Alfabeta - anno X - n. 112 - settembre 1988

Alfabeta 112 novativa viene sottolineata nella sua essenza eversiva, nella volontà di sovvertire la meccanica nota, il già-conosciuto. In Scenario Godard si· pone in controluce di fronte a uno schermo bianco, evocando così «la famosa pagina bianca di Mallarmé», rivissuta con le parole, le immagini e i suoni di Passion. Qui l'esemplare uso strategico dell'attenzione simultanea produce nella rappresentazione quello sguardo totale che si fa specchio di una realtà polivalente ed enigmatica. Per finire, nella grande retrospettiva di Salso, non mancavano i più noti Week-end, La Chinoise e One plus One, considerati ormai accademia dai filo-godardiani, e forse anche da lui stesso. Una «buona dose di verità» salta fuori comunque nella ricerca autentica di una breve opera prima, La casa del passeggero della tedesca Heidrun Schleef. L'iperrealismo del contesto, l'interno di gabinetti pubblici visti dall'occhio del custode, acquista connotazioni fantasmagoriche, al confine di un incubo paranoico. Questo ragazzo custode, l'interprete Diego Ribon, dallo sguardo puro o privo di pregiudizi, trascende con la sua lucidità neutra la miseria oggettiva della situazione, fino ad esaltare quella realtà apodittica. Nello stesso senso curioso si muovono due film inglesi, Eat the rich (Mangia il ricco) di Peter Richardson, e Friendship's death di Peter Wollen (Morte di amicizia), entrambi alla rincorsa di un significato alto, uno sconfinamento che non è più linguistico, ma semantico. Entrambi si avvalgono di un operatore, Witold Stock, che segna con un'esemplare lucidità visiva la registrazione corretta di canoni dati, senza interferenze soggettive né progetti estetici. Nel surreale Eat the rich si succedono eccitanti implicazioni di contaminazioni ideologiche (anarchico demenziale è la definizione che si legge sul catalogo), così che nella metafora è evidente la lettura di una teleologia che mira a tradurre quasi didatticamente una proposizione morale collettiva. Col supporto di un'ipotesi fantascientifica, anche Friendship's death porta in sé un imperativo morale. Aver bisogno di qualificare un personaggio come extra terrestre per suffragare l'esigenza di Cfr un universo di pace e di giustizia, significa fuggire il cinema engagé, mancando un appuntamento diretto con l'immediatezza dell'evidenza esegetica ( il film è ambientato ad Amman durante il settembre nero del 1970). Un'umanità emarginata nella malattia e nella solitudine o socialmente degradata consente di essere ripresa in modo impersonale all'hotel de Dieu, pronto soccorso do, che porta a una concezione dell'opera come segno collettivo e metamorfico. E' probabile che questi autori abbiano tutti la stessa matrice filosofica, o che forse siano adeguati interpreti delle istanze del loro tempo, dato un background simile. Provvisorio quasi d'amore, prodotto dalla Raitre, è addirittura un film collettivo, e non solo Giorgio Gaber, La collana; foto di Alfonso Zirpoli pangmo, Urgences appunto, film di Raymond Depardon. La sorte finale riservata ai vari malati o prigionieri, dipende dalla personale· elasticità degli esaminatori-psichiatri o assistenti sociali, dalla loro apertura e disponibilità verso «gli altri» umani. C'è chi ce l'ha e chi no. I film citati hanno in comune una semiologia che sposta l'interesse per un mondo segnato da valori esaustivi, verso un'attenzione particolare nel rapporto io-monper le sette firme dei suoi registi (ce ne saranno presto altri sette), ma per la metodologia reiterativa e iconografica adottata nella presentazione di un soggetto per tutti comune: l'amore. Di per sé il tema proposto non solo si presta a un'identificazione collettiva, ma a un certo livello raggiunge piani più propriamente universali. Anticipando che non tutte le prove raggiungono lo stesso valore espressivo d'esecuzione (Soldini, Ghezzi e Mazzoni sono a mio parere i più pagina 23 «soddisfacenti» sul piano del visivo), bisogna prendere atto dell'impegno di uno sforzo programmatico comune. Nell'arco di tre anni questi registi si sono confrontati in relazioni interpersonali che hanno permesso un mutuo scambio di informazioni e di opinioni; hanno letto reciprocamente le sceneggiature, hanno litigato,· realizzando in fondo uno «scenario» all'interno dei vari «scenari», che forse sarebbe assai interessante, come la trascrizione dello scenario su Passion di Godard, ma non mi risulta sia stato fatto. Consegue, infine, la simbiosi questo film, almeno nelle intenzioni? Credo che, continuando a lavorare con gli stessi presupposti, si raggiungeranno concretamente risultati, che per ora le varie individualità ricorrono come meta ipotetica e incerta. Raitre ha prodotto insieme al i Festival di Salso anche dei brevi Trailers (5 minuti al massimo), proposti in video come test di (possibili) opere cinematografiche future. Tralasciando l'astiosa polemica, se non bagarre, avvenuta in seguito all'incontro fra (possibili) produttori e autori (che in-qualche modo si sentivano vivisezionati e sotto esame), rimane da dire che questi giovani autori, come i precedenti, rivelano talento espressivo e spesso un profondo amore per quello strumento visivo che è il cinema, il quale mette a disposizione col suo prolungamento del corpo nell'obbiettivo, un occhio che è il corrispettivo della capacità creativa del filmaker. Questo occhio fittizio permette ogni slancio in qualsiasi direzione, fornendo al soggetto la libertà di essere quello che vuole, di rappresentare quello che desidera. Fra questi Trailers, quelli di Soldini, De Bernardi, Calogero e Fiore Donati sono impeccabili per il rigore della ricerca stilistica, dove l'occhio è buon testimone delle sfaccettature della realtà. Per loro si tratta di una poetica inusuale e attraente, dove l'originalità creativa sta nella scelta della «visione», come per Fiore Donati il deserto dell'isola di Vulcano dove due vecchi coniugi si ricercano disperatamente. Salso Film e TV Festival Salsomaggiore 13-19 aprile 1988 Cfr/ trilibri Nascita all'alba Pino Blasone T empo fa su una rivista letteraria titolavo un articolo Le nuove Shahrazad, ricognizione sulla narrativa araba al femminile, che ha conosciuto negli anni scorsi un notevole sviluppo. Vi figuravano fra l'altro il romanzo steso in francese Sitt Marie-Rose della ,libanese Etel Adnan, ambientato nella guerra civile in Libano (Milano, Edizioni delle donne, 1979); l'algerina Assia Djebar, maggiore scrittrice araba francofona, di cui esce oggi Donne d'Algeri nei loro appartamenti, prima traduzione di una sua opera nella nostra lingua e titolo chiaramente ispirato al dipinto omonimo di Delacroix (Firenze, Giunti, 1988; con nota critica di Isabella Camera d'Afflitto); e La civiltà, madre mia... del marocchino il Driss Chrai:bi (Parma - Milano, Franco Maria Ricci, 1974): per il semplice fatto che protagonista della vicenda è anche qui una donna, anzi la donna del mondo islamico maghrebino. Ecco adesso Nascita all'alba di Chrai:bi, nel momento in cui viene tradotto pure Creatura di sabbia di un altro marocchino, Tahar Ben Jelloun (Torino, Einaudi, 1987), ed è annunciata la traduzione di La Nuit sacrée dello stesso autore, sull'onda del successo incontrato in Francia. Decisamente assistiamo alla scoperta alquanto tardiva, almeno da noi, della narrativa araba francofona. È da augurarsi che segua quella non meno interessante della letteratura contemporanea in lingua araba, espressione soprattutto dei Paesi dell'Oriente arabo. Ciò che distingue la recente opera di Chrai'bi dalle altre citate è la dimensione- a suo modo storica, e l'accorgimento di essere narrata dal punto di vista non tanto di un arabo sia pure francofono, quanto di un berbero arabizzato, con significativa trasposizione. Si tratta infatti della vicenda romanzata di Tariq Ibn Ziyyad, conquistatore musulmano nell'VIII secolo della Spagna, colui il cui nome resta se non altro legato alla Rocca di Gibilterra: appunto, Gebel- . Tariq. Uno, in pratica, dei grandi personaggi attraverso la cui rivisitazione la cultura odierna del mondo islamico indaga sull'assenza e la crisi della propria civiltà, così come ad esempio in La tragedia di al-Hallaj del poeta e drammaturgo egiziano Salah 'Abd alSabur, che assume a protagonista emblematico la figura di un famoso mistico eterodosso e poeta arabo-persiano del passato: anche lui, non a caso, un diverso e perdente nella propria tradizione. Convinto che «quello che l'uomo immagina è sempre superiore a ciò che vede, perché l'immaginario è più vasto del sensibile», il sogno semplice e grandioso di Tariq era - nell'interpretazione dell'autore- di fondare la Storia: una Storia che insieme edificassero e in cui finalmente vi- , . . vessero per sempre m pace e gmstizia, sulla base della nuova religione, Berberi e Arabi, Spagnoli e perfino Franchi. Né a tal fine egli rifuggirà da violenze e terrore, pur ci~nema Rivista trimestrale fondata da Adelio Ferrero Un numero Lire 10.000 Abbonamento annuo a quattro numeri o Lire 35.000 Inviare l'importo a Caposile S.r.l. Piazzale Ferdinando Martini, 3 20137 Milano Conto Corrente Postale 57147209

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