Alfabeto 112 alfa bis. 3 pagina Vll Psichiatrianella • o~a: tra abbandono e attesa 1. La crisi del paradigma asilare, le esperienze di psichiatria comunitaria seguite alle pratiche anti-istituzionali degli anni sessanta, la successiva emanazione della legislazione del 1978 che accoglie la proposta di un rinnovamento radicale e dà il via e generalizza una nuova operatività centrata sul «territorio», assumendone come fondamento una innovata concezione della «follia». La permanenza «residuale» del paradigma asilare in alcune pratiche ed in alcune ri-proposizioni teoriche; la esplosione di modelli paradigmatici che ha fatto seguito alla «rottura» di cui si diceva ed alla nuova normativa. Sono queste le premesse necessarie a guidare una ricognizione dello stato di attuazione della legge di riforma psichiatrica, e costituiscono lo sfondo in cui inserire le cose che andrò dicendo. L'applicazione della normativa vigente appare dappertutto (nonostante il diverso impegno espresso dalle varie regioni nel dotarsi di strumenti di regolamentazione autonomi) caratterizzata da una situazione a «pelle di leopardo», che corrisponde ad una variegata articolazione di modelli teorici e di modalità operative. Questa molteplicità corrisponde anche alla impossibilità di individuare, al momento attuale, un paradigma «forte» in grado di produrre una nuova unificazione, sia al livello teorico che pratico. Quella attuale si caratterizza, dunque, come una fase di «ricerca», e la diversificazione delle esperienze contiene, a mio avviso, potenzialità imprevedibili di sviluppo, offrendo un campo di sperimentazione e di confronto molto ampio, rendendo possibile l'utilizzo e il vaglio di diverse chiavi di lettura, di sempre nuovi punti di vista. Esistono, evidentemente, e non è mia intenzione sottacerle o minimizzarle, molte, troppe, situazioni in cui la legge è semplicemente non applicata (come ad esempio in molte aree del Sud Italia); ma si tratta di situazioni illegali, ed è compito dello Stato intervenire a modificarle; la loro denuncia a livello di opinione pubblica è purtroppo poco praticata, visto l'orientamento attualmente maggioritario che tende alla denigrazione delle possibilità della nuova organizzazione, piuttosto che ad una ricognizione attenta e corretta dello stato delle cose. Mia intenzione è, in questa occasio~e, riflettere su alcune condizioni di rischio, comuni a molte situazioni, in cui comunque si cerca di, o si pensa di applicare la legislazione vigente. Non mi soffermerò sulla descrizione della situazione pratica in cui opero/ ma tenterò di illustrare alcune preoccupazioni che nascono dalla mia esperienza diretta e dalla conoscenza. sia pur indiretta, di altre situazioni operative. 2. Immediatamente dopo la emanazione della «nuova» normativa si è fatto un gran parlare (vocìo che continua tuttora) intorno ai problemi connessi con l'abbandono, inteso in prevalenza come la mancata risposta, da parte della organizzazione territoriale, alle situazioni «gravi», nuove e vecchie, dopo la chiusura dei manicomi. Su questo tema, la giusta attesa di risposte efficaci presente nei familiari e nei cittadini in genere, è stata ampiamente strumentalizzata ed è stata piegata al servizio di una ipotesi di restaurazione - tout court - del modello asilare. Vengono denunciate, non senza ragione, la mancanza di luoghi adatti a rispondere alla nuova, oltre che alla vecchia cronicità, la impossibilità di ricevere risposte efficaci e tempestive alle situazioni di crisi; si travisa, spesso con la complicità dei tecnici, la possibilità di aver garantite cure ospedaliere per il tempo necessario. Nel contempo si scotomizza la latitanza dello Stato e di molti Enti Locali nei confronti della applicazione della legge, per cui le risposte impegnate nel settore sono risultate ridotte proprio nel momento in cui erano necessari investimenti per nuovi servizi ... Ma di questi aspetti del problema si è tanto discusso che credo si possa, su essi, sorvolare. Ciò che mi preme segnalare è, invece, un altro tipo di abbandono, la cui emergenza rappresenta il più grave tradimento dello spirito della Riforma, nonché delle motivazioni ideali e tecnico-culturali che avevano ispirato le lotte anti-istituzionali. Mi riferisco all'abbandono in cui versa, quasi dovunque, la popolazione ancora presente negli Ospedali Psichiatrici, quella che, con una espressione veramente infelice, ma significativa, viene definita «residuo manicomiale». La terminologia utilizzata esprime, come sempre, la ideologia e la pratica che sottendono e determinano una certa realtà; nel caso in questione, emerge la assoluta concreta marginalità e residualità in cui il settore è venuto a trovarsi. È nei confronti di quei criteri che i Servizi esprimono il massimo di abbandono; si tratta di un fenomeno presente ubiquitariamente anche nella Regione Toscana in cui opero, nonostante l'enfasi riservata, nella legislazione regionale, ai progetti di superamento degli OOPP. Il rischio maggiore è che, aldilà delle dichiarazioni di principio, il problema degli OOPP non trovi più spazio nella riflessione e nell'impegno di tecnici, politici e amministratori, oltre che dei cittadini, e venga dunque a configurarsi come residuale anche nelle menti, oltre che nelle pratiche agite. Dopo la promulgazione della nuova legislazione si è venuto a creare, in molte situazioni manicoVincenzo Pastore miali, un notevole depauperamento di risorse, sia in termini di personale (trasferito nelle varie sedi territoriali) sia in termini di investimenti finanziari, sia, ancor più, in termini di attenzione e di impegno tecnico-politico. È quasi sembrato che la dichiarazione di «non terapeuticità» degli OOPP, e quindi di blocco degli ingressi, abbia come congelato qualsiasi iniziativa di superamento attivo degli OOPP, evento che sembra delegato, per il suo verificarsi, alla forza della natura, cioè alla inevitabile riduzione del numero degli ospiti legata alla mortalità. Né la privazione di risorse interne è stata compensata dall'impieto occultato, costituiscono un segnale inquietante, giacché alludono alla persistenza della cultura manicomiale, contro cui si era per anni lottato. Quanto detto finora è senz'altro schematico e, forse, un po' massimalistico, ma sono convinto che il problema sia reale, e che vada riassunto come centrale nella pratica e nella riflessione, pena la perdita di credibilità per qualsivoglia progetto di reale trasformazione della assistenza psichiatrica. 3. A questo livello si impone una riflessione approfondita: se non vi può essere alcun dubbio che comunque, in conseguenza della legge di riforma le condizioni di esercizio della assistenza psiFoto di Alfonso Zirpoli go delle équipes territoriali, che avrebbero dovuto impiegare parte delle risorse disponibili a favore della popolazione residente negli OOPP di competenza, in vista del rientro nelle comunità di origine. Ne deriva che la situazione a livello di molti OOPP è tornata a livelli di manicomialità-complessivamente intesa - che nessuno avrebbe mai potuto immaginare tra gli esiti della Riforma. La illusione del potere «magico» della parola ha forse agito in molti, facendo assumere come realtà il superamento dell'Ospedale, per il solo fatto che ne era stata sancita la obbligatorietà. La persistenza in queste forme dei «residui» manicomiali, questo abbandono tanto più pericoloso in quanchiatrica siano generalmente progredite, ritengo non sia ozioso interrogarsi su quali siano le linee di tendenza e quale la corrispondenza tra ciò che si verifica nelle realtà operative e ciò che nella legge è prefigurato come obiettivo della riforma. La comprensione della attualità può risultare senz'altro più completa da una ricostruzione, sia pure schematica, dei percorsi che hanno determinato la situazione attuale. Usciti dai ghetti degli OOPP, in cui erano essi stessi vittime, oltre che carnefici, gli operatori della psichiatria hanno dovuto confrontarsi con una realtà del tutto diversa da quella precedentemente agita, o nel caso di nuovi operatori, . da quella appresa nelle aule delle Università o nelle corsie delle Cliniche Universitarie e degli Ospedali. Non era, peraltro, possibile far riferimento a modelli consolidati di intervento, se non a quelli costituiti dalle cosiddette «esperienze avanzate» (nerbo del movimento antistituzionale che aveva ispirato la legge) che aveva di fatto anticipato la Riforma. Ma, contemporaneamente, si andava verificando un fenomeno paradossale: la emanazione della nuova legislazione coincise con la flessione della funzione di egemonia culturale e pratica fino ad allora esercitata dal movimento antistituzionale; quasi che la legge, avendo in qualche modo incorporato i contenuti da esso promossi, lo avesse omologato al resto delle situazioni, e ne avesse sterilizzato le capacità di alternativa. e di carica progressista. La situazione di generale controriforma, sia politica che culturale che si venne configurando dopo il 1978, contribuì, insieme ad altri fattori,2 a ridurre il peso di quelle esperienze, e favorì il rifluire di molti intorno ai modelli forniti dalla cultura medica tradizionale, cui la psichiatria era stata in parte assimilata, attraverso l'inserimento del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura all'interno dell'Ospedale generale. Di fronte alla proposta - fortemente innovativa per tutta la medicina - di rompere la separazione che l'aveva caratterizzata lungo tutto il corso della storia, di aprirsi al rapporto con il sociale, in esso dovendo trovare legittimazione e radicare il suo intervento, di fronte dunque alla proposta di messa in crisi del modello clinico tradizionale, separato e separante, normativo e riproduttore di malattia, di cui la psichiatria manicomiale aveva rappresentato la esemplarità, la cultura medica ha reagito ricompattandosi intorno alla difesa dei suoi tradizionali fondamenti, ricacciando fuori di sé ogni riscliio di «contaminazione». Questo ricompattamento ha esercitato livelli di suggestione anche su una parte della psichiatria: ne è derivata, in taluni casi, la organizzazione di servizi territoriali solo apparentemente tali: dove il «territoriale allude di fatto alla collocazione degli ambulatori, o alla collocazione dei Servizi Psichiatrici all'interno dell'Ospedale Generale. Si è così venuto definendo - tra gli altri - un modello di psichiatria che si può definire di «attesa», mutuato dal funzionamento della medicina clinica, in cui l'assunto e l'aspettativa sono che il paziente si presenti al Servizio, e solo in questo caso venga preso in considerazione. Una logica mutuata dall'esercizio delle libere professioni, fondata appunto sul «libero» contratto tra cliente e professionista, e sulla possibilità di selezione da parte di questo ultimo nei confronti del
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