Alfabeta - anno X - n. 113 - ott./nov. 1988

Karel Capek La vita e l'opera del compositore Foltyn Un "ritratto d'artista" ricco di umorismo e pensosità. «Narrativa» Pagine 124, lire 16.000 Roberta De Monticelli Il richiamo della persuasione Lettere a Carlo Michelstaedter Un carteggio immaginario diventa confronto etico. Una narrazione filosofica inattuale. "Filosofia» Pagine 116, lire 16.000 Capire Wittgenstein A cura di Diego Marconi, Carlo Penco, Marilena Andronico Dummett, Pears, Kenny, Black e altri. Un panorama spregiudicato e aggiornatissimo. "Filosofia» Pagine 352, lire 35.000 Joel Barromi L'antisemitismo moderno Da Voltaire ad oggi. Uno sguardo d'insieme contro l'oblio dilagante. dl Ponte» Pagine 144, lire 17.000 Collana di cultura sociale diretta da Achille Ardigò Bazzoli Luciano FeliceBalbo dal marxismoad "economiaumana" pp. 192, L. 15.000 Bianchi Giovanni Dallaparte di Marta. Per una teologiadel lavorolaico Presentazione di M.D. Chenu 2• ed., pp. 270, L. 18.000 Bianchi Giovanni Le ali della politi :a pp. 266, L. 19.000 Cipolla Costantino Religionee cultura, operaia • Introduzione di Achille Ard gò pp. 272, L. 12.000 Held Klaus Stato, interessie mondivitali. Per una fenomenologiadella politica a cura di A. Ponsetto pp. 248, L. 12.000 Prandi Carlo I dinamismidel sacro tra storia e sociologia pp. 182, L. 18.000 Morcelliana pçigina 28 che è geniale: l'artista è un nemico, e lo è tanto più in quanto autorizza il dubbio che «in ogni folle v'è un genio incompreso che ha suscitato sgomento con le brillanti idee della sua mente». Insomma, Artaud punta l'indice contro una società tarata, che ha inventato la psichiatria come strumento difensivo e normalizzante per ridurre la «diversità». Ma il punto più alto di quest'analisi - come osserva Alberto Castoldi nella sua introduzione - è quello in cui Artaud abbandona il pur legittimo schema polemico per mostrare Van Gogh come vittima della propria ricerca artistica: e qui si riprende la tematica sacrificale, proposta da Bataille. Il pittore che usa il proprio corpo come officina alchemica per trarne metamorfosi prodigiose. Il corpo dell'artista come laboratorio delle pulsioni. Corpo sacrificale, corpo glorioso, proiettato sulla tela non soltanto «nel fondo dei suoi occhi quasi depilati da macellaio» ma nell'energia senza nome che fa vibrare il volo dei corvi dipinti due giorni prima di morire. Al pari di Bataille, Artaud non ci presenta i frammenti martirizzati di un 'esperienza biografica ed extra-testuale, ma alcune componenti dell'Autore Modello, l'autore nell'opera. L'immolazione della vittima fornisce uno sfogo alla violenza, e restituisce l'ordine sconvolto (Girard): una volta compreso che è il corpo sacrificale dell'artista a mostrarsi nelle sue opere, si potrà giudicare se nell'omaggio di massa bisogna scorgere un fraintendimento oppure la partecipazione inconsapevole a un rito forse divenuto fievole e nondimeno universale. Chi giudica come sottilmente censoria l'attuale celebrazione di Van Gogh, troverà nei due scritti di Bataille e di Artaud l'occasione per riascoltare l'inquietante appello che proviene dalla sua pittura. E nella preziosa introduzione di Castaldi la possibilità di ripercorrere la storia di una medicalizzazione che quegli scritti hanno definitivamente scongiurato. A. Artaud - G. Bataille Il mito Van Gogh A cura di Alberto Castaldi Pierluigi Lubrina Editore Bergamo, 1987 pp. 94, lire 15.000 I Walser Eleonora Fiorani S olo coi piedi felpati possiamo accostarci ai Walser: solo se siamo disposti ad ascoltare con gli occhi possiamo sperare di capire il senso di una civiltà d'alta quota, alternativa a quella dominante, che ha saputo conservarsi. Conosciamo il rischio della cancellazione, ogni qualvolta ci accostiamo a tali mondi: temiamo il bisturi e l'arroganza della «grande» storia e di noi stessi, e la riduzione musearia di tutto ciò che è diverso. C'è nel libro di Luigi Zanzi e di Enrico Rizzi la consapevolezza di questo rischio e uno sguardo incantato per questa civiltà delle Alpi, insieme all'uso sapiente degli strumenti più raffinati della metodologia storica e filosofica. È questo che innanzitutto mi piace e mi affascina mentre mi inoltro seguendo il tracciato del testo nelle pieghe di questa civiltà su cui io stessa so cosi poco. E infatti i Walser sono una minoranza pressoché sconosciuta: sono un esempio non solo di dimenticanza, ma di deformazione e Cfr di cancellazione di tracce di civiltà. Non c'è una loro presenza neppure a livello folklorico e non solo nella grande storia nazionale. Non partecipano infatti del grande mito del meridione e della storia dei vinti e degli umili e della loro epopea. Ci accorgiamo che le Alpi e le civiltà di montagna non sono presenti nel nostro sapere: non c'è più il nesso montagna-civiltà e le Alpi sono ora, solo, luoghi del turismo e del naturale, non della storia, non della cultura. Per la difesa degli interessi antropologici e culturali dei Walser da più anni, la Fondazione Arch. sottile e ostinato metodologo della storia e delle scienze o meglio delle conoscenze: è portatore di una posizione di storicismo materialistico che qui è interessante osservare all'opera nel confronto con altre metodologie e nel rimontaggio delle strutture di una civiltà. Ciò porta innanzitutto Zanzi a rivendicare per i Walser la dignità della storia globale o una prospettiva di storia universale superando i limiti della storia locale. La localizzazione va pensata ed esercitata alla luce dei problemi della civilizzazione in questione. Non si tratta di fare la storia di un luogo, ma di Primavera - Estate 1988 Monti promuove Giornate internazionali di studi: Enrico Rizzi, che esamina, nella seconda parte del testo, le fonti, dirige appunto l'archivio Walser. Hanno cosi preso corpo le tracce di Walser che cominciano tra il VI e !'VIII secolo nell'Alto Vallese, ed è nella loro più massiccia migrazione del XIII secolo che si diressero verso i versanti meridionali nelle Alpi, in particolare verso il massiccio del Monte Rosa che è al centro dell'analisi di Luigi Zanzi. E Zanzi è osservatore incantato, magari, ma innanzitutto è un operare una sorta di «territorializzazione» o di «localizzazione», dei modi cioè in cui una certa civiltà ha risolto determinati problemi in relazione a un condizionamento territoriale. Viene così assunta l'ottica della geostoria secondo i tracciati di Braudel che del Mediterraneo ha fatto un soggetto storico. C'è dietro tutta la nuova geografia a partire del magistero di Vidal De la Blache. Solo cosi, osserva Zanzi, «si riesce congiuntamente a strappare la vicenda del Walser sia dalla 'marginalità' territoriale [... ] sia dalla cristallizzazione atemporale» delAlfabeta 113 l'esaltazione leggendaria (p. 66). Solo operando dunque una «contestualizzazione» è possibile ridare alle Alpi il valore di un «luogo» della storia (p. 78). Ed è possibile costruire per i Walser le «mappe» delle migrazioni, dei dissodamenti, della transumanza ecc. Solo allora i monumenti diventano documenti e cominciano a parlare il linguaggio delle civiltà. , E con i Walser siamo di fronte a una cultura che «non solo non ha scrittura, ma vive quasi 'senza parole'» (p. 330), perché in essa le parole non hanno funzione fondamentale. E si tratta allora di far parlare le cose, di far emergere· la memoria etnica o collettiva che è nel sistema di vita, nei gesti e nei comportamenti innanzitutto. Siamo giunti al nodo cruciale, quello della «modellizzazione»: si tratta di costruire un modello interpretativo capace di leggere i caratteri peculiari della civiltà dei Walser. Il principale pregiudizio rispetto a ciò, o meglio il modello da respingere, è secondo Zanzi quello che coniuga riduttivamente difficoltà ambientali e semplificazione di civiltà postulando una sorta di primitività. Zanzi mostra che le civiltà invece accettano la sfida dell'ambiente: ne possono anzi essere stimolate. E, nel caso di Walser, siamo in presenza non di una rarefazione di civiltà ma di un incremento di complessità. La loro economia è un'economia mista, e quello economico è solo l'aspetto macroscopico e più visibile di una straordinaria capacità inventiva di soluzioni che articolano la vita materiale nei diversi aspetti del quotidiano, degli attrezzi e dell'abitare oltre che delle forme architettoniche e degli istutiti giuridici. Tra le pagine più ricche di suggestioni del testo ci sono quelle dedicate al «camminare» come lavoro. Qui il gesto, ciò che appare spontaneo viene letto - è la grande lezione di Mauss - come effetto e prodotto della civilizzazione: qui un modo di camminare è rivendicato in tutto il suo spessore culturale e nel suo carattere inedito di lavoro, quando ci si muove tra le alte quote. Economia mista quella dei Walser, ci dice lo Zanzi, e recupera accanto all'aspetto rurale, l'attività «mercantile» nel senso critico svolto da Polany, connessa cioè ai traffici medioevali, non al mercato capitalistico. La storia delle Alpi si collega allora a quella della pianura. Appare in tutta la sua rilevanza un aspetto trascurato e travisato del Medioevo: la rivoluzione viaria. E i Walser hanno avuto un ruolo decisivo nell'apertura e creazione di passi: il più noto è quello del Gottardo, che va però inteso come «un 'nodo' di congiunzione centrale in una rete viaria complessa» (p. 200): «un intero modo 'obliquo'» lo definisce Zanzi che mette in questione l'immagine delle Alpi come «barriera», ne fa luogo di circolazione e invenzione viaria medioevale. È tutto ciò un contributo a una revisione critica del Medioevo. E un'immagine più flessibile della feudalità è data anche dall'istituto giuridico dell'affitto ereditario che sanziona una quasi proprietà, che regola i rapporti tra i liberi Walser e i signori delle valli e articola uno scambio tra autonomia e servizi. Sono queste solo alcune, poche, questioni tra le molte sollevate da Zanzi nella ricostruzione accurata dei diversi aspetti di questa civiltà, da quelli materiali, a quelli tecnici e a quelli della «mentalità» e della

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