Alfabeta - anno X - n. 112 - settembre 1988

Alfabeta 112 Per quasi un decennio, dalla fine degli anni settanta, avevo sviluppato un'analisi delle trasformazioni in corso nel sistema politico italiano, che era stata giudicata da molti come un contributo originale e rigoroso, soprattutto in confronto con le molte letture approssimative, o le vere e proprie deformazioni, diffuse nei grandi organi di informazione. I risultati di questa analisi sono comparsi, in forma di saggi, in alcune fra le riviste più attente a cogliere tempestivamente i cambiamenti della nostra realtà politica: «Pace e guerra», «Laboratorio politico», «Antigone», «Politica ed economia», «Democrazia e diritto», «Alfabeta». Registrando lo squallore, o l'inganno, dei tanti libri dedicati in questi anni al terrorismo italiano, era forte la tentazione di ripubblicare in volume articoli che, a distanza di anni, mi sembrava avessero conservato intatti gli originari requisiti positivi, con l'aggiunta di importanti riscontri obiettivi intervenuti nel frattempo. Ma le raccolte di saggi - come è noto - non piacciono né ai lettori né, conseguentemente, agli editori. Ho perciò intrapreso - e ormai concluso - una strada più lunga e impegnativa, rielaborando per intero e organicamente il materiale accumulato in questi anni, e procedendo a una stesura del tutto nuova. Nella forma attuale, il libro comprende tre capitoli (La clandestinizzazione della politica; Le trasformazioni istituzionali; Il PCI: anatomia di un declino), oltre a un'introduzione generale. La pubblicazione dovrebbe avvenire entro il 1988. Le pagine che seguono sono tratte dal primo capitolo. u.c. La politica sommersa < J Non mirare la vergine, affinché la ~ sua avvenenza non sia a te occasione di caduta (skandalon)»: così nell'Ecclesiastico, e più in generale in tutta la tradizione veterotestamentaria, scandalo equivale a «ostacolo» piuttosto che genericamente a «colpa» o «peccato». Solo in questa accezione, fra l'altro, è comprensibile la simmetria implicita nel celebre brano evangelico, nel quale si dice che chi provochi lo «scandalo» di qualche innocente farebbe meglio ad appiccarsi al collo una macina da mulino e a precipitarsi in mare: anziché provocare la «caduta» di «uno di questi piccoli», è preferibile una «caduta» che sacrifichi il corpo ma preservi l'anima. Conformemente all'etimo (skand), lo scandalo implica dunque non la violazione estemporanea, ma perciò anche reversibile, di un codice di comportamento (secondo il significato con cui il termine è per lo più usato nel linguaggio comune), quanto l'irrimediabile abbandono di un piano di realtà, la «caduta» in una condizione ontologica, oltre che etica, inferiore e comunque «altra» rispetto a quella assunta come riferimento positivo. Con lo scandalo si rinnova dal punto di vista ontogenetico la vicenda che è biblicamente all'origine della filogenesi umana: lo scandalo è non solo «commemorazione», ma ancora di più «attualizzazione» di quella caduta che costrinse il progenitore Adamo all'abbandono dell'Eden; allorché essa si compia, la storia personale di ogni individuo prende a svol- _ gersi lungo un cammino radicalmente diverso da quello precedente - in ogni caso al di fuori de~'Eden. Se si ripercorre lo sviluppo recente della vita politica italiana - dal caso Lockheed fino alle «carceri d'oro», attraverso gli innumerevoli esempi di corruzione e le complesse vicende legate all'affaire Gelli - l'interpretazione in termini di «scandali-cadute», o peggio ancora di «questione morale», appare destituita di ogni fondamento. Laboratorio italiano 88/Saggistica pagina 31 mbertoCuri Quale «norma», quale situazione «a regime» è necessario presupporre allo scopo di giudicare «scandalose», e per ciò «anomale», vicende come quelle appena citate? Da quale livello di realtà, da quale Eden, la politica del nostro paese è repentinamente «caduta», incespicando negli scandali? Ciò che emerge da questa storia, è un orientamento complessivo e generale della vita politica italiana, piuttosto che di una deviazione isolata e per ciò «scandalosa». È in atto, infatti, da alcuni anni a questa parte un processo di trasformazione, in forza del quale poco alla volta tutto il «politico» si sta cambiando in «privato» e poi in «clandestino», attraverso quella che potremmo definire una «clandestinizzazione» progressiva del nostro sistema politico, omologa e complementare all'influenza .crescente che bande più o meno dichiaratamente armate - mafia camorra, servizi segreti «paralleli», formazioni clandestine combattenti ecc. - stanno esercitando sulle modalità concrete di esercizio del potere nel nostro paese. Non solo in linea di tendenza, ma con effetti concreti in una certa misura ormai irreversibili, il processo di clandestinizzazione produce un crescente occultamento delle regole del gioco politico, sempre meno «pubblicamente» controllabile, sempre più dipendente dall'alterno governo assume in questa prospettiva una fisionomia del tutto particolare: la crisi di governabilità, di cui tanto e spesso a sproposito si parla, non riguarda infatti fa capacità di imprimere orientamenti determinanti in questo o quel settore dell'attività pubblica, quanto piuttosto la possibilità di attuare tali indirizzi politici attraverso gli organismi istituzionalmente preposti a tali scopi, e cioè senza dissertare e senza surrogare con gli strumenti del potere invisibile i luoghi e i modi «legali» di esercizio del potere. Certo non si può dire, anche in riferimento a episodi recenti, che siano mancate «decisioni» - e dunque che sia mancato «governo» - in settori nevralgici della vita politica del paese; il problema è che l'articolazione complessiva del processo decisionale, dalla progettazione all'attuazione, i soggetti realmente in esso implicati, le «regole» a cui essi si sono ispirati, non coincidono - appunto perché «privati» e comunque da essi diversi - con i soggetti e i centri del governo formale. Di qui l'accentuarsi del dualismo e di una tendenziale contrapposizione fra diritto e potere, fra sedi legali «vuote» di potere e luoghi del potere reale «ciechi» di ogni legittimazione; fra centri del governo e dell'amministrazione statale o periferica letteralmente impotenti, perché incapaci di agire efficacemente sul terOpera da camera, Maestro di Cappella, di Domenico Cimarosa; foto di Ivano Bolondi andamento della contesa tra bande concorrenti. La metamorfosi che si è venuta gradualmente affermando non riguarda più aree marginali o settori «deviati» del-lostato o della pubblica amministrazione, ma investe direttamente le forme di organizzazione e di produzione della politica, rovesciando il rapporto tra potere formale e potere invisibile in favore di centri occulti di formazione delle decisioni. Alcune tra le conseguenze implicite nella ritraduzione del politico in privato e poi in clandestino possono essere considerate intuitive: anzitutto, la perdita di trasparenza dei meccanismi di produzione della politica, e più ancora la dislocazione del potere in luoghi diversi da quelli istituzionalmente previsti, determina un'emarginazione di fatto dalla possibilità di influire sulle scelte e, per converso, la soggezione dei cittadini a forme di dominio non identificabili e ancor meno controllabili. La crescita del potere invisibile non provoca soltanto una diversa distribuzione topologica, ma abolisce ogni reciprocità nel rapporto tra governanti e governati: viene meno, infatti, la possibilità di condizionare o anche di revocare i detentori del potere reale, dal momento che la fonte della «legittimazione» del potere da essi esercitato si colloca altrove rispetto a coloro che a quel potere sono tuttavia, per lo più a loro insaputa, assoggettati. In secondo luogo, lo stesso problema del reno in cui si costruiscono e si modificano i rapporti di potere, e centri del governo occulto, tanto più rivestiti di autorità effettiva quanto meno ufficiali e «deputati». Non vi è dubbio che la clandestinizzazione della politica è un fenomeno che accomuna, in forme e gradi diversi, tutte le democrazie «mature», come esito, di per sé non necessariamente patologico, di un processo di dislocazione della politica oltre lo Stato e, insieme, come effetto di una moltiplicazione delle sedi e dei soggetti del processo decisionale. In questo quadro generale, è tuttavia possibile cogliere una specificità - niente affatto positiva né fisiologica - del caso italiano nel concorso di due fattori originariamente distinti: da un lato l'accelerazione «soggettiva» impressa alla «clandestinizzazione» del sistema da un insieme di forze interessate a bloccare prima e a rendere impossibile poi l'incontro fra movimento operaio e Stato; dall'altro, l'intreccio e la tendenziale osmosi fra inabissamento della politica e sua militarizzazione, fra clandestinizzazione disarmata e violenza terroristica. Per quanto riguarda il primo aspetto, la rinuncia coatta al controllo esclusivo delle sedi istituzionali di esercizio del potere, a seguito dell'influenza crescente che su di esse il movimento operaio aveva fatto segnare nel triennio 1974-1976, ha forzato i tempi della riconversione del sistema democristiano di potere. Sotto l'incalzare della minaccia sempre più concreta di una definitiva perdita di egemonia, si è cioé accelerata una dislocazione della fitta rete di interessi e del complesso gioco di alleanze dal terreno pubblico istituzionale a quello dell'antagonismo privato. Si è così preferito trasferire altrove, riproducendolo su scala allargata e rendendolo invulnerabile da attacchi esterni, il sistema di potere preesistente abbandonando, quale vero «vuoto a perdere», il complesso ormai letterariamente impotente delle istituzioni rappresentative all'iniziativa di coloro che erano risultati vincenti nelle consultazioni elettorali di quel periodo. La smobilitazione democristiana delle istanze formali, proseguita con ritmo galoppante soprattutto dopo il 1977, si è poi congiunta con una pratica sempre più assidua di spazi interstiziali e con una prepotente rimonta nel controllo su segmenti significativi del tessuto sociale, con l'obiettivo di raggiungere un duplice scopo: da un lato, la sostanziale diserzione del terreno istituzionale ha funzionato come espediente classico dell'arte della guerra, tenendo impegnate altrove, nel rafforzamento di conquiste recenti, le forze della sinistra e perciò distogliendole da un di per sé già problematico inseguimento nel sottosuolo della politica sommersa. Dall'altro lato, lo svuotamento dei centri del governo visibile, la paralisi indotta nella capacità decisionale delle sedi deputate, è servita anche come manovra di legittimazione del potere occulto, la cui influenza veniva intanto estendendosi e consolidandosi. Quanto più i meccanismi pubblici di produzione della politica si rivelano incapaci di funzionare efficacemente, tanto più si accredita come inevitabile l'esistenza di luoghi privati di esercizio del potere, specularmente contrapposti ai centri formali del governo, e cioè dotati di alta produttività politica, bassa entropia, celerità ed efficacia nella promozione delle scelte. Se l'accelerazione «soggettiva» impressa al processo «oggettivo» di clandestinizzazione della politica da un establishment democristiano insidiato nella propria egemonia costituisce il primo elemento capace di configurare in termini non ideologici la specificità del «caso italiano», ancora più decisiva è la funzione esercitata, in questa direzione, dall'intreccio costituitosi nel nostro paese fra clandestinizzazione e terrorismo. Lo svuotamento delle istanze istituzionali, e il corrispondente potenziamento di organismi occulti, hanno finito ormai per dislocare su un altro terreno - extra-legale, oltre che extra-istituzionale - lo svolgimento dei conflitti fra le parti della contesa politica, disattivando e rendendo del tutto inoperanti gli strumenti tradizionali della lotta politica. Altre logiche, altri mezzi, altre strategie - altre «armi», appunto - si impongono allorché vigano condizioni generali dello scontro svincolate da ogni norma scritta e ispirate esclusivamente all'imperativo della distruzione dell'avversario. Quanto più procede la regressione sul terreno dell'antagonismo fra gruppi privati, tanto più proporzionalmente cresce la spregiudicatezza e la ferocia nell'esercizio del- !' «arte della guerra», tanto più senza quartiere - sine lege et sine fide - diventa la lotta fra bande concorrenti. Un esame attento delle trasformazioni che si sono verificate nella vita politica italiana dell'ultimo decennio, da Piazza Fontana in poi, mostra con chiarezza il carattere intrinseco, strutturale, del terrorismo, come modalità di funzionamento del sistema nel suo complesso e, correlativamente, l'inconsistenza delle interpretazioni che di esso sono via via state fornite.

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