pagina 16 Jean Paulhan - Francis Ponge Correspondence (1923-1968) Edizione critica a cura di C. Boaretto Gallimard, Paris, 1986 2 voll., pp. 736, FF. 320 Jean Paulhan Choix de Lettres (1917-1936) La littérature est une fete A cura di D. Aury e J.C. Zylberstein Gallimard, Paris, 1986 pp. 504, FF. 150 S econdo uno dei tanti aforismi di Paulhan, «Les gens y gagnent à etre connus: ils y gagnent en mystère». Così, anche la Corrispondenza, sarebbe un tentativo illusorio di cogliere - nell'altro - solo impercettibili riflessi, tutt'al più qualche bagliore, senza entrare mai nella segretezza dell'essere. Altre considerazioni ancora meno incoraggianti vengono alla mente del lettore di oggi: la lontananza nel tempo che sfuma i contorni di fatti e persone, la continuità epistolare interrotta dalle conversazioni telefoniche e dagli incontri, sembrano essere altrettante «perdite» per un genere che continua a offrire ben altre compensazioni. Ma in questa raccolta c'è un'eccedenza, a dir poco fastidiosa. Francis Ponge, con un'operazione di recupero sorprendente per noi, e non si sa quanto vantaggiosa per lui, inserisce solo ora molte delle sue lettere durissime, mai spedite a Paulhan, quando ormai al destinatario non è più concesso di replicare, di dissentire, di vivere. Certo la loro amicizia fu burrascosa, ma un intento comune li ha sempre uniti: in quel. trasporto dall'idea alla parola (che la rende manifesta), alla cosa (nominata e pur concreta) si esprime in entrambi la stupefazione del loro essere al mondo; non passaggio o transizione dall'una all'altra dimensione della conoscenza (dal mentale al corporeo), bensì una sorta di trinità vissuta. Concordi sulle cose importanti, cioè sul senso di una letteratura siffatta, essi si trovano uno contro l'altro sul piano delle scelte di vita, sulle posizioni da assumere di fronte agli avvenimenti contingenti. Nel 1923 e negli anni seguenti, Ponge, al quale Paulhan cerca di far ottenere un posto di segretario amministrativo alla «Nouvelle Revue Française», si rifiuta di sottostare al rituale d'obbligo imposto dal «direttorio» della rivista, formato allora da Rivière, Paulhan e Allar (quali sono i suoi autori preferiti, cosa pensa di Valéry, se conosce Breton) non sospettando che un analogo esame di ammissione lo attenderà quando, nel 1929, si accosterà ai Surrealisti che diffidano della sua lunga amicizia con Paulhan. Ma fino a questa data si può parlare di un accordo-discorde punteggiato da motivi d'irritazione da parte del giovane Ponge che, pur affidandosi all'infallibile senso poetico del maestro, e forse proprio per questo, lo accusa di scarsa disponibilità e di abuso di magistero. Da parte sua Paulhan, nel maggio 1925 scrive a Ponge giudicandolo «più vanitoso e più esigente di Cocteau» (Ponge gli aveva fatto ricomporre il suo Logoscope perché i caratteri non gli parevano abbastanza grandi). E anche l'anno seguente: «Tu ritieni che io sia: 'indaffarato' alla Revue. Ma pensa se avessimo solo 10 scrittori come te». Divergenze ancora componibili, come si può arguire dall'Affaire Breton (1927) quando Ponge si schiera dalla parte di I pacchetti di Alfabeta Paulhan ed è seriamente preoccupato da un possibile duello tra i due scrittori. Seguiranno due anni roventi quanto a reciproche accuse, e si vedono subito, in Ponge, gli effetti dell'influenza di Aragon che giudica sprezzantemente la «N.R.F.» di cui si diverte a storpiare ripetutamente il nome «Nouvelle Revue Facile» (in una lettera inedita), «Nvelle Rvue frinçaise», «Nouvelle Revufre». E ancora, nel Traité du Style (1928): «Ci sono dei poveri diavoli che preferiscono il circo al café concert, io, alle riviste preferisco le latrine. E alla Nouelle Reue fronçaise in modo particolare. Qui spiegano ogni sei mesi ciò che è successo altrove». Anche Ponge nel 1930 assume lo stesso tono di Aragon, e anche di Artaud che, nel 1926 aveva parlato di «castrazione» riguardo ai sistemi della «N.R.F.». «La N.R.F. - scrive Ponge - è un semplice mezzo di trasporto di idee e di espressioni», procede per «soffocamento» o per «ibernazione» dei testi (cioè, sospenderebbe le pubblicazioni previste, non restituirebbe i manoscritti), «l'esistenza della N.R.F. ritarda l'intelligenza, il suo comitato di lettura è egemone» (20 gennaio 1930). Anche certe lettere non inviate hanno titoli consonanti Il pregiudizio della casa prima di tutto, (nella lettera di cui sopra), Il punto vulnerabile di Paulhan (dicembre 1930). Tra il 1932 e il 1946, le divergenze sembrano comporsi di fronte all'urgenza degli avvenimenti. Ponge collabora infine a Mesures dopo tante resistenze, e Paulhan si adopera instancabilmente (almeno sei volte durante la loro amicizia) per fargli ottenere un premio letterario - stupisce la sua perseveranza - ma senza grande successo. Nel 1946, con una serie d'interventi presso il C.N.E. (Comité National des Ecrivains) di cui faceva parte avendo partecipato alla Resistenza, Paulhan sostiene (in De la paille et du grain e, successivamente, nella Lettre aux Directeurs de la Résistance) contro 'la parola d'ordine dei comunisti - «bando agli ex-collaborazionisti» - il principio secondo il quale un uomo colpevole di alto tradimento ha diritto a un regolare processo. Per chi si è adeguato - sia pure con opportunismo e viltà - egli invoca la clemenza. Segue, tra i due amici, uno scambio di stilettate. Ponge si rifiuta di collaborare ai «Cahiers de la Pléiade» (vi collaborerà nel 1948-1949): «Tu non mi avrai: cercati un altro direttore da circo equestre o qualche membro della giuria» (maggio 1946). Paulhan ribatte «sorpreso e turbato»: «Ora che sei giustamente celebre senti il bisogno di sbarazzarti delle persone che consideravi (imprudentemente) come maestri» (giugno 1946). In seguito, le difficoltà economiche esasperarono Ponge che, in una lettera non spedita (fine 1951) stila un consuntivo dei rimproveri che Paulhan gli avreb11erivolto: orgoglio, vanità, semplicismo, trascuratezza formale. Egli non l'avrebbe aiutato, bensì ostacolato: «Le tue riviste sono le sole (insieme a quelle dei comunisti) che non hanno mai parlato. dei miei libri [... ] Mi consideri buono per la poesia minore (le jeune arbre) o per il giornalismo che mi proponi a ogni pie' sospinto [... ] In fondo l'opinione che hai di me è uguale a quella di Saillet (e cioè che io sono il tuo Pécuchet). La cosa ti lusinga.». Nelle lettere più insultanti, tra quelle non spedite, «il Direttore della N.R.F., l'eminenza frigia», è visto come un concierge sospettoso che esercita meschini controlli, chiuso nella sua sudicia portineria (1951), oppure come un vecchio servitore in livrea che ha l'insolenza di presentarsi senza essere chiamato (12 settembre 1952). A questo punto, poco importa se, dal 1953 al 1968 Ponge pubblicherà nella «N.R.F.», nel 1956, grazie a Paulhan, avrà il suo numero di Omaggio alla Rivista, se l'amicizia continuerà senza scosse. Forse Ponge - e sarebbe la sua sola giustificazione - ha pubblicato queste lettere per essere fedele a se stesso fino in fondo. Ma l'ombra gettata sulla reputazione di Paulhan si allunga soprattutto sulla sua. A Ila morte di Jean Paulhan (1968), si è visto subito che la pubblicazione della sua Corrispondenza, nel corso di un cinquantennio, sarebbe stata impresa troppo vasta per un solo editore. È stato così deciso di pubblicare soltanto le sue Lettere scelte in tre volumi, se- . guendo due cesure cronologiche abbastanza persuasive. Quanto alle rimanenti lettere, da un decennio vengono pubblicate da curatori che s'interessano ad alcuni dei suoi corrispondenti più importanti. Sono già state pubblicate le lettere a R. Etiemble (1974), la Corrispondenza di Paulhan con M. Lemaitre (1976), con G. de Tarde (1974), con J. Bousquet (parzialmente, 1980), con G. Perros (1982), con J. Grenier (1984), con A. Suarès (1987). Quella tra Paulhan e Ungaretti è in corso di stampa. In questo primo volume (La littérature est une fète) gli autori il cui nome ricorre più di frequente sono, nell'ordine: M. Jouhandeau, A. Gide, H. Pourrat, Valéry Larbaud, A. Rolland de Renéville, F. Ponge, R. Martin du Gard, J. Rivière, R. Etiemble. Ma, ai destinatari meno rappresentati (Eluard, Artaud, Daumal) vengono inviate lettere di straordinaria intensità. I grandi assenti sono Breton (le lettere da lui scritte o ricevute non si possono pubblicare prima che siano passati quarant'anni dalla sua morte), e Aragon per il quale vigono analoghe riserve. Tra il 1917 e il 1936, ogni avvenimento letterario e politico sembra sfiorare più che coinvolgere profondamente Jean Paulhan. Non così l'esercizio e la sperimentazione di una letteratura svincolata da implicazioni di carattere contingente. Avendo già pubblicato una parte dei suoi Récits e brevi scritti sui luoghi comuni e sulle metafore, s'interessa - insieme a Breton e a Eluard - a Méthodes di P. Valéry, come al movimento Dadaista, partecipa alla nascita di «Littérature». Non stupisce quindi, che già nel 1918, quando approfondisce certe intuizioni nate durante il suo soggiorno in Madagascar sulla forza di persuasione del linguaggio proverbiale dei Merinas (è allora che riscopre l'importanza delle Retoriche), egli abbia potuto esprimere con così grande originalità un'osservazione sulle locuzioni d'uso. «Più una locuzione popolare è assurda, grammaticalmente, e più evidenzia, perché la si comprende lo stesso, un trionfo della sintassi. Non esiste sintassi più rigorosa, più sicura, della sintassi sottintesa» (a L. de Gonzague-Frick, 29 marzo 1918). Era il dettato poetico di Reverdy a suggerirgli queste parole ma, in queste stesse parole, oggi noi leggiamo una possibile definizione dell'ellissi, che è poi una delle figure più ricorrenti del suo stile. Altre lettere vertono sul «Congrès de Paris sur l'Esprit Nouveau» (1922), sull'aperAlfabeta 112 tura - poi rivelatasi una chiusura - della «N.R.F.» nei confronti dei Surrealisti (1928), sui suoi rapporti con Artaud che egli cerca di dissuadere dall'assunzione degli stupefacenti, sostenendolo anche durante il suo dissenso temporaneo con Breton (tra il 1926 e il 1927), e ancora - importantissime - quelle indirizzate a Daumal e a Rolland de Renéville sul Grand Jeu (19301931) che gli sembra offrire un'alternativa valida al Surrealismo: evitando i peggiori eccessi del Movimento, ne avrebbe salvato la parte migliore. Paulhan in quegli anni guarda a Breton con estrema diffidenza: «André Breton mi ha scritto una bellissima missiva. Se non gli ho ancora risposto è perché non so cosa rispondergli. (Sarei proprio disposto a entrare, con altri cinque o sei, in una società segreta, con regole severe, e minacce)», scrive a Eluard nel febbraio 1921. E a F. Hellens, nel gennaio 1925: «Non posso dire di essere entusiasta di Aragon - Breton. Mi sembra che comincino a cercare il genere di successo di Cocteau». L'adesione di Breton al P.C.F. è così commentata: «In che guazzabuglio hegeliano-marxista si spegne il sogno d'assoluto che Breton aveva iniziato?» E anche negli anni della riconciliazione, nel dopoguerra, il tono di Breton e il suo stesso portamento gli suggeriscono questa trovata impareggiabile: «Ma guardi come si agita con quel castello che gli serve da testa», disse una volta, secondo la testimonianza di Dominique Aury. Negli anni trenta anche la letteratura sembra travolta dalla depressione economica, dalle crisi di governo, dall'ascesa del nazismo e dei fascisti in Europa. I diversi congressi nazionali e internazionali degli scrittori per scongiurare questo pericolo, il suicidio di Crevel, il Fronte Popolare, la guerra civile in Spagna, sono altrettanti avvenimenti che compongono in questa Raccolta, una tessitura di riflessioni - anche politiche - ora disincantate, ora appassionate, in cui vengono ad intrecciarsi anche le reazioni e le scelte altrui. Così Paulhan descrive a Jouhandeau (26 giugno 1935) una parte del dibattito al Congresso internazionale per la difesa della cultura, tenutosi a Parigi: «In questo congresso Aragon, sarcastico, duro, aristocratico, dava l'impressione che sarebbe durato a lungo, che non si sarebbero sbarazzati di lui tanto presto. Ma Malraux sembrava gridare (scuotendo nervosamente la testa, agitato, bello e insieme dégradé) le sue ultime parole. Era commovente e, insieme, sconfortante. Se ci sarà la rivoluzione, chi dei due farà fucilare l'altro? All'improvviso ho avuto paura per Malraux». Il margine dell'imprevedibile è assai ampio in queste lettere. Chi si sarebbe aspettato uno schema di svolgimento di un tema di Liceo su Voltaire - tutto da leggersi col fiato sospeso - che Paulhan suggerisce imprudentemente a suo figlio Pierre? Oppure la divertentissima descrizione (vera?) dell'esclusione di Michaux dal Premio Alberto I, quando ormai la Giuria, ricomposta da Paulhan, era concorde: «All'ultimo momento, uno dei membri della giuria legge un poema di Michaux, Il mio Re. Arrivato a 'Je te trépigne, je t'éparbouille', chi legge dice 'Mi sembra che qui si offenda gravemente la famiglia regnante'. Tutti ammettono che, in effetti si può pensare a un'ingiuria, anche se non è. Si tratta di un poema mistico in cui il re è, all'incirca, l'anima» (a Jouhandeau, 24 febbraio 1936). Sì, la letteratura è anche una festa.
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