di una fiamma la vera luce del sole, significa entrarenJl Labirintoo, più esattamente, rendere esistente e visibile un Labirinto, mentre potevamo rimanere "distesi tra i fiori, faccia al sole". Significa perdersi in gallerie che esistono solamente perché proprio noi le scaviamosenza sosta, significa girare in tondo all'estremità di un vicolo cieco il cui ingresso si sia richiuso dietro di noi· finché la rotazione inspiegabilmente apra spiragli praticabili nella parete. BENEDICT LIVSIC L'ARCIERE DA UN occmo E MEZZO pp. 300 e.a., f, 35.000 ISBN 88-7757-001-6 Sarebbe davvero un tragico malinteso, contrario alle mie intenzioni, se la polemica con il passato e sul passato che occupa questo libro venisse interpretatacomeun desiderio di far rivivere un movimento letterario che si è spento giusto 18 anni fa. • In tutto il libro le parole "Sinistra" e "Destra" riferite ali' arte sono.messe tra virgoletteper mettere in guardia, poiché dopo avere preso a prestito dall'occidente una grande quantità di cose, abbiamo trascurato l'acuta esattezzadella sua terminologia.La base dell'estetica futurista si fondavasu una concezione viziata del carattere razionale dell'arte. L'evoluzione logica di queste idee ha portato Marinetti al fascismo, i futuroslavi nella loro orientofilia non sono mai andati così lontano, tuttavia anche loro non sono del tutto esenti dall'accusa di nazionalismo esasperato. Non ha più senso ai nostri giorni dimostrare l'inconsistenza della teoria razziale. Ma retrospettivamente penso sia utile chl~ire i presupposti politici di un'estetica sbagliata alla cui creazione ho preso direttamenteparte.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==