Alfa beta 114 logia Divano Occidentale, titolo ispirato a quello dell'opera citata di Goethe ma che conferma allusivamente in parte il giudizio di Hesse. Insieme al pensiero greco, nell'introduzione l'eminente iranista suppone infatti altre fonti occidentali specificamente della poesia nel mondo islamico - come l'Antologia Palatina, redatta in epoca e ambiente bizantini -, riconducendo a una matrice «anacreontico-neoplatonica» la poesia persiana e proiettandola nell'«ambito delle culture poetiche neoellenistiche non petrarchiste». Effettivamente temi trasgressivi quali l'esaltazione dell'ebbrezza del vino o l'amore efebico, più o meno ammantati essi pure di simbologia esoterica, sembrano migrare dalla poesia greca a quella iranica a quella turca. Ma come vive il poeta moderno iraniano il rischio dello «scacco matto» del nulla: quanto - per usare quest'espressione scacchistica di origine arabo-persiana - shah mata ( «il re è morto»)? In modo in verità non troppo dissimile da molti nostri poeti: rifugiandosi nella scrittura poetica, magari con un residuo di sacralità in più. Se per Nasafi le immagini dell'inchiostro e delle lettere con esso vergate erano simboli del nesso tra l'essere e i fenomeni della natura, o per il vecchio Taher il poeta stesso era «il punto diacritico che per la lettura è voce» e «l'alfa del nostro e d'ogni alfabeto» (cfr. il mito del fenicio Cadmo latore della scrittura alfabetica nella greca Tebe, ripreso dal libanese Sa'id 'Aql), nella metafora del «Calamaio» di Yasemi l'inchiostro è assunFrancis Affergan Exotisme et altérité. Essai sur les fondements d'une critique de l'anthropologie Paris, P.U.F., 1987 Le Japonisme Paris, Editions de la Ré.union des musées nationaux, 1988 Nagisa Oshima Furyo Jeremy Thomas Production, 1983 «Traverses» 38/39, novembre 1986: Japori Fiction e osa è per noi di così domesticamente «giapponese» come una molteplicità di chicci di riso cotti; ma allo stesso modo, come non percepire una contraddizione intima, una ineffabile antinomia della materia: perché vi è il riso a un tempo «amalgamato e suddivisibile», massa e alienità. Così Roland Barthes, nel I p~cchetti di Alfabeta Costin Miereanu in Luna cinese to a simbolo del nulla e del silenzio, da cui scaturisce non un messaggio ma una traccia, un segno che rimandi a una parola decisiva: «Non è urgenza di dire che trabocchi: / è sete, e sei la fonte./Una goccia, e la fuga dei pensieri, / questa corsa veloce / dal nulla al nulla, forse in te s'accheta / ... / strumento di magia / ... / e persino la morte, I la morte, forse, vinci, / specchio nero, riflesso / di luce fatua eterno / ... / ma il messaggio talvolta non arriva ... / nel tuo nero paese/ fatto di buio, taci/ ... / Anche i profeti, forse, un cenno solo, I non un messaggio, un cenno hanno lasciato». 6 Come nella celebre raccolta li roseto di Sa'di era necessario che la «goccia di pioggia» penetrasse nella conchiglia del nulla per mutarsi nella perla-essenza, così nemmeno la sola poesia ma proprio la stretta del nulla e la contrazione dell'io dolente rigenerano la gnosi luminosa del sé e del mondo nei seguenti versi di Nader Naderpur, variazione su un tema dell'antico Hafez: «girotondo di sillabe vanesie: / gioco insincero labile impietoso / che suggella il terrore / del non essere ... I Soffocare il ricordo: ecco la via/ che straniero nel corpo / mi riconduce verso la coscienza/ delle cose ... ».7 Ancora un moto d'insofferenza per la condanna dello scrivere, d'inadeguatezza alla realtà della vita, d'impotenza di fronte alla perdita di senso dell'esistenza, nell'ermetismo biblico di questi versi di 'Ali Musavi Garmarudi, composti in piena epoca khomeinista: «Ignare nacquero le piante I di mania di recinto, ed i reclusi/ siamo noi, che con corde cristallino Empire des signes, enigmatica mise en abyme forse dell'intera filosofia semiotica dello scrittore scomparso - empire che si pone sì ambiguamente inverso a quello proverbiale mitologico des sens, quello di Oshima, di quell'amore feroce. Un esemplare Furyo, lungometraggio ancora nipponico e ancora oshimiano, che non ebbe gran fortuna giù da noi, ci aveva schiuso qualcosa come una mappa o rebus di quella costellazione netta e nebulosa, scaturibile per noi dall'evidenza di quel segno, il chicco di riso, la massa del riso. La rappresentazione di un controverso amore tra ufficiali di contrapposti campi, un anglo-neozelandese (prigioniero) e un giapponese, interpretati oltrettutto da due rockstars molto sexy, di quelle che fanno strillare le ragazzine (Sakamoto e David Bowie, quest'ultimo, si sa, dal passato spettacolarmente gaio), -=- sì da prodursi un sottile rovesciamento verso un anteriore, assai più ambiguo, grado di rappresentazione, che è poi il privato pubblico delle immagini culturali; questo pasticcio amorodi parole/ ai libri ci impicchiamo/ ... / È un andarsene al nulla / questo vivere il giardino / d'Eva. Adamo non resta: / solo un uomo in deserto di colpe. / ... / Nel giardino del verbo più vero I è vegetale tutto ciò che ha un senso. / ... / Da quel giardino io vengo dove il sangue/ di nessuno è leggittimo versare». 8 • Riprendendo in sintesi concetti di derivazione araba comuni alla mistica e alla poetica iraniche, la «difficoltà» del dire (eshkà{) viene necessariamente a collidere e riflettersi con l' «opacità» dell'esserci (ebhàm); nella misura in cui riesca ad oltrepassare la soglia, essa assurge a genuina illuminazione e gnosi (eshràq e 'erfàn). Per dirla tuttavia con l'aggiornato Ihab Hassan, contro ogni anacronistico rimpianto di evidenza o trascendenza metafisica, il senso è indeterminato e immanente, ma non per questo meno reale e vero. La produzione - o rifondazione - di esso non si esaurisce nel significato né nel significante, bensì si annida nella dinamica insopprimibile differenza tra i due, quel a volte impercettibile scarto senza il quale non solo il linguaggio sarebbe immobile ma la letteratura sclerotica e la realtà stessa bloccata: mortale assurdo o insidiosa illusione. All'immediatezza del senso dato o all'intangibilità di quello rivelato (in arabo tanzil) si oppone dunque l'esigenza di un rinnovato esercizio del ta'wil (interpretazione ermeneutica). In siffatto assiduo sforzo di ricerca e smascheramento (ijtihàd) e in nessun jihàd ( «guerra» più o meno «sanso, etico-gay, si carica insomma di tutto il fardello di pulsioni che gli spetta, nella sua esemplare e critica trasparenza: serbandole cioè, com'è opinabile, alla mera consistenza di pulsioni: il congiungimento che vi si presenta, conflittuale (disgiuntivo) sino alla morte, è quello stesso che, de-ritualizzato, via dal sistema rituale lì espresso, si rende a noi come la declinazione, nell'odierno, di quel ricorso mitico o consumistico che suole dirsi l'esotismo. - Sarà forse la condizione esotica null'altro che il nodo della breve, insolubile dialettica fra un altrove porre sistemi meravigliosi o superiori (ai limiti dell'utopistico, dunque del non posto) ed una impossibilità malinconiosa di soffermarsi entro alcun luogo, nell'ossessione progressiva del voyage? - Questa altalena fisserebbe insomma la condizione basilare del desiderio esotico; al Luogo dello Scambio (quello storico, l'occidente dei mercati) è la postulazione di un altrove ai limiti del non-luogo, attinto ma pur sempre in fuga, esterno allo scambio eppure sua fonte: come pure è della logica dello scampagina 13 Horacio Maggione ta») si fonda il primato della cultura come il ruolo della letteratura e la funzione critica: assunto, in Edward W. Sa'id, non esente da influssi gramsciani. Filtro a battistrada della coscienza, in particolare il linguaggio poetico è ad un tempo «messa in opera della verità» e «dimora dell'essere» nell'accezione heideggeriana, ma una casa mobile in viaggio, lungo quel cammino fatto di evoluzione e di storia attraverso cui l'esserci tende ad acquistare - o a recuperare - coscienza di sé, e in cui l'uomo si trova ad una tappa cruciale, sospeso fra nostalgia e desiderio dell'essere, fatalmente esposto alle trappole o ai ricatti del nulla e - con Khalil S. Hawi - alla tentazione del riflusso nell'inconscio. Note: (1) In appendice a Racconti indiani op. cit. Cfr. Martin Buber, Confessioni estatiche, Milano, Adelphi, 1987. (2) In Studi sull'induismo, op. cit. Cfr. Ananda K. Coomaraswamy, Induismo e buddismo, Milano, Rusconi, 1987. (3) In S. H. Nasr, Scienza e civiltà nel!'Islam, Milano, Feltrinelli, 1977. (4) Su «Alfabeta» n. 95. Cfr. Vincenza Grassi. Il tema della morte nelle opere di Gibran Kalil Gibran, su «Oriente Moderno», genn.-marzo '85. (5-6) In Divano Occidentale, op. cit. (7) In G. Scarcia, La poesia persiana nell'ultimo ventennio, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1974. (8) Da Verso Nondove, trad. G. Scarcia e Riccardo Zipoli, Tehran, Istituto Italiano di Cultura, 1984. bio l'inattingibilità piena del prodotto, che in qualche modo si àncora ad un suo fondo di noumenica assolutezza; in questo caso, dell'oggetto-esotico, de-funzionalizzato per via del suo stesso «import» e pur sempre resistente ad un pacificato ridursi a bene voluttuario. L'ineffabile etica esotico-utopica è peraltro oggettivizzata, fatta mercificabile, almeno quanto il suo prodotto («incenso» o «vaso» o «tappeto» che sia) è rimoralizzato, traslocato cioè in un nuovo sistema di funzioni che lo trascina via dal suo proprio tempo e dal suo Sacro, nel tempo stesso che lo isola e risacralizza entro i limiti di un'altra norma, per quanto squisitamente de-reale: la norma esotica, proprio. Si chiudeva l'agosto scorso, al Grand Palais, per riaprirsi poi da settembre a dicembre a Tokyo, una notevole mostra dedicata al Japonisme. Cronologia in atto cioè, di quel «tout phénomène d'influence japonaise dans l'art occidental qu'on obsèrve dans la sec_ondemoitié du XIXe siècle», grosso modo dalla firma del trattato di Kanagawa
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