Alfabeta 114 I pacchetti di Alfabeta pagina 11 La _erraassente ~~ Dei molti universi che l'uomo non '' ha ricevuto in dono dalla natura ma che si è foggiati traendoli dal suo spirito, l'universo dei libri è il più vasto. Ogni bambino, quando traccia sulla lavagna le prime lettere deH'alfabeto e tenta per la prima volta di leggere, compie il primo passo in un universo artificiale e estremamente complicato [... ]. Senza la parola, senza la scrittura e senza i libri non si dà storia, non esiste l'idea di umanità». Così, }:lermann Hesse scrive in un breve saggio del 1930; Magie der Buches (Magia del libro, trad. it. Adelphi 1979). Si potrebbe aggiungere che senza la parola, il linguaggio, non c'è memoria, non c'è esperienza, non c'è vita; non c'è conoscenza del sé. Eppure, sappiamo anche che il linguaggio non rivela mai del tutto il proprio segreto, in quanto esso stesso cela in sé qualcosa del soggetto che parla o racconta; si cela, nel momento stesso che si annuncia, o si rivela. Coloro che verso il linguaggio hanno avuto due vocazioni distinte: «una a cercare il contenuto di verità, l'altra a commentarne il contenuto reale» (Baratta), ben presto dovevano accorgersi che, comunque, sempre, seppure esso è fondante il soggetto, il linguaggio è insieme vicino e lontano dalla verità e dalla realtà. Le parole non sono le cose. Il mondo raccontato non è mai identico al mondo vissuto; seppure, come pare suggerire Levi (ne / Sommersi e i Salvati) lo scrittore ha compiuto uno sforzo al limite di se stesso, per non falsificare il dato della memoria, per non ingannare sé e il lettore, «i ricordi che giacciono in noi, non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei». Nemmeno quando si conoscerà l'alfabeto con cui essi sono scritti, «su quale materiale, con quale penna» furono incisi, sapremo riportarli totalmente alla luce. Essi appariranno sempre deformati, illuminati in modo puntiforme, con zone d'ombra, di polvere, alternate a emergenze di luce. Mere epifanie in un universo mentale inconosciuto alla ragione diurna. Raccontare mediante il linguaggio è pur tuttavia una spinta interiore, naturale all'uomo. Ciascuno di noi ha fatto l'esperienza del racconto, la compie in ogni sua giornata. Ma raccontare cercando di raggiungere la vetta della letteratura è assai difficile e complicato; e non solo perché la letteratura ha le sue tecniche. Ciò che serve nel racconto, che aspira a entrare nella Biblioteca, è il distacco, dalla irruenza della realtà. Che il racconto non sia solamente cronaca, resoconto piatto di un evento realmente accaduto. Queste sono due delle tante ragioni «linguistiche» o formali che sottendono all'interesse per la letteratura che si muove nell'area delle esperienze tragiche dell'ultima guerra: assalti, combattimenti, bombardamenti, ritirate, resistenza, lager, minaccia della guerra, distruzione, morte, progetto di vendetta, aspirazione alla pace, dolore,· sono alcuni dei temi-motivo che abitano una sterminata produzione. Una letteratura con in sé forti motivazioni etiche e il cui fine, forse, si può riassumere citando l'iscrizione che si legge sul monumento dei ducentomila morti di Hiroscima: «Riposate in pace, perché noi non ripeteremo l'errore». Ebbene, quali altri messaggi alla «specie umana» (Antelme) emergono da questa letteratura, il cui brusio sotterraneo oggi si alza dì nuovo all'orecchio del moderno? «Si capì subito che sarebbe stato imposFrediano Sessi sibile colmare la distanza che si andava scoprendo, tra il linguaggio di cui disponevano e l'esperienza, che quasi tutti (i Salvati dal lager nazista) stavamo inseguendo dentro di noi» (Antelme). La distanza di cui parlavamo all'inizio tra le parole e la vita si fa qui tormento, fino a credere (Levi) di non essere mai creduti nel racconto delle crudeltà patite: «questo stesso pensiero (se anche raccontassimo, non saremmo creduti) affiorava in forma di sogno notturno dalla disperazione dei prigionieri». Anche a colui che racconta e che ha vissuto l'inferno, ciò che ha da dire, nel momento in cui lo pronuncia, o lo scrive, prende a sembrare inimmaginabile (troppo lontano dalla finzione, dalle parole). Neppure il Divin Marchese, Sade, ha concepito simili empietà affatto finalizzate; una violenza del tutto inutile come quella patita quasi sempre nei lager, nelle deportazioni, nella fuga in _cercadi una salvezza Arrigo Lara Totino .. Piero Collo, seduto insieme a lui su una panchina dei giardini pubblici, qualche anno dopo che la guerra è finita. Lo fa dando voce al rumore del proiettile che non c'è: «Ecco, il caricatore è sfilato, non c'è nessuna pallottola, anche la canna è libera. - Non c'è nulla. Pum. pum!». - Ancora, l'idea che anche colui che si salva è frantumato dentro, ridotto in macerie. In apparenza integro, salvato, ma dentro di sé, senza più identità. Arrivato a Messina, dopo il lungo viaggio di ritorno dal fronte russo, il sergente Trimbali (cfr. Mario Spinella) scorge di lontano la città: «quando giungemmo alla falce del porto, dall'alto del ponte, mi avvidi che, dietro le facciate quasi intatte di cemento armato, oltre i buchi vuoti delle finestre, non vi era più nulla. La guerra aveva fatto il suo lavoro. La città intatta non era che una quinta, uno scena-· rio, effimero, illusorio. Al pari, forse, di quell'Io che aveva attraversato, per giungeGianni Sassi sentita senza luogo e dove (cfr. A. Segher e re sin lì, la Campagna di Russia». Ma non A. Tisma), durante la quale il rischio di c'è nemmeno soluzione alla guerra, se non perdere l'identità di sé, se non la vita si fa nella ricerca continua di una nuova e grantenacemente reale. In conclusione, è ovvia de solidarietà umana. Essere sempre più e insieme sofferta (seppure col tempo lo cittadini del mondo e maturare una presa scrittore vittima-salvato ne coglierà tutta la pacifica del globo sembrano i due pilastri di portata - solo in quel modo il racconto puù /41~sta solidarietà. Consapevoli che, poiché fare presa sull'altro, uscire dalla storia con/ ,:non c'è speranza di poter sopprimere le tingente, passata, per farsi storia presente. inclinazioni aggressive degli uomini» (cfr. attuale e servire da monito sempre): «la carteggio Freud-Einstein), la ricerca della sproporzione tra l'esperienza vissuta e il pace è significativamente fare i conti con la racconto». Essa nella pagina scritta diviene propria morte, accettare l'insorgere delinsanabile. l'angoscia in noi stessi. Stornata da oggetti. Ma è proprio questo vuoto tra le parole e esterni, l'aggressività si rivolge al soggetto, la realtà; è proprio questo tramutarsi in fin- sottoponendolo ad una forte tensione inzione del racconto vero (del diario); è la terna (cfr. Del Giudice e Spinella). «Ciò distanza incolmabile che trasforma (quasi significa che la via della scelta pacifica, per nella totalità dei casi) il racconto di guerra il singolo, non è poi così pacifica, così natuin letteratura. La guerra assente, comun- raie». que, sulla pagina si fa letteratura. Messag- - L'idea della precarietà dell'essere (vedi gio universale. Monito. Promessa. «Ripo- Horvat, Segher e Fallada) affiancata dalla sate in pace, perché noi non ripeteremo convinzione che oggi la guerra non può che l'errore». Allora, il lettore giovane di oggi, essere un'azione militare totale, che mira lontano dall'esperienza diretta della guer- alla distruzione del globo intero. «L'umanira, sempre in dubbio se ciò che legge sia tà dovrà convivere con l'arma nucleare, vero fino in fondo, può cogliere alcuni mes- cioè il proprio suicidio» afferma Moravia. saggi, che sono tratti comuni di molti fra i In «Dillon Bay» di Daniele Del Giudice, testi citati (al di là dello stile, sempre diffe- l'insorgere dell'angoscia, la visione della firente e in molti casi radicalmente diverso): ne, la convinzione della totalità estrema e - L'idea che tutta la specie umana è coin- assoluta di un'esercitazione militare che volta nella colpa del genocidio, della guer- mima un'azione di guerra, si legano con la ra, dell'esplosione atomica e che una intera fine tragica di uno dei protagonisti, che a cultura (quella occidentale) porta in sé le contatto con la fortezza perfetta, macchina radici di simili eventi (cfr. Moravia, Levi, da guerra che offende e difende insieme Antelme, Duras, Lanzman Shoah, in parti- (centrata tutta sulla logica moderna dell'ecolare); quilibrio di terrore), non vuole più esistere. .:..L..'idea che non c'è vendetta possibile che Il racconto, stilisticamente asciutto e rigosani il dolore di una perdita (cfr. Spinella, roso, cela in sé il mistero della fine. InsonLevi). La vendetta è insieme la ricerca di dabile e indecidibile come la macchina da un'espiazione, ma anche di una soluzione guerra. Capace di leggere dentro l'insana ad una sofferenza che non ha farmaco. La passione degli uomini all'esercizio militare ferita non si chiuderà mai (cfr. Fortini, Du- come gioco: «Accanto a me il sergente era ras, Levi). Lo sa bene Cipriano, uno tra i seduto su un tronco, con in bocca un filo protagonisti de La cena delle ceneri di d'erba; scorreva il taccuino, chiamava per Franco Fortini, ·quando spara al traditore nome la decina di soldati appoggiati l'uno all'altro in cerchio attorno a lui, e ogni tanto, dopo il nome, aggiungeva: 'Deceduto', a voce bassa e senza alzare gli occhi. Il cimitero in cui riposavano questi caduti era soltanto il suo taccuino[ ... ]». La portata etica di questa letteratura (sarà ovvio per il lettore che molti libri importanti qui non si sono citati per necessaria brevità) è insostituibile e impareggiabile, tanto da fare sperare che essa entri a far parte della biblioteca personale di ognuno: perché se non c'è «speranza di sopprimere le inclinazioni aggressive degli uomini»; se «l'incomprensibile» è accaduto e può accadere ancora, è pur vero che l'umanità deve persuadersi e persuadere che al livello della soglia atomica «non vi è tensione interna che non sia accettabile, piuttosto che lasciarsi, dal timore di essa, stornare da un'azione permanente, appassionata, prioritaria, contro la distruzione atomica alle porte». Antelme R. La specie umana Torino, Einaudi, 1969 pp. 291, lire Del Giudice D. Dillon Bay, un racconto militare Roma, 1985 pp. 14 in «La metropoli difesa» di A. Fara. Duras M. Il dolore Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 160, lire 17.500 Fortini F. La cena delle ceneri Milano, Lombardi, 1988 pp. 160, lire 16.000 Fallada H. Ognuno muore solo Torino, Einaudi, 1981 (5) pp. 590, lire 18.000 Horvat O. Gioventù senza Dio Milano, Bompiani, 1974 pp. 172, lire 12.000 Segher A. Transito Milano, Mondadori, 1987 pp. 270, lire 18.000 Moravia A. L'inverno nucleare Milano, Bompiani, 1986 pp. 122, lire 6.000 Levi P. Opere(vol. I) Torino, Einaudi, 1987 pp. 827, lire 42.000 Spinella M. Lettera da Kupiansk Milano, Mondadori, 1987 pp. 401, lire 24.000 Spinella M. • Comprendere l'incomprensibile, in «Il Piccolo Hans» n. 57 Milano, Media Press, inverno 1987 pp. 248, lire 10.000 Tisma A. Scuola di empietà edizjone. E/O, 1988 pp: 135, lire 18.000
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