Alfabeta - anno X - n. 112 - settembre 1988

Alfabeta 112 André Gide Viaggio al Congo. Ritorno dal Ciad Traduzione di F. Fortini con un saggio di V. Magrelli Einaudi, Torino, 1988 pp. 341, lire 28.000 Ritorno dall'URSS seguito da Postille al mio Ritorno dall'URSS Traduzione di G. Guglielmi Prefazione di A. Berardinelli Bollati Boringhieri, Torino, 1988 pp. 145, lire 16.000. V iaggio al . Congo-. • Ritorffo -dal- /' URSS: l'editoria italiana interrompe di colpo il silenzio che da numerosi anni circonda l'opera di André Gide, ponendo in termini nuovi la questione della leggibilità o dell'attualità dello scrittore che, meglio di tutti, aveva capito che la sua importanza derivava non tanto dalle singole opere (a volte più riuscite, a volte meno) quanto da «lo spirito di libero esame, d'indipendenza e anche d'insubordinazione, di protesta contro quanto il cuore e la ragione rifiutano di approvare» (Dichiarazione mandata alla giuria del Premio Nobel, ricevuto nel 1947), con il quale le aveva tutte scritte. E se oggi, dell'opera più variegata della prima metà del Novecento francese, rimane innanzitutto il Journal (Bibliothèque de la Pléiade, 2 voi.) è perché nel diario più che altrove si può cogliere l'essenza gidiana, «l'authenticité irréductible, dispersée, non totalisable, du présent» (E. Marty, L'écriture du jour, Seuil, 1985) - la sua etica. Di questa etica, i due volumi appena pubblicati sono tra le più intense testimonianze. «Je NÒudraisoublier tout; vivre un long temps parmi des nègres nus, des gens dont je ne saurais pas la langue et qui ne sauraient pas qui je suis; et forniquer sauvagement, silencieusement, la nuit, avec n'importe qui, sur le sable ... » (Journal, 6 maggio 1937). «Filer chez les nègres»: a qual- ·èhe mese dal ritorno dall'URSS che segue la fine del suo travagliato periodo impegnato, Gide non sogna altro. In preda a un angoscioso senso di smarrimento, lo scrittore riattiva il vecchio fantasma di uno spazio vergine privo di qualsiasi interdetto, nel quale l'espressione della libertà potrebbe coincidere con quella del desiderio (sulle ragioni e le modalità della partenza nel Congo si veda l'introduzione di D. Durosay ai Carnets du Congo di Mare Allegret recentemente pubblicati dalle Presses du CNRS. Il volume offre nel suo complesso un complemento ormai insostituibile alla testimonianza gidiana). Dopo tanti viaggi che hanno segnato le tappe del suo divenire, si ritrova al punto di partenza - alla macchia nera che lo abbagliava fin dai primi anni della giovinezza. «Non aveva ancora vent'anni che mi promettevo di farlo, questo viaggio nel Congo; da allora, di anni ne sono passati trentasei» (Viaggio... , p.3). È il 26 luglio 1925. A bordo dell'Asie, Gide si avvicina alle coste dell'Africa Equatoriale Francese. Insieme a lui, il giovane amico Mare Allegret. Per lo scrittore cinqut1ntaseienne, si tratta di un momento di estrèma importanza. Ultimata la stesura dei Faux-Monnayeurs, si trova - e lo sa perfettamente - a una svolta. Sempre più «costretto» - che si trovi a Cuverville insieme alla moglie con la quale ben poche cose gli sono rimaste da condividere o a Parigi, in un ambiente letterario di scarso stimolo - apre davanti a sé lo spazio dell'ignoto. O di ciò che di ignoto è rimasto su I pacchetti di Alfabeta RSS Catherine Maubon una terra ormai «quadrillée, bichonnée, macadamisée» come inveisce Aragon nel Traité du Style (Gallimard, «L'imaginaire»). Poiché se è vero che per Gide non si tratta certo di partire alla scoperta del continente nero come Livingstone o Brazza e tanto meno di seguire le orme di Kurtz agli avamposti della civiltà, l'Africa rimane di fatto qualcosa come un cuore di tenebra. E nelle tenebre vuole inoltrarsi per meglio tornare all'indietro, alle origini. Per lui, come del resto per tutti i grandi scrittori-viaggiatori del periodo la percezione del diver- • so =-scopò prioritario del viaggio - coinvolge il tempo quanto lo spazio. Non c'è esotismo senza arcaismo. Un arcaismo nutrito di riminiscenze letterarie che, nel suo caso, aveva trovato, per lunghi anni, nelle oasi maghrebine la sua terra di elezione. Ora, in questi primi anni venti, con sempre maggiori difficoltà prende corpo il sogno arcaico che, per numerose volte, fin dall'ormai lontanissimo 1893, ha condotto lo scrittore in Africa del Nord con gli effetti esistenziali e creativi che ben si conoscono: «(... ] six fois je retourne là-bas, réclamant au présent le passé, exténuant man émotion, exigeant d'elle encore cette verdeur qu'elle devait jadis à sa nouveauté, et d'année en année, trouvant à mes désirs vieillis des récompenses toujours moindres (... ] Rien ne vaut le premier contact» (Amyntas, 1906, Gallimard). È questo primo contatto, a lungo rimandato, che il passeggero dell'Asie si appresta a vivere quando, guardandosi intorno, annota con indubbio compiacimento: «Credo proprio che noi siamo i soli in viaggio di piacere. I - Che cosa andate a cercare laggiù? I - Aspetto d'essere laggiù per saperlo» (Viaggio... , p. 3). Viaggio al Congo è il racconto, giorno per giorno, di questa avventura al termine della quale Gide si ritrova diverso da sé - impegnato. «Ormai, un immenso gemito è dentro di me; so cose da cui non so trarre le conseguenze. Che demone mi ha spinto in Africa? Di che cosa andavo in cerca, in questo paese? Ero tranquillo. Ora so: debbo parlare [... ] Voglio girare dietro le quinte, dall'altra parte dello scenario, conoscere finalmente che cosa c'è dietro, fosse pur orribile. Questo qualcosa di orribile che sospetto, ecco quel che voglio vedere» (Viaggio ... , pp. 61-62). L'altro - lo sfruttato (di Marx) o il debole (del Vangelo) - diventa, a tre mesi dalla partenza, lo scopo del viaggio e l'oggetto dello sguardo dello scrittore che allenta progressivamente la presa narcisistica che fino ad allora lo aveva chiuso su se stesso. È a Bambio, in mezzo alla foresta nera che separa Bangui da Nola che ha origine l'evoluzione che, dieci anni più tardi, conduce Gide in URSS. Infatti da allora egli focalizza il suo sguardo sulla «questione sociale» (obliterata fino a quel momento dalla «questione morale») e finisce per vedere nella rivoluzione bolscevica l'unica possibilità di salvezza dell'Europa occidentale. Senza soluzione di continuità l'URSS prende, nell'immaginario gidiano, il posto occupato precedentemente dal Maghreb e dall'Africa nera. Terra incognita, non più del passato ma del futuro dell'umanità, l'URSS esercita sullo scrittore un'attrazione tanto più irresistibile in quanto riattiva il paradigma vecchio versus nuovo sul quale ha fondato il binomio vita-scrittura. Ma, si sa, in Unione Sovietica, svanisce il miraggio della salvezza rivoluzionaria. Dopo due mesi di una tournée trionfale durante la quale i lavoratori hanno salutato «calorosamente il grande scrittore del grande popolo francese - André Gide - l'amico dell'invincibile Unione Sovietica!», il viaggiatore torna ferito come era tornato, dal1'Africa: «E già cominciava a stringermi un'angoscia ancora sconosciuta: di ritorno a Parigi che cosa avrei saputo dire? (Ritorno... , p. 62): A questa ferita reagisce pubblicando prima Ritorno dal/' URSS ( novembre 1936) e poi Postille al mio «Ritorno dal/'URSS», (giugno 1937) risposta esasperata alle numerose 'e ingiuste·accuse ·ana •pufibhcazione del primo: «La pubblicazione del mio Ritorno dal/' URSS mi ha valso una cospicua sequela di insulti. [... ] Accanto ai denigratori trovano posto alcuni critici in buona fede. In risposta a loro scrivo queste pagine» (p. 79). Animati dalla stessa esigenza di verità («Coloro che mi approvavano quando, nel Congo, abbandonata l'auto governativa, cercavo di entrare in contatto diretto con chiunque per rendermi conto, potranno mai rimproverarmi di aver usato pari scrupolo in URSS, senza lasciarmi affatto abbagliare?», Ritorno ... , p. 25), i due opuscoli si differenziano però decisamente da Viaggio al Congo per una serie di ragioni legate innanzitutto alle diverse condizioni di viaggio e alle diverse scelte enunciative. In Congo, Gide era partito, l'abbiamo detto, per il «piacere». Incaricato di una missione gratuita beneficiava dell'aiuto delle strutture amministrative locali senza dover nulla di preciso in cambio se non la vaga promessa di un rapporto da inoltrare al Ministro delle colonie al rientro. Fu il corso degli eventi - la scoperta dello sfruttamento - a dare un contenuto improvviso a questo incarico. L'evidente modificazione sia dell'oggetto sia della natura dello sguardo del viaggiatore non deve pertanto mascherare ciò che risulta più significativo: l'incapacità (o il rifiuto) di rinunciare a una scrittura genuina e immediata, così fragile nella sua reiterata caccia alla sensazione da non rassegnarsi a varcare le soglie del carnet de route, versione itinerante del diario. E questo perché, nelle annotazioni quotidiane, Gide trascrive non tanto la rivelazione di un'altra realtà quanto l'emergere del suo sguardo, la sua imprevista capacità di cogliere l'aspetto nascosto delle cose. Non più mise en abyme dello scrittore ma mise en abyme del testimone, l'oggetto della scrittura rimane di fatto il suo stesso sog-: getto. La prospettiva cambia totalmente con il viaggio in Unione Sovietica - ufficiale e programmato fin nei minimi dettagli, precluso a qualsiasi avventura: «L'inconveniente di un viaggio troppo ben preordinato, è quello di non lasciare sufficiente posto alla avventura» (Viaggio... ; p.166). Ma aldilà dell'affettuosa costrizione con la quale gli organizzatori lo seguiranno passo dopo passo, giorno dopo giorno, che spazio c'è ancora per l'avventura quando, il 20 giugno 1936, Gide accelera la sua partenza per Mosca nella speranza di fare in tempo a salutare Gor'ky morente? Da più di un anno ha annotato nel suo diario: «C'est aussi, c'est beaucoup la betise et la malhonneteté des attaques contre l'URSS qui fait qu'aujourd'hui nous mettons quelque obstination à la défendre». Poco ortodossa nella sua origine evangelica, la sua fede comunista non sa tanto sul regime sovietico (sospetto di confondere uguaglianza e uniformizzazione) quanto sull'immensità delle prospettive aperte a un popolo - e alla sua gioventù in particolare - liberato dai legapagina 15 mi religiosi, familiari e educativi che hanno intralciato il suo proprio divenire. Ma proprio lì, nella liberazione dall'oppressione, la frustazione è totale: «Ah! perché non ero venuto semplicemente come turista! o come un naturalista [... ] Ma non è proprio questo che sono venuto a cercare in UR~S. Quello che m'interessa è l'uomo, sono gli uomini, e ciò che se ne può fare e ciò che se n'è fatto. La foresta che mi attira, spaventosamente spess~ e forte e dove io mi smar- . risco, è la foresta dei problemi sociali: che in URSS ti sollecitano, e ti premono e ti opprimono da ogni parte» (Ritorno ... , p. 33). Gide rientra in Francia con impressa l'immagine non della nuova società fantasticata per anni ma dei misfatti, vecchi come il mondo, di un potere nel quale rifiuta di proiettarsi più a lungo. Mentre in Africa era stata immediata l'identificazione con la parte dell'incaricato di missione, in URSS prende subito le distanze da quello di inviato ufficiale del regime: «Vi assicuro che nella mia avventura sovietica vi è qualcosa di tragico. Come entusiasta, sinceramente convinto, io ero venuto ad ammirare un nuovo mondo, e mi si offrivano, allo scopo di sedurmi, tutte le prerogative che aborrivo nel vecchio» (Ritorno ... , p. 113). Non potendosi specchiare in alcun modo, si sente avvilito, aggredito. Viene a mancare lo spazio potenziale necessario alla stesura del diario: «Non ho osato, oggi lo rimpiango, non ho letteralmente osato, tenere un diario. Avevo l'impressione che si sarebbero potute perquisire le mie cose e che ciò che dovevo dire non fosse sempre un elogio dell'URSS» (Entretiens Gide-Amrouche, 1949, pubblicati in Qui etes-vous André Gide?, La manufacture, 1987). È questo vuoto che separa ulteriormente Ritorno ... , da Viaggio.... Poco disponibile al lavoro del ricordo del quale diffida, il viaggiatore butta giù le sue «riflessioni personali su quanto l'URSS ha il piacere e l'orgoglio legittimo di mostrare e su quanto, in aggiunta a quello, ho potuto vedere io» (Ritorno ... , p. 82) in circa due mesi per quanto riguarda Ritorno e in poco più per Postille. Scritti come un «mortale dovere», i due opuscoli riflettono, nel loro disordine e nelle loro lacune, la tensione del narratore preoccupato di garantire allo stesso tempo la propria autenticità e la propria credibilità. Limitandosi alla sfera psicologica nella quale la prima persona pronominale è sicura di non perdere l'egemonia («Solo i problemi psicologici sono di mia competenza; è soprattutto e quasi unicamente di questi che voglio occuparmi qui [... ]», p. 30), Gide non sottrae la rivoluzione bolscevica alla regole base della sua poetica: la serittura (come l'esistenza) non è questione di verità (dell'oggetto) ma di autenticità (del soggetto); trae la propria· legittimità dall'esperienza del vissuto e da niente altro - tanto meno, in questo caso, da una documentazione poco attendibile. Ancora una volta lo scrittore non esita a pagare di persona. Alla fine della sua avventura sovietica si ritrova solo, «spaventosamente solo»: «Je n'ai plus cette intrépide curiosité qui me lançait dans l'aventure, ni ce désir-besoin d'escalader ou de doubler monts et caps pour ce qui se cache de l'autre còté? J'ai vu l'envers sinistre de trop de choses» (Joumal, 26 gennaio 1939). Scomparsa Madeleine, crollati i credo, gli rimane il diario nel quale esorcizza la tentazione di rinunciare totalmente fantasticando un improbabile ritorno alle origini, alla morte. «Filér chez les nègres. »

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