Alfabeta - anno X - n. 114 - dicembre 1988

pagina 14 (1854), che apriva agli Americani i porti di Shimoda e Hakodaté, al 1904-1905 della guerra russo-giapponese, che segnò l'avvento dell'Impero del Sol Levante fra le grandi potenze. Una essenza pre-esotistica dell'arte giapponese, definita nel suo «naturalismo» pervasivo ossia alieno ad ogni antropocentrismo (perché i giapponesi «ne distinguent pas,.eux, de façon aussi précise 'quanto gli occidentali' entre éléments naturels d'un còté et éléments purement humains de l'autre»), mediante i caratteri cardinali di «rapidité, hasard et simplicité» (Akiko Mabuchi, nel catalogo della mostra); nell'istanza di «purezza», o accantonamento degli elementi non primari, sin nell'arredamento o nel corredo quotidiano (Caroline Matthieu); soprattutto, nell'abitudine di continuità arte-vita («dans la tradition culturelle du Japon, l'art ne constitue pas un monde séparé de la vie quotidienne dont il tait tout naturellement partie intégrante», Shuji Takashina); questa essenza viene esposta come eidos (e u-topico, e generativo di forme) delle miriadi di effetti di quel fenomeno tutto europeo che s'è detto il «Japonisme». Fenomeno di mimetismo infedele e reattivo, dal supposto «calco» all'architettura della composizione, dal semplice elemento ornamentale al tocco coloristico, dal monte Fuji all'iper-essenzialismo del Van Gogh ... via sotterranea e maestra, dall'Impressionismo fino almeno all'Art Nouveau, per la fondazione dell'arte moderna (e una sezione della mostra s'intitolava proprio «Le Japonisme: de l'éclectisme à l'art moderne»). «Il est assez étonnant que la passion pur l'art japonais, d'abord suscitée par l'inévitable attrait du pittoresque, ait vite dépassé le ~tade de l'exotisme et se trouve étroiteméht liée avec le mouvement révolutionnaire des artistes dits d'avant-gardé» (S. Takashina): dai pre-testuali esempi giapponesi (le collezioni private degli Chassiron, dei Cernuschi ... l'arrivo in Europa dei primi Hokusai, Hiroshige, dei vasi, dei ventagli, dei bronzetti, dei libri illustrati, le coppe in bronzo, a· I pacchetti di Alfabeta forma di onde crespe ... i padiglioni nipponici alle Esposizioni Universali, ri-costruiti secondo i più puri criteri dell'architettura originaria), ci soffermiamo dinanzi al mistero del sublime effimero delle argenterie dei Tiffany e di altri Christofle, calchi occidentalizzati da motivi e forme giapponesi (tutte scrupolosamente documentate e riportate), sfioriamo le vaporose giapponeserie dei Whistler, le assai più proprie litografie - rapide semplici casuali - dei Vallotton, traversiamo i Gustave Moreau e i Fantin-Latour, trasparenti copie, le veloci affiches di Toulouse-Lautrec, per giungere progressivamente - e sempre più sorprenVenegoni & Co. dentemente - ai Manet, Monet, Degas, Bonnard, Pissarro, ai riboboli avviluppamenti klimtiani, sino alle visioni del detto Van Gogh, sino ai nebbiosi paesaggi urbani di Alfred Stieglitz; dalle pesanti imitazioni iper-decorativistiche dell'arredo borghese fin-de-siècle (ad esempio, di un Duvinage), passiamo alle composte stilizzazioni dei mobili di un Godwin, sino allo sciolto design dei Niedecker, Bradstreet, sino alle architetture aperte e scorrevoli di un Griffin, di un Mackintosh, di un certo Frank Lloyd Wright... Comunque si trasmuti o evolva questo spirito del Japonisme, sempre riappare scisso da una sostanziale ambiguità: «un tableau qui représente une dame au kimono exécuté dans un style parfaitement occidental ( ... ) est-il du Japonisme? Oui, répondront certains; mais d'autres diront: non, ce n'est pas du Japonisme, c'est de l'exotisme» (S.Takashina). Di fatto, «parler d'un pays», d'un altrove, pensarlo, «c'est entrer dans la fiction»: Mare Guillaume così introduce il numero di «Traverses» dedicato a Japon Fiction. Sulla traccia di Barthes, Guillaume viene carpito dall'immagine fittiva di un possibile Giappone, proseguente la sua via millenaria, «vers l'idéal d'un formalisme libéré de tout contenu». L'attrazione esotica suscitata dall'empire des signes si fonderebbe su di un «vide du signe», realizzando «un monde post-historique mais encore humain, grace à l'effacement paradoxal des contenus subjectifs dans un univers de formalisme pur». Questa discesa (la barthesiana) nell'intraducibilità, nell'inconcepibile, nella straniata agnizione insomma des positions inoui"es du sujet, specularmente si smobilita nell'intervento dall'interno di Akira Mizubayashi, che le riconduce ad una «violenza arcaica» avversa all'autodeterminarsi di un «soggetto» ovvero di un «agent libre», frutto di un predominio della chiusa dimensione domestica. Questo circuito andrebbe ad escludere la nozione stessa di società, sostituita dall'allargarsi di un principio di «parenté fictive ou imaginaire», attraverso una serie di rituali di affiliazione. In ogni caso, l'Altro (l'esotico), omologato e non più emergente quale «marquage symbolique de ce qui apparaissait comme singulier dans la diversité du réel», va inventato come fiction, attraverso la somma di molteplici bricolages individuali: donde quella nipponne come utopie de l'Autre (Guillaume). E Francis Affergan sviluppa la sua critica dei fondamenti dell'antropologia a partire proprio dalla «tache aveugle» su cui si sarebbe costruita l'antropologia culturale: quella dell'alterità, sempre qualificativa, che «exige la perte, l'abanAlfabeta 114 don momentané ou la suspension de se repéres», la quale sistematicamente viene «ravalée à une simple différence» attraverso la sua quantificazione, che «convoque seulement un objet de la proximité, afin que des comparaisons, substitutions, combinaisons puissent s'opérer». Se, sulla scorta di Foucault, in ogni classificazione «l'identité et ce qui la marque se définissent par le résidu des différences», allora è chiaro che «par le jeu des ressemblances et des différences, la discontinuité des etres», l'alterità del soggetto, «est oblitérée au profit d'une continuité dans laquelle l'identité de chacun dépend de celle des autres»: ed è . questa la linea che condurrebbe dalle classificazioni linneane-buffoniane all'antropologia moderna. E questa linea va a svilupparsi appunto dalla nozione di differenza elaborata dal pensiero occidentale nei suoi estremi di massima sistemazione: in Aristotele e in Hegel, il primo definendola come predicato che per essere significato deve ricorrere al soggetto da cui dipende, il secondo come una costante «qui réduit et réprime les énergies, les marques identitaires, les traits qualitatifs pour en faire une quantité sommative»: nell'Enciclopedia, leggiamo: «La differenza dell'essenza è la contrarietà secondo cui ciò che è differente non ha di fronte a sé un aliud in generale, ma il suo aliud»: il decentramento che la fonda, in questo gioco regolato di rinvìi, costituendola solo in una riflessività, le impedirebbe «puisque toujours dépendante» di accedere allo statuto pieno di concetto. Affergan propone così un modello di antropologia ermeneutica, fondata sull'acquisizione dell'alterità, e a partire dalla nozione bachtiniana di esotopia («l'Autre n'est Autre qu'en tant qu'inintégrable et irréductible», riassume), in uno spazio eteroglosso e plurale: sulle tracce infine di quell'esotismo puro di cui parlava Segalen, ossia «la perception aigue et immédiate d'une incompréhensibilité éternelle». Fatto sta cbe l'impossibile congiungimento, rappresentato in Furyo, potrà avveLa rivistadellapubblicitàd, ellacomunicazioned,ellestrategiee analisidi mercato. direttoreOlivieroBeha N°28 VIAGGIONELL'UNIVERSORADIOFONICOITALIANO Unmezzodicomunicazione frai tantichehaperò unpassatoriccodigloria. Oggi,siparla dicrisid'identità. È vero? Comesta oggila radio?Qual è ilsuoruolo.E come funzionanole ricerche sulleaudience radiofoniche? Unapprofondito esamedivizie virtùdellaradio (pubblicae privata), unadettagliatafotografia dell'eterenazionale. Editoriale Comunicare srl- ViaCaradosso 18 - 20123 Milano- Tel.4396976

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