pagina 14 Kafka oggi A cura di Giuseppe Farese Adriatica, Bari, 1986 pp. 368, lire 25.000 Nadia Fusini Due. La ~ione del legame in Kafka Feltrinelli, Milano, 1988 pp. 190, lire 20.000 K afka oggi raccoglie saggi di studiosi dell'opera di Franz Kafka che, in occasione del centenario della nascita dello scrittore praghese, hanno partecipato al Simposio Internazionale Kafka oggi tenuto presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bari dal 21 al 24 marzo 1983. Il volume è il punto d'incontro di più percorsi critici; anzi, come Giuseppe Farese, curatore della raccolta e promotore del convegno esemplifica nella premessa, «esso doveva significare un momento d'incontro nuovo e originale con un autore così decisivo per l'epoca in cui viviamo.» Momento d'incontro e inoltre di proposta e revisione di un'opera che è stata scandagliata, destrutturata e riconsegnata anche splendidamente. Su una impostazione che non trascura alcuno dei grandi temi dell'itinerario critico a cui l'opera di Kafka ha dato vita, si innesta l'apporto critico recente e modernamente inteso. All'interno di un'impostazione dialogica di temi e proposte, il testo kafkiano si apre a più percorsi interpretativi: i saggi di Bartsch, Wunderlich e Urbach intendono evidenziare gli aspetti ricettivi dell'opera di Kafka da parte degli autori contemporanei, oltre che dei lettori italiani (Cusatelli). Anche l'epistolario diviene un attento oggetto di lettura, anzi, «un diagramma della solitudine» (Farese), là dove «l'ambivalenza, l'oscillare indeciso fra due situazioni contrastanti e irrisolte, cifra della vita e dell"opera di Franz Kafka, emerge con drammatica evidenza[ ... )». La scrittura è il luogo in cui due diverse modalità esistenziali emergono: la solitudine e la comunicazione umana, poiché «scrivere isola, ma può e deve anche unire». La drammaticità della situazione esistenziale di Kafka si delinea in tutta la sua chiarezza nel saggio di Farese. Saggio a cui ben si collega la riflessione di Goldstiicker sulla problematica posizione kafkiana all'interno della tradizione orientale e occidentale, oltre all'analisi del variegato rapporto tra ebraismo e scrittura (Freschi). L'intervento critico si concentra, poi, sull'interpretazione del racconto Un digiunatore (Neumann). Interpretazione variamente e ampiamente articolata, condotta nel segno dell'evidente problematicità dell'opera kafkiana e del suo perenne sottrarsi all'interpretazione, non appena si cerchi di ricavare da essa un concetto omogeneo di senso. Un digiunatore fornisce proprio il modello di un rifiuto dell'omologazione del soggetto da parte delle «norme» dell'educazione. Il rapporto tra desiderio e legge è sovvertito in nome di una diagnosi socioculturale: «La produzione del 'segno assoluto' nel gioco che il digiunatore fa con se stesso è l'ultima conseguenza della ribellione dei corpo contro la fame socializzante - dunque pure identificante, ma anche definente - dei sistemi di segni». Kafka raccorìta l'autoconsumazione di un segno che, per poter essere deve estinguersi. È l'inganno della scrittura per cui scrivere sarebbe «ingannare senza inganno». Il rifiuto del cibo si configura in questo contesto, come il sintomo di un più profondo disagio esistenziale, come la trasformazione del desiderio nel suo contrario, come la negazione del desiderio stesso. Se Kafka si inscrive in una storia di proI pacchetti di Alfabeta gressivo isolamento e annichilimento, Un digiunatore racconta quanto il rifiuto del cibo indichi il rifiuto nascosto del padre e con esso del principio di autorità. Ancora una volta Amore e Morte incidono e scandiscono il battito della scrittura kafkiana al punto che la domanda che Neumann si pone è «se il discorso di Kafka sul mangiare non sia ancora una volta un discorso sull'amore, così come esso si impara nella famiglia e nella società». Domanda che rimanda al nodo centrale della sua opera: la solitudine e la comunicazione sulla scena aperta dal conflitto con il padre. Il figlio, la cui origine e identità è stata negata dal padre, •reitera nella scrittura la negazione del se stesso e insieme del significato. Negazione che condiziona lo sviluppo e l'evolversi del a che, secondo la stretta congiunzione di Eros e Thanatos». E il dramma di Kafka si gioca tutto sulla incapacità di mantenere il rapporto tra lo e lo ideale (Dettmering). Perciò Klinger afferma che la prosa kafkiana «funziona quasi come drammaturgia della non motivazione e della confutazione del motivo». Insomma, ciò che Kafka rivela nella sua scrit- . tura non è altro che quella disperata «rivelazione di una inaudita incapacità» (Kafka). A questa incapacità Kafka si affida, congedandosi dal mondo del letterale per ritrovare se stesso nel letterario. Non senza che un varco rimanga aperto all'individualità, nella forma dell'attenzione sempre tesa al rapporto con l'altro. È questo ciò che la scrittura di Kafka ci offre: un'attesa, uno Vladimir Maiakovskij, Quello che penso ti dico, Radio Ottobre; foto di Alfonso Zirpoli profondo senso di amicizia, che conserverà i tratti ambivalenti di un desiderio mancato. Amicizie sempre tormentate, quelle di Kafka, come quella tra il medico-scrittore Ernst Weiss (Engel). Amicizie che recano in sé la «cognizione del dolore» (Masini) . che ha pietrificato il momento della unione o meglio della comunicazione. In Cognizione del dolore come gnosi in Franz Kafka Masini infatti, muovendo dal problema della gnosi del dolore nell'opera di Kafka, giunge alla conclusione che «Gnosi è per Kafka la rivelazione di quell'erramento del significato che è anche un incremento del significato, per cui esso, [... ], si raccoglie in quella segnatura profonda da cui emanano le potenze magiche del nome impronunciabile. Per questo la cognizione del dolore può essere compresa come quella distruzio:.- ne che non distrugge, ma edifica, poiché essa inscrive il dolore in quell'erramento del significato che è anche l'esilio della Schekhinah». Il misticismo ebraico intesse quindi profondamente la cosmogonia kafkiana. Cosmogonia che la indagine psicoanalitica ha cercato di decifrare e disarticolare, nella consapevolezza che la scrittura kafkiana costituisce un prisma a..più facce, sempre irriducibile e altro (Dettmering, Barilli). Dopo aver affermato che le varie forme del comico sono attigue a quelle dell'onirico, Barilli avanza l'ipotesi che ciò che Kafka mette in scena nellà sua opera è proprio il conflitto freudiano tra Ego ed Es, nella forma di pulsioni libidiche che si scatenano contro gli adulti inaspettatamente, generando situazioni di sottile quanto calcolata comicità. E noi «sappiamo che l'autore è sempre lui, l'Es, il protagonista, nel vero senso della parola, di tutti i drammi kafkiani, il quale libera, scatena pulsioni libidispiraglio, un varco. Leggere Kafka significa dunque, rimanere nell'orizzonte dell'attesa, tra dubbio e sospetto. Una fermavolontà d'incontro e di chiarificazione spinge verso la storia di Kafka: la storia di una scrittura che sempre genera mille altre «scritture» . L a passione del legame in Kafka. La passione di «un» legame: quello ~he lega Nadia Fusini al testo kafkiano. Testo come vita e soprattutto come misterica condensazione della vita nella parola di scrittura, come darsi e non darsi nell'«architettura» del segno. Darsi e legarsi piuttosto: questo il nodo che l'accostarsi di Nadia Fusini all'opera di Kafka ha cercato di scogliere. E via via, si è spinta in ogni piega del suo essere con gli altri e per gli altri. Felice, Milena: due donne a cui il suo messaggio è stato destinato, due punti di contatto. Mai però può completarsi la costruzione del ponte fra sé e gli altri. Kafka rimane infatti, al di là del mondo, osservatore del proprio legame interrotto, della catena spezzata. La «tana» è il suo rifugio; la «finestra» il suo punto d'osservazione. . «lo, soltanto io, sono osservatore della platea», scrive Kafka. Solo l'osservazione e l'auto-osservazione sono possibili all'interno di una realtà inconfondibile e troppo violenta, di gesti semplici eppure così lontani. Kafka, scrive Nadia Fusini, è come quel bambino che non si è avvezzato alla realtà e continua pertanto a domandare i nomi delle cose, quel fanciullo strappato al tepore del letto e scaraventato su di un balcone nel cuore della notte, perché desiderava semplicemente placare la propria sete. Quell'antico bisogno stroncato dal padre si •caricherà della valenza simbolica di un atto non compreso e della colpa a esso connessa. Il pianto di un bimbo diverrà il rimpianAlfabeto 112 to di un uomo a cui ogni legame è stato negato. Solo, di fronte a se stesso, Kafka altro legame non ha: alla domanda non segue più alcuna risposta. Il legame è stato tranciato, lasciandolo privo di sostanza, di corporeità, di ipseità. Kafka allora, rifiutando l'univocità del nome, «vacilla sull'orlo dello zero» (Fusini). Kafka non è mai nato a se stesso. Di qui tutto si dispiega o forse nulla può più dispiegarsi, poiché Kafka ha perso l'origine. Egli è dunque, prigioniero di questa contraddizione: da una parte lo spazio vuoto dell'assenza paterna e materna; dall'altra, proprio per questo, alla domanda «chi mi salva?» segue il proiettarsi in quel vuoto e nella colpa per non aver capito perché. Kafka si vede lì per sempre, solo, allo zero del proprio essere. E tuttavia egli converte la propria esclusione in immagine, divora con la parola e ne è divorato, nel tentativo di individuare quella che potrebbe essere la sua posizione nel mondo, se anche vi appartenesse. Ma è proprio questo ciò che gli è negato: l'appartenenza, l'identificazione, l'origine. E un profondo senso di inadeguatezza invade la cosmogonia kafkiana, inadeguatezza che si trasforma in infelicità non appena il rimpianto per una felicità perduta traspare tra le righe della sua scrittura, accanto alla consapevolezza che la felicità è un inganno. E Kafka è l'agente attivo di questa infelicità: egli si identifica al tempo stesso con il carnefice e la vittima. In tal modo ha cercato di strapparsi all'immaginario della salvezza. Esso però riemerge, avvampa di nuovo; ciò che era stato ripudiato risorge; a un tratto, tra i continui balenii dei gesti e delle parole, sale un lungo lamento. Il lungo lamento di un uomo che ha un desiderio: il desiderio di un nesso profondo. Kafka cerca allora la madre: la madre muta però, non gli dice più cos'è. E lui fluttua dolorosamente, senza più basi. E tuttavia, parola dopo parola, lettera dopo lettera, cerca disperatamente di colmare quell'abisso al di là del quale egli «vede» Milena, Felice e infine Dora, sua ultima e dolce compagna. Una parola dopo l'altra uno sguardo dopo l'altro, l'unica fascinazione è però quella del ~ilenzio. ~el silenzio egli aspetta un arrivo, un ritorno, una lettera. E l'attesa è per lui un incantesimo: forze oscure la dilatano. Ciò però che attende non è un essere reale, a cui dare se stesso. Darsi pienamente è per Kafka impossibile. Sempre rimane però la tensione verso l'impossibile come dinamica tra solitudine e comunicazione umana, tra ipseità e alterità. Il legame allora, l'unico possibile è con la scrittura, che però non si sottrae alla minaccia luttuosa; anzi è proprio «la morte minacciata il nucleo della scrittura e della 'follia' di Kafka» (Fusini). Nella scrittura si celebra la tensione al legame e al tempo stesso l'allontanamento; essa codifica l'ambivalenza, aprendo a un altro mondo, aprendo all'infinito, oltre la univocità del significante. Introdurre nel cerchio finito della parola l'avventura dell'infinito, l'avventura di una metafora che ha perduto il suo referente, questo Kafka ha desiderato con chiarezza e lucidità estreme. Solo la parola risponde al suo appello: Dora forse rappresenterà per lui la parola «legata» all'origine. Noi però non sappiamo. Egli può solo assumersi la responsabilità di percorrere l'avventura del negativo fino in fondo. È q__uestla'avventura del pensiero kafkiano. E questa anche, l'avventura di una donna, Nadia Fusini: la consapevolezza che l'unico «gesto» possibile di fronte all'opera di Kafka sia riconoscerne la estrema alterità e problematicità, l'aver saputo fino in fondo che ciò a cui si approda è il silenzio dell'anima.
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