Alfabeta 112 Prove d'artista pagina 37 I nostriamiciromeni La poesia romena di oggi Marin Sorescu Testo, in traduzione simultanea a cura di Marco Cugno, dell'intervento fatto al «Dialogo italo-romeno» su La poesia nel contesto odierno della cultura dell'immagine e dello spettacolo (Centro Italo-Romeno di Studi Storici - Milano 2-3 giugno 1988). Il 31 maggio, Sorescu aveva partecipato a un seminario sulla poesia romena contemporanea, organizzato da Marco Cugno, presso la Facoltà di Lettere del/'Università di Torino. Durante il viaggio in treno, da Torino a Milano, ha scritto l'intervento. I nizierò con una poesia intitolata La parola: «Al principio/ era la parola/ e nello stesso tempo/ la parola era anche/ portavoce di se stessa». La poesia è questa. Le mie parole, ho voluto dirlo fin dall'inizio, sono portavoce delle mie parole. La strada più breve da me a voi, fatalmente soggettive e incomplete. Ho cercato spesso di essere oggettivo e scientifico, ma ho avuto pietà di me: perché cambiare? Il poeta (nel frattempo il treno è partito) deve continuare a essere la parte dolorosa e non scientifica dell'iceberg che si muove all'interno e crolla in se stesso. Che cosa significa la poesia oggi, 2 giugno 1988? Significa ciò che significava anche l'anno scorso, 2 giugno 1987, e un secolo fa e mille anni fa. Molto poco. Cosa può fare la poesia? Quasi nulla. Dicevo alcuni anni fa, in un saggio: la poesia non può né scatenare la guerra, né portare la pace, Avrei fatto da allora cento volte la pace in tutti i punti nevralgici del globo con la mia poesia, se avessi potuto. Non sono stato in condizione. La condizione di non essere in COf!dizione,l'incapacità della lirica di pesare sul mondo: in questo sta la forza della poesia, perché ha comunque una forza, una forza magica, che non si lascia costringere, vendere, comprare, barattare, dare in uso. Arrivo, dopo questa diversione, alla poesia romena di oggi, atterrando negli anni sessanta, quando io stesso cominciai a divenirne parte costitutiva. Mi guardavo allo specchio e mi vedevo giovane: com'era bello! (C'è una barzelletta che dice: «Com'era bello ai tempi di Stalin. Avevamo trent'anni in meno!») L'emblema della mia generazione era una formula trovata da Nicolae Labis, poco prima della sua morte prematura (1956): La lotta contro l'inerzia. Che cosa voleva dire allora? Opporsi al modo anchilosante, retorico, fatto di slogan, di vedere il mondo, le cose, attraverso la poesia. Cambiare la macchina per fabbricare versi festevoli, pur se intrisi di grandi idee, che però avevano perso il loro valore per il modo impersonale e insincero in cui erano trattate; cambiare dunque questa macchina per fare poesia con una piccola penna particolare, di proprietà privata (si combatteva allora molto attivamente la proprietà privata). «A mutare ora, la prima volta,/ la zappa in penna e il solco in calamaio/ i vecchi adunarono tra i buoi/ sudore di lavoro secolare», aveva detto Arghezi molto prima, intorno al 1927. Per il momento, egli era il classico in vita quasi vietato. Noi dovevamo cambiare la macchina in penna e mantenere a ogni costo il solco come calamaio. Noi. Noi chi? La situazione era questa: i grandi poeti del periodo interbellico non li avevamo a portata di mano. Devo precisare che, dopo la conquista romana del 106 e dopo la grande pax romana che durò circa centocinquant'anni, i romeni ebbero periodicamente un periodo che si chiamò «periodo fra le due guerre». Questo periodo dura di solito venti-venticinque anni (da non confo11derecon la periodicità dei terremoti, che arrivano ogni quarant'anni). Perché vengono gli unni, i goti, i tartari, gli avari, i visigoti ecc. A turno o tutti insieme. Per circa cinquecento anni fummo più al riparo: come Dio volle, non vennero che i turchi. Il periodo tra le due guerre a cui mi riferisco è quello compreso tra il 1918 e il 1940, dunque tra la prima e la seconda guerra mondiale. Ci siamo dunque abituati, come romeni, a fare tutto in fretta, ad avere in vent'anni un'antichità, un medioevo, un rinascimento, un illuminismo, un classicismo, un romanticismo e un lungo periodo di decadenza. Poi viene la guerra, cancella tutto, insieme con la vita dei nostri padri, e si ricomincia tutto daccapo: antichità, medioevo ecc. La seconda guerra fu molto più energica per noi: ci spostò dall'Europa non so dove - il cosmo non era ancora stato inventato: non eravamo più né daci, né romani, né romeni, né niente che somigliasse almeno un poco a noi. Eravamo diventati, da un giorno all'altro, solo «internazionalisti», «proletari», che lottavano disperatamente per la pace in un pianeta indifferente, a cui poco importava di noi. Ci eravamo allargati a tal punto da perdere la nostra identità. Di qui dovremmo partire noi, la generazione 60. I grandi poeti erano alcuni morti, altri «contadini» (come dice Ion Barbu), alcuni in prigione, altri vietati. Arghezi, Blaga, Barbu, Voiculescu, Pillat, Nichifor Crainic, Adrian Maniu, Goga, quelli che avevano trasfigurato la lirica romena facenlotta per la pace, la guerra questa volta sarebbe venuta più in fretta. Q uesta generazione riscopriva i poeti dell'anteguerra, riannodando il filo della tradizione e, nello stesso tempo, portava un timpro nuovo, che risonava in modo diverso da un poeta all'altro, ma che aveva qualcosa di comune: una freschezza, uno slancio di modernità, una nuova visione. Labis è un poeta elegiaco e dialettico: «Non potrò mai disabituarmi / a denunciare la stoltezza, l'errore, il peccato, l'ignavia, / ma la vita mi ha insegnato a temere / le dolorose stragi illogiche». Di Nichita Stanescu scrivevo nel 1964: «Leggendo i suoi versi provi la sensazione inebriante di fluttuare, di distacco dal fango, di dolce 'caduta nel sole' o 'in Andromeda'. Il titolo, Una visione dei sentimenti, mi sembra adatto perché Nichita Stanescu è, in primo luogo, un cantore degli stati d'animo, dei sentimenti che vorticano, in un perenne processo di divenire, di colorazione e di decolorazione». (In questo momento, passa il controllore: lo sciopero non comincerà prima del nostro arrivo a Milano: così non avrò la possibilità di scrivere la storia della letteratura romena dalle origini fino ad oggi.) Non vorrei inWolfgang Borchert, Fuori dalla porta, particolare; foto di Vasco Ascolini do una grande poesia moderna, dovevano essere riscoperti. L'avanguardia romena che, a cominciare dal 1910, aveva iniziato quel fermento artistico che metteva in discussione il «fondo» e la «forma» della poesia, e non solo di quella romena, e che aveva contribuito con questo alla formazione delle correnti d'avanguardia europee (ad esempio, Tristan Tzara e il Dadaismo): questa avanguardia era messa ai margini come «decadente», compromessa. Quali poeti ci venivano proposti come modelli? Poeti realsocialisti: Mihai Beniuc, Radu Boureanu, Dan Desliu, Eugen Jebeleanu, Dumitru Corbea ecc. e persino l'ex avanguardista Geo Bogza. Dimenticavo A. Torna, che aveva preso il posto di Eminescu. Questi poeti non ci interessavano (non credevamo a quello che dicevano e forse non ci credevano neppure loro). In opposizione con l'arte poetica del momento nacque e si formò la nuova poesia romena: Labis, Nichita Stanescu, Cezar Baltag, Ion Alexandru, Ion Gheorghe, Ana Blandiana, Gabriela Melinescu, Leonid Dimov, Constanza Buzea, Adrian Paunescu e più tardi, Ileana Malancioiu, Mircea Ivanescu, Mario Mincu, Grigore Ar:bore ecc.: la modestia dell'artista mi obbliga a citare anche il mio nome. Ci sono già qui alcuni strati lirici, in un tempo record di dieci anni, perché credevamo che, nonostante la nostra traprendere l'analisi dell'universo lirico proposto da ciascun poeta. Ho fatto questo in altre occasioni. Segnalo l'adesione spontanea dei lettori, che riscoprirono la poesia con «incantamento»: la poesia divenne dal 1964 in poi - e lo è ancora - la portabandiera della letteratura romena. Non ai cinema, o non solo ai cinema, fa ressa la gente, ma anche per acquistare i libri di poesia. Un volume può uscire con una tiratura di 6070.000 copie ed esaurirsi in un giorno. Con l'aggravarsi della crisi della carta, le tirature sono cadute a cinquemila copie o anche meno, che, naturalmente, si esauriscono in un giorno. Il mio primo volume di versi - per arrivare infine a me (non farò l'errore di parlare più degli altri che di me stesso) - uscì con una tiratura di cinquecento copie: fu sufficiente per farmi conoscere da un giorno all'altro a tutti. Oggi, dopo aver scritto molti libri, non sono più conosciuto in Romania di allora (1964). Il volume si intitolava Solo tra i poeti. Lo avevo scritto per me, come una specie di testamento~ perché volevo abbandonare la poesia: avevo tentato di pubblicare per cinque o sei anni senza successo e non volevo più scrivere letteratura. Non era scritto che questo accadesse. Questa è stata la prima ondata della nuova lirica romena e credo la più importante. Più tardi, la generazione si è ingrossata. Dimov, scomparso da poco, ha aggiunto una dimensione di réverie linguistica, un fastoso gioco barocco del reale con l'immaginario e il sogno. Mircea Ivanescu viene con il prosaismo ironico e libresco, che fa pensare alla prosa di Joyce. Ileana Malancioiu applica alla parola concreta e immediata una tensione metafisica. La generazione 60 prosegue, a mio parere, captando imitatori e proseliti fino a Virgil Mazilescu, morto prematuramente nel 1984, che pubblica nel 68 un volumetto di Versi, e a Mircea Dinescu, con Invocazione a nessuno (1971), suo libro d'esordio. Negli ultimi anni si è parlato della generazione 80 (i nomi sono Mircea Cartarescu, Traian T. Cosovei, Ion Bogdan Lefter, Florin Iaru, Petru Romosan, Magdalena Ghica ecc.). Questo ha fatto sì che la critica si ricordasse che anche negli anni settanta c'erano stati dei poeti: Ion Mircea, Dinu Flamind, Adrian Popescu, Gabriel Chifu, Patrel Berceanu, Grete Tartler, Ileana Ursu. Dopo la generazione 80, quelli che ora sono studenti e pubblicano sulle riviste minacciano con una generazione 90, che a sua volta sarà demolita dalla generazione 2.000. Quest'ultima, se beneficerà del compimento delle predizioni relative alla fine del mondo per il 1 ° gennaio 2.000, ha la chance di essere la più forte, queila che mette il coperchio, chiamando tutte le altre, e dunque anche quella degli anni sessanta di cui ho parlato con giustificata partecipazione, «generazioni perdute», riservando a sé il diritto di cantare il canto del cigno della lirica universale. Il che, non ne dubito, farà anche la generazione 2.000 in Italia, se sarà il caso. Voglio dire con questo che la divisione per generazioni, «promozioni» o scuole è arbitraria, didattica. Interessano soprattutto le individualità, i talenti autentici che dicono qualcosa di nuovo. In che cosa consta l'originalità della poesia romena di tutte le generazioni del dopo-guerra? Cosa fa la poesia oggi? Queste sono le domande. Rimarranno non onorate di una risposta per mancanza di tempo. Annoto schematicamente alcune caratteristiche generali: gusto della trasfigurazione della realtà fino all'evasione nel sogno, imagismo e réverie (Stanescu, Dimov); visione ironica, distacco, riabilitazione della parabola biblica, del poema monologo, unione della filosofia con la frusta annotazione del quotidiano (Sorescu); espressionismo blaghiano e bizantinismo eretico (Ioan Alexandru); folclore prosaicizzato ed epica liricizzata (Ion Gheorghe) ecc. In generale: lotta per mantenere l'autonomia della poesia, che vuole essere non solo uno specchio che riflette direttamente la realtà, ma una moltitudine di specchi in cui questa realtà può acquistare un'aura magica e fantastica. Intorno al 1975, la poesia dovette diventare forse più apertamente impegnata, più trasparente, a volte sarcastica, perdendo un po' di poesia e guadagnando in vigore sociale e civico. Caratteristico della poesia romena è il gusto per l'esperimento, ereditato dalla tradizione avanguardistica, che si arricchisce ora con l'assunzione di un dolore e con una più intensa partecipazione alla vita di ogni giorno. Il banale diventa avvenimento; si coltiva una dizione allusiva e si fabbrica un linguaggio poetico di un tipo del tutte;' particolare, che si accompagna all'innalzamento del livello intellettuale dei lettori, capaci di «leggere» in un certo modo la poesia. La poesia romena di oggi si assume il compito di contribuire all'educazione delle masse di anonimi che, per secoli, si erano esercitate nella composizione di capolavori orali come Mioritza, Maestro Mano/e. (Siamo arrivati a Milano' in perfetto orario.) Il resto è destino, come dice Blaga alla fine dello Spazio mioritico.
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