Alfabeta - anno X - n. 113 - ott./nov. 1988

pagina 14 vi che il 'totalitarismo' ci ha lasciato in eredità» (p. 136). Non si tratta di assolvere Heidegger dalla sua «colpa» del 1933:1934 o dal silenzio da lui osservato, nel secondo dopoguerra, sull'Olocausto, ma di riprendere, a partire dalla sua vicenda (dunque, dall'interno della speculazione filosofica e della sua storia non certo lineare e pacifica), una domanda, per così dire, liminare, resa drammaticamente attuale dalle esperienze dei regimi totalitari: che ne è del politico? Quali sono le basi storico-filosofiche, i limiti e i bordi del(i) concetto(i) del politico che maneggiamo, talvolta quasi inconsapevolmente? Non vi è dubbio che queste sono questioni heideggeriane nella stessa misura in cui sono questioni nostre, perché designano la situazione storica in cui viviamo e il luogo del pensare (e perfino del praticare) il nostro rapporto con la politica in quanto possibilità di dire «noi». Ciò che, infatti, viene spesso dimenticato è che il famigerato discorso di rettorato ha un «tenore filosofico», poiché è «tenuto da un filosofo in qualità di filosofo» (p. 141): non è, pertanto, né una parentesi pleonastica né una «caduta» (simile a quella di Talete che suscitò il riso della servetta tracia). Lacoue-Labarthe dimostra che il discorso sull' «auto-affermazione dell'Università tedesca» s'inscrive a pieno titolo nel progetto heideggeriano di Essere e Tempo, volto all'instauratio fondamentale o ri-fondazione della metafisica. Nel proclamare la «missione spirituale del popolo tedesco», Heidegger rivendica la radicalità di un inizio che è alla base dell'intero sapere occidentale e che va recuperato nella sua connotazione dirompente originaria. «Questo inizio è l'irruzione della filosofia greca. In quel punto della sua storia, per la prima volta, l'uomo occidentale sulle salde fondamenta di una stirpe in virtù del suo linguaggio, fronteggia l'essente nella sua totalità e lo interroga e lo comprende come l'essente che esso è. Ogni scienza è filosofia, che lo sappia e lo voglia, oppure no» (p. 19). Questa identificazione dell'essenza della scienza, ossia del Sapere (das Wissen) nell'epoca della sua massima specializzazione, con la filosofia è un gesto profondamente «speculativo», che mette in gioco un'egemonia ben determinata, anzi, come precisa Lacoue-Labarthe, la questione stessa dell'«egemonia dell'egemonia»: in altre parole; chi guida, chi conduce, chi esercita (o deve esercitare) la Fuhrung? Chi guida coloro stessi che guidano? Domande radicali relative alla problematica (come noi diremmo) della legittimazione, domande senza dubbio «normative» che Pascal Acot Histoire de l'écologie PUF, Paris, 1988 pp. 285, FF 150 A. Toffler Le choc du future Belfort, Paris, 1987 Angelo Turco Verso una teoria geografica della complessità Unicopli, Milano, 1988 pp. 173, lire 20.000 L ' ecologia è indubbiamente l'evento storico e scientifico e il fatto sociale e politico più importante di questo scorcio di secol_palla sua fine. Vi si addensano i nodi teorici e metodologici più sottili che provengono dall'epistemologia delle scienze naturali e umane - vi si danno tutti i problemi delle società complesse e i mutamenti delle strategie del sociale e del politico. I pacchetti di Alfabeta Poggeler e Habermas non sembrano percepire. L'interesse - purtroppo passato sotto silenzio - del discorso di rettorato è che Heidegger fornisce delle risposte integralmente filosofiche a questo plesso di domande, anzi egli appresta la risposta della filosofia in quanto scienza nella sua essenza. Tale definizione della scienza, specificata quale «l'interrogante star-saldi nel cuore della totalità dell'essente che costantemente si cela» (p. 21), si colloca in linea retta nell'alveo dell'ontologia fondamentale di Essere e Tempo, dove la scienza è l'esistenza stessa (Existenz) o ek-sistenza. «L'e-sistenza - egli dice pressoché negli ossia la pre-comprensione dell'essere, e l'accadere dell'esistenza dell'esserci nel cuore del «mondo» - inteso, quest'ultimo, come la condizione (trascendentale) di possibilità del rapporto con l'ente ..:.s..ono un evento eminentemente «filosofico», il gesto per antonomasia del (proto )filosofo. L'ek-sistenza è la filosofia stessa, si schiude con essa: lo spazio della temporalità storica (e, quindi, lo spazio del politico) si inscrive in quell'atto - fratturante e inaugurale - che è la interrogazione filosofica. Già il par. 74 di Essere e Tempo aveva chiarito che l'essere-nel-mondo del Dasein, nella misura in cui è essere-con-altri e il suo acdopo il successo fra gli operatori ora è anche in edicola Li6~rinovi per la pri~a volta tutte le novità librarie mese per mese suddivise -per argomenti e autori con una sintetica descrizione dei contenuti redazione: La Rivisteria, via Daverio 7 20122 Milano - tel. 02/5450777 stessi termini in De~'essenza della verità - [... ] è l'es-posizione nella svelatezza dell'ente in quanto tale. Non ancora compresa, [... ] l'e-sistenza dell'uomo storico incomincia in quell'istante in cui il primo pensatore si mette a disposizione della svelatezza dell'ente, domandando che cosa sia l'ente».4 È tutta la metafisica del Dasein, attorno a cui Heidegger lavora dopo Sein und Zeit e che culmina nel Kantbuch, che viene riaffermata nel Discorso. Ciò che conta rilevare è che la trascendenza finita del Dasein, Dell'ecologia occorre dunque ricostruire la «storia» nel senso proprio della sequenza degli eventi in modo da verificare il nesso tra struttura teorica e concettuale e gli eventi appunto. Le ideologie allora si manifestano con il loro carico di immaginario e di socialità, di angoscia e di speranza, e con i loro inganni e fraintendimenti, ma anche con le loro «verità». Così, ci ritroviamo sorpresi e presi in contropiede: incappiamo in strani paradossi, quelli de-llafabulazione teorica appunto e della verifica storica. Ora l'ecologia è innanzitutto un evento della modernità più recente: è scienza novecentesca e i suoi inizi, le sue radici, sono in Humboldt, nella biogeografia, nelle ricerche sulle relazioni esistenti tra le vegetazioni e i climi, rese necessarie da più di un secolo di accumulo di materiali e dati delle spedizioni naturalistiche, marittime e terrestri, che hanno accompagnato il processo di colonizzazione. Non c'è Aristotele dunque, ma neppure Darwin, nonostante che Haeckel sia l'inventore del termine «ecologia» e l'abbia limpidamente definita cadere è accadere-con (Mitgeschehen), si specifica come «comunità di popolo» che condivide uno stesso destino ( Geschick). Scelta ancora una volta filosofica o, meglio, innervata nella logica stringente (e nascosta) dell'egemonia del filosofico sul politico. La trascendenza finita del Dasein come progetto delle sue possibilità è il Sapere stesso, che «è innanzitutto alla mercè della tracotante ultra-potenza del destino, e votato a fallire di fronte a essa» (p. 20). Proprio in questa permanente possibilità dello scacco - che qui Heidegger qualifica come in più testi e passaggi. E neppure c'è Linneo con la sua «economia della natura». Non c'è un rapporto di filiazione, ma piuttosto di «recupero» o di «ritrovamento» in cui concetti e teorie traslano di senso. E allora c'è, anche, una sorta di «filiazione» non diretta, non storica, ma di elezione o di presenza forte delle ideologie o di conseguenze profonde e impreviste di quei contesti teorici. È questo un aspetto e tratto della straordinaria storia dell'ecologia di Pascal Acot con volontà lucida di aprire le questioni; l'altro, quello che a me pare decisivo, è l'analisi dell'incontro strutturalmente importante dell'ecologia vegetale e animale con la termodinamica e con la cibernetica. Difatti, l'ecologia come scienza ha solo i suoi inizi in Europa, ma si struttura e prende realmente avvio come disciplina autonoma nella sua emigrazione americana, che costituisce quindi l'evento decisivo. Qui assume i suoi propri connotati. Vediamo anche bene il nesso tra storia interna (teoricoconcettuale) e storia esterna (la domanda Alfabeta 113 «impotenza creativa del sapere» (p. 20) - si legge l'originaria coappartenenza di filosofia e politica, consegnata al concetto greco di «teoria»: questa, lungi dall'essere mera «contemplazione» impotente, è piuttosto «il modo supremo dell'ÉVÉQYELad,ell'essere-al-lavoro dell'uomo» (p. 20). In questa concezione «energetica» e quasi plastica del rapporto con l'ente il Da del Dasein si rivela immediatamente archi-politico e archi-politico perché costitutivamente archi-filosofico, ossia luogo di quel «pathos che coglie chi si trova in prossimità dell'essente in quanto tale e preda del suo incalzare» (p. 20). L'inflessione nietzscheana - del Nietzsche della seconda Inattuale che, a partire dallo schematismo trascendentale di Kant, parla di bildende Kraft («forza formatrice») dei Greci - è più che evidente. La sinonimia .tra il concetto greco di «teoria» - nella cui ripresa deve consistere la «missione spirituale del popolo tedesco» e la volontà di potenza, l'«essere-allavoro» dell'uomo o, ciò che è la stessa cosa, la téchné viene così a essere assicurata. Prometeo è allora il primo filosofo, figura archetipica del sapere come tecnica. Pertanto, il tema della tradizione viene nietzscheanamente saldato al tema del «cominciamento»: solo attraverso la «ripetizione» (Wiederholung) o la imitatio di ciò che dei Greci è inimitabile (perché in seguito non ha avuto luogo) - ossia la frattura che ha inaugurato la storia occidentale - è possibile per Heidegger (almeno per lo Heidegger del 1933) risolvere la questione dell'identificazione nazionale e, più in generale, il problema dell'identificazione che il politico reca inevitabilmente con sé. E chi può dire che ancora oggi non sia guasto il problema fondamentale del politico? La fine dell'illusione nazionalsocialista del 1933 segna, come è noto, il crollo dell'ontologia fondamentale, ma l'egemonia del filosofico passerà indenne attraverso la Kehre. Perciò, nell'orizzonte dischiuso dal «totalitarismo» e dall'incontro tra la tecnica e l'uomo occidentale, il ritiro «aleteico» (dunque, filosofico) di Heidegger lascia aperta (im-pensata) la domanda epocale: che ne è del politico? Note (1) O. Poggeler, Den Fuhrer fuhren. Heidegger und kein Ende, in «Philosophische Rundschau», n. 1-2, 1985, p. 43. (2) M. Heidegger, La questione de/l'essere, in Idem, Segnavia, trad. it. Adelphi, Milano, 1987, p. 373. (3) R. Rorty, Brigands et inte/lectuels, in «Critique», n. 493-494, 1988, p. 467. (4) M. Heidegger, Dell'essenza della verità, in Segnavia, cit., p. 145. sociale, le istituzioni, le ideologie). L'emigrazione americana e la «fortuna» dell'ecologia hanno motivazioni di ordine economico e sostegni istituzionali ben precisi. Ci sono i bisogni legati alla colonizzazione delle stesse terre americane, la necessità dell'esplorazione delle loro possibilità agricole, la loro stessa immensità. E c'è un contesto scientifico e tecnico istituzionale: i botanici di stato che hanno l'incarico di un inventario geologico e botanico del paese. L'ecologia ha così la funzione di sondare le possibilità agricole di un territorio e le piante selvagge diventano eccezionali strumenti di informazione: sono un misuratore del suolo e del clima e un indicatore prezioso delle possibilità di sviluppo e di vita di altre piante e anche quindi di altri animali. E c'è l'impiego dell'ecologia anche nella lotta biologica che controlla un vivente tramite un altro vivente e nella colonizzazione del Terzo mondo e in particolare dell' Africa, di territori estranei e anomali rispetto all'esperienza europea e americana. Senza questi «usi» dell'ecologia, questi

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