Alfabeta - anno X - n. 112 - settembre 1988

Alfabeta 112 deusz Kantor usa per i suoi «imballaggi» parole pertinenti «bisogna nascondere l'oggetto per preservargli un futuro, messaggio affidato al mare in una bottiglia. Questo è il comportamento nel tempo del pericolo, il comportamento del pericolo». Credo che il C.S.M. sia questo imballaggio in mostra, questa istituzione provvisoria e inventata (come le Panchine di neve di Bertolt Brecht). 2 Sempre Kantor ha detto: «I politici oggi non sono responsabili, le autorità non sono responsabili, ma l'artista, lui deve essere responsabile. Sì soltanto l'artista è responsabile, questi sono i tempi». Credo che questo non valga solo per gli altri, ma anche per noi che ci riconoscemmo e ancora oggi nell'analisi del Plaidoyer di Sartre, tecnici del sapere pratico. Quella lezione filosofica si incontra oggi con tutti i portati delle scienze avanzate, la complessità del/'oggetto implica non analisi, ma progetti, progetti di trasformazione attraverso i quali è soltanto possibile ottenere conoscenze. Questi progetti (l'invenzione e i suoi risultati cognitivi) devono riguardare contemporaneamente l'universo delle istituzioni e le particolarità singolari degli individui che giungono ai servizi. Forse oggi assume nuovo senso per noi e consapevolezza quel che Musil ci ricordava «non lasciamoci ingannare dagli atteggiamenti di copertura, dalla compassione, dall'impegno sociale e dalla ammiccante maschera salvifica del medico. L'interesse scientifico per i fenomeni è un interesse diretto, che cerca il sapere». Ancora Galimberti: «noi sappiamo che l'autonomizzazione dello psichico non fa che raddoppiare l'autonomizzazione del fisico su cui a partire da Cartesio si è costituita la scienza. Psicologia e biologia, per soppravvivere perseverano nella lacerazione del corpo, nella presupposizione fondamentale della dualità che oggettiva il corpo, come residuo per far vivere l'anima sulle cui sorti ha un tempo prosperato la religione e oggi la psicoanalisi. Il corpo ridotto a puro organismo non è più reale dell'anima psicologica o spirituale: entrambi risultano da quell'attrazione che si è alimentata col dissolvimento del simbolo e con le due grandi metafisiche complementari: quella 'idealista' dell'anima con tutte le sue variazioni religiose morali, psicologiche, e quella 'materialista' del corpo con i suoi prolungamenti biologici e sociologi». 3 Si dice che fummo disattenti al biologico, che fummo disattenti alle psicodinamiche. Direi che ne fummo fin troppo attenti, ma di quel che in verità ci si accusa siamo sì colpevoli: di non accettare la subalternità all'autonomia del biologico, né all'autonomia dello psichico,4 né (e alla fine di questo ci si accusa) all'autonomia del sociale e del politico. Allora l'istituzione inventata sull'oggetto «esistenza sofferente del corpo in rapporto con il corpo sociale» è fatta di servizi che rotta la separatezza del modello medico e cogliendo in quello psichico gli idèntici vizi del modello biologico, entrino a pieno titolo nel territorio delle ingegnerie sociali come motori di socialità e produttori di senso e siano a tutto spessore interferenti . con la vita quotidiana, le quotidiane oppressioni, momenti della riproduzione sociale possibile, produttori di ricchezza, di scambi plurimi e perciò terapeutici.5 Allora terapeuticità è l'intenzionalità dei servizi che siano intermediari materiali, capaci di rimettere in movimento scambi sociali bloccati, di raccogliere e valorizzare dislocandoli, deistituzionalizzandoli per paradosso, i sintomi, i simboli, i sensi plurimi del paziente. Accettare questa sfida della complessità dei molteplici piani dell'esistenza e non riconducendo il soggetto a malattia o a disturbata comunicazione o a povero e basta o autonornizzandone il corpo o la psiche, ma reinserìvendolo nel corpo sociale. Se il senso e il simbolo sono dati per solito come sintomi, come reificata immagine, oltre un certo limite che oggi è paurosamente ridotto, occorrono laboratori di riproduzione che rivelino gli scopi, occorre cioè un sociale inventato per una socialità altrimenti assente, ma un sociale contaminato, che del luogo del massimo di contaminazione viva e che sia luogo di rivalorizzazione di gente, di fatti, che se no ripiegano a sintomo. L'istituzione inventata, l'istituzione della contaminazione, privilegia l'oggetto povero, ma non· solo a esso è destinato. «L'oggetto povero, il povero, è quello privato, sempre, delle funzioni specifiche della vita quotidiana, lo si getta nel bidone della spazzatura. Sta per essere buttato nei rifiuti. È lì sospeso tra l'immondezzaio e l'eternità: il luogo dei rifiuti è l'ultialfa bis. 3 mo scalino della realtà e l'eternità che è l'ultima soglia della nostra vita» (T. Kantor). Forse perché non è più scambiabile e rientra nel mondo dell'uso, o del non uso, ma in esso si deposita la sua storia. La dura guerra contro le istituzioni decontaminate inutili o nocive, frutti dell'igienismo medico-tradizionale implica che l'istituzione inventata che fa rivivere la ricchezza dell'oggetto povero, sia fatta di attraversamenti. 5 ... Avremo, per questo, bisogno Otello Sarzi fotografato da Alfonso Zirpoli per una pratica terapeutica, di artisti, uomini di culturà, poeti, pittori, uomini di cinema, giornalisti, di inventori della vita, di giovani, di lavoro, feste, gioco, parole, spazi, macchine, risorse, impegni, oggetti plurimi, loro incontro. Ne abbiamo avuto a Trieste e questa è la nostra fiducia. Tornando a Sartre: «Tutti coloro che a partire da oggi aderiscono al punto di vista universalistico sono 'rassicuranti'; l'universale è fatto da falsi intellettuali. Il vero intellettuale cioè colui che si coglie nel disagio inquieta: l'universale umano è da fare». «E non si può fare», che a partire dalle singolarità degli individui. Da pratiche diverse, fare, inventare, rappresentare, ricostruire i rapporti tra sfere che tendono ad autonornizzarsi, come nella schizofrenia del singolo, così in quella generale. Noi non pÒssiamo che far questo: rappresentare per agire. Ma come ci ricorda ancora Musil: «Rappresentare una cosa significa rappresentare i suoi rapporti con cento altre cose. Perché è oggettivamente impossibile fare diversamente. Perché non c'è altro modo per fare diversamente. Perché non c'è altro modo per rendere comprensibile, percepibile una cosa, qualunque essa sia. E anche se queste cento cose altre fossero a loro volta oscene o morbose i rapporti con esse non lo sono, e la scoperta dei rapporti non lo è mai.» Note (1) La «questione terapeutica» è parte della «questione sociale», come la ambivalenza riconosciuta del corpo individuale è l'apertura al corpo sociale. (2) Ci si dice (mass media) che fummo contrari a luoghi di ospitalità (centri crisi, luoghi di vita ecc.) in omaggio ad una mistica dei territorio. I nostri centri sono qui a Trieste da 10 anni a dimostrare l'infondatezza totale di questa accusa. Ci si è accusati di voler rinviare a un generico sociale il problema. Siamo in realtà qui da 15 anni a intermediare una consapevolmente infinita e notoriamente interminabile restituzione. Durante il Convegno inaugureremo per la seconda volta un centro di salute mentale con letti funzionante a 24 ore. La prima volta fu inaugurato 10 anni fa; oggi, restaurato in questi ultimi mesi riapre. Ma per noi si è sempre trattato di «istituzioni per la deistituzionalizzazione». E in tutti questi anni abbiamo esteso la nostra intermediazione al carcere, alle perizie, alle giuridiche tutele e abbiamo costituito cooperative, luoghi sociali, effimere estapagina III ti, permanenti laboratori, intanto che i nostri censori scrivevano. C'è un nonsenso in voga «Il buon servizio è quello vuoto». Credo che il buon manicomio sia quello vuoto, il byon servizio sia quello pieno. Quel che accade da Salonicco a Montreal è che si possono vedere (pessimi) manicomi pieni, e (splendidi) centri di terapia familiare o di salute mentale, vuoti. In un buon centro di salute mentale si affollano, incrociano, moltiplicano le domande come avviene nel mercato (scambi). (Che questo sia l'indicatore migliore di un buon servizio deriva dalla domanda: se no perché la gente ci andrebbe) né esiste per me un centro di salute mentale più bello di un mercato in Senegal o a Marrakesh. Vorrei capire meglio il perché, ma certo c'entra il fatto che le classi sociali si mescolano, scambiano gli individui, si guardano, giocano e lavorano (e possono essere anche molto pazzi). È uno dei pochi posti, un buon mercato, dove il corpo sociale si riconosce, esiste intero ed è difficile per tutti sfuggire al fascino del suo brulicare (del mercato e del corpo). Dove ci si singolarizza attraverso la partecipazione. (3) Strano destino quello della psichiatria, per il q_uale, incomprensibilmente assume dignità scientifica e plausibilità terapeutica la parola e non l'assume l'azione; il colloquio può essere terapeutico ma non il fare un film insieme, cambiar casa, far teatro o leggere insieme poesie, cambiare lavoro o ottenerne uno nuovo, iscriversi ad un partito od uscirne, comprarsi un vestito nuovo o litigare, andare in barca o intervenire in un'assemblea, avere degli amici o una nuova idea, avere una risposta al proprio bisogno di valore, poter esprimere un sentimento anomalo, usare la propria malattia come un vestito, un modo di comùnicare, di dissentire o di dislocarsi, senza per questo essere istituzionalizzati in un'identità senza valore sociale, abbandonati a se stessi o fatti casi clinici. Per la psichiatria (in particolare per quella che oggi con termine un po' comico si chiama hard) chissà perché tutto ciò non ha valore terapeutico in senso forte. (4) Anche il divano è un'istituzione inventata, ma per un oggetto tutto interno all'autonomia dello psichico, ad una singolarità psicologica prima semplificata, poi resa infinitamente complessa (e perciò seducente). Qui la semplificazione originaria rende dubbio quanto ne procede e l'igienismo del setting, come quello ambulatoriale è non solo un modo della pratica ma è costituito dell'episteme psicoanalitico. «Le stesse teorie psicodinamiche, che pure hanno tentato di trovare il senso del sintomo attraverso indagini dell'inconscio, hanno mantenuto il carattere oggettivo del paziente, anche se attraverso un tipo diverso di oggettivazione: oggettivandolo cioè non più come corpo, ma come persona» (Basaglia, L'istituzione negata). (5) L'osservazione che ci viene da più parti (v. «Mondo Operaio») di un nostro presunto amore per lo statalismo e disprezzo per il privato ci stupisce. Da 15 anni abbiamo animato cooperative di servizio, deistituzionalizzando servizi pubblici. Siamo sempre stati coscienti delle grandi potenzialità del privato sociale. Non crediamo invece alle presunte stimolazioni di una «concorrenzialità» tra pubblico e privato. Crediamo fermamente invece alla necessità di deistituzionalizzazione del pubblico, deistituzionalizzazione che non ha nulla a che fare con la deregulation così come nulla a che fare con la deospedalizzazione amministrativa. La questione è che occorre demolire la burocratizzazione, l'inerzia, la compartimentazione, l'irresponsabilità del Welfare, non il Welfare, vanno demoliti i controlli burocratici e partitici, vanno valorizzate responsabilità a tutti i livelli, libera iniziativa, produttività, singolarizzazione e professionalità. Più mercato nello stato (molto più mercato) se questo significa produttivizzazione dell'utenza, suo protagonismo, e autonomia e responsabilità degli operatori, dinamizzazione dei ruoli e delle funzioni. Questa è deistituzionalizzazione e insieme produzione di ricchezza processo possibile di soggettivazione,. Welfare altro.

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