Alfabeta - anno X - n. 112 - settembre 1988

pagina W P er alcuni anni ho lavorato come psichiatra in manicomio e nei Servizi Territoriali, poi ho cambiato e ho lavorato, e lavoro, come ricercatore, come epidemiologo della psichiatria. Forse qualcuno crede che si tratti di due sguardi, quello qualitativo e quello quantitativo, in qualche modo in alternativa, l'uno con l'altro escludentesi. Non è così. Si tratta di un luogo comune alimentato da cattivi psichiatri e da cattivi ricercatori. O forse di un equivoco. C'è, è vero, dentro la psichiatria una opposizione insanabile ma essa non va confusa con il «doppio» costituito dalla relazione quantitativo-qualitativo. L'esistenza di un doppio (la quantità e il suo doppio oppure, se volete, la qualità e il suo doppio) non presuppone l'automatica esistenza di una opposizione. L'opposizione sta da un'altra parte ed è fra il quantitativo e il qualitativo d'un lato e il categoriale dall'altro. O, da un altro punto di vista, fra la complessità e la semplificazione. In realtà, molto spesso la semplificazione, l'ordinamento categoriale dei fenomeni si presenta sotto le spoglie di una illusione quantitativa. Quando ero giovane psichiatra guardavo con curiosità, dietro la scrivania del direttore del manicomio ove lavoravo, una enorme tavola millimetrata con rappresentata la curva degli ingressi in Ospedale. Si trattava dell'unico vestigio di «quantitativo» all'interno della cittadella misera e violenta, patetico memento per tutti che eravamo uomini di scienza, che dietro all'immobile e sinistro quotidiano del manicomio avrebbe dovuto stare una ratio scientifica. Quasi che il numero di per sé e non il metodo costituisca la garanzia di un procedimento di scienza. Così, del resto, è stato per la craniometria: la misura (non importa di che e perché) istituisce lo statuto del quantitativo e poiché il quantitativo è la «cifra» della scienza, la misura è scienza. Ciò che invece rappresentava quel grafico nel mio ospedale, o le misure craniometriche, erano classi semplici di fenomeni, traduzioni numeriche di categorie, di riduzioni, di negazioni della complessità. La nozione che forse più pienamente esprime l'idea di categorizzazione-ipersemplificazione in psichiatria è la diagnosi. L'interesse del discorso sulla diagnosi è notevole per capire la opposizione fra qualità-quantità e categorizzazione; infatti la diagnosi esprime il massimo della semplificazioQ~ e il massimo della complicazione contemporaneamente, esprimendo il minimo della semplicità ed il minimo della complessità. Immaginiamo infatti che da un lato stiano il complesso-semplice, (elementi complementari, non oppositivi, il primo correlato al qualitativo ed il secondo al quantitativo) e dall'altro stiano il complicato-semplicistico, tipica coppia di nozioni complementari di molta psichiatria. Se infatti riflettiamo bene e distribuiamo su una retta le infinite diagnosi della psichiatria e su di un'altra parallela i pochi strumenti di cura e su di una terza, pure parallelà gli esiti possibili, osserveremo come non vi sia affatto una congruente corrispondenza fra lè molte diagnosi, gli interventi e gli esiti. In altre parole la Diagnosi non costituisce né un informatore di strategie né tampoco un imprenditore di esiti. Alla iper complicazione (opposto della complessità) corrisponde un semplicismo di alfa bis. 3 strumenti, una ignoranza prognostica. Vediamo bene come l'opposizione non sia fra qualitativo e quantitativo ma fra riduzione classificatoria e complessità. L'opposizione fra il modello di malattia mentale come Brain Disease e come Mind Disease è il tipico frutto di procedimenti cateOtello Sarzi fotografato da Alfonso Zirpoli gorizzanti - semplificanti - riduttivi. Evidenze parcellari vengono assunte come esplicazioni complessive, metodiche di indagine veritiere e utili in un microscenario vengono trasdotte in ogni scenario. È nel rapporto con la complessità che la categorizzazione semplicistica della psichiatria mostra la sua riduttivistica fragilità. Finalmente si perde la falsa oppos1Z1one fra qualitativo e quantitativo. Gli studi di epidemiologia sui non responders ai trattamenti con antidepressivi sono un esempio di come evidenze quantitative possono costringere a una radicale revisione delle convinzioni diagnostiche. L'ipotesi semplicistica (e di natura classificatoria-categorica) secondo cui le depressioni maggiori sono responders ai farmaci e le depressioni minori (o secondarie) non responders è messa continuamente in crisi dalla consistente frazione {30-50%) di popolazioni di depressi non responders. Inoltre le evidenze degli studi di Brown e Harris mostrano come in una percentuale assai superiore a Alfa beta 112 quella dei soli depressi maggiori sia dimostrabile la esistenza di uno stressfull /ife event (in contrasto con l'idea per cui solo le depressioni secondarie sarebbero in relazione a un evento di vita esterna, essendo invece le depressioni maggiori imputabili ad una sregolazione biologica indipendente da variabili esterne). Cade ogni opposizione fra Brain Disease e Mind Disease, vacilla l'impianto diagnostico per cui essere depressi maggiori o depressi secondari non costituisce una previsione alla risposta ai trattamenti. Ma se come in questo caso è il quantitativo a fornire illuminazione al qualitativo, è pure vero il contrario. Tutta la fertile letteratura epidemiologica sui /ife events esiste in quanto è esistita prima una pratica psithiatrica che si è interrogata sulle correlazioni fra malattia e vita. A ben riflettere la stessa dizione «eventi di vita» è interessante in quanto è la prima volta che nel linguaggio della ricerca si utilizza la parola «vita». Dalla psichiatria fenomenologica esistenziale di Binswanger e Minckowski, attraverso la lezione di Kurt Schneider e l'opera di Franco Basaglia si assume la vita come variabile di indagine. Nei luoghi ove non c'è vita, i manicomi, quali /ife events possono determinare il percorso della patologia? È con l'aprirsi della Istituzione Chiusa che prende senso interrogarsi sulle correlazioni fra malattia e /ife events. Quando il paziente riacquista voce, spessore d'esistenza, assume senso l'indagine scientifica sulla malattia. Qui al cor;trario che nell'esempio di non responders, il qualitativo ha camminato più rapido del quantitativo, lo ha messo così in condizione di arricchire il proprio ambito di indagine. Assumere la complementarietà di quantitativo e qualitativo significa porsi in una condizione di incertezza, di rinunce e rassicurazioni semplificate. Innanzitutto rinunciare a modelli causali. Il fisico Bohr già nel 1949 annota «è necessario alfine rinunciare alla idea classica di causalità, è necessaria una revisione radicale del nostro atteggiamento verso la realtà fisica». La rinuncia al ragionar per cause ma per associazioni implica anche in psichiatria una radicale revisione. Rinunciare a pensare che il Brain Disease causi i Problems in Living o il contrario determina un set più complesso non solo concettualmente ma anche metodologicamente. Il rapporto fra le tante molecole della farmacologia, i tanti meccanismi d'azione e i pochi effetti terapeutici può essere letto in termini di ignoranza del clinico nel cogliere differenze d'effetto «attese» dalle differenze di meccanismi oppure, e sembra più che ragionevole, in termini di impossibilità-scor-

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