Alfabeta - anno X - n. 112 - settembre 1988

pagina 12 Carlo Ossola Dal «Cortegiano~ all'uomo di mondo Einaudi, Torino, 1987 pp. 190, lire 20.000 Torquato Accetto Della dissimulazione onesta A cura di S.S. Nigro Costa e Nolan, Torino, 1983 Rime amorose A cura di S.S. Nigro Einaudi, Torino, 1987 pp. 170, lire 10.000 Rosario Villari Elogio della dissimulazione Laterza, Bari, 1987 pp. 135, lire 15.000 ' E noto come le categorie centrali attorno a cui si costruisce il più importante trattato sul comportamento dell'intero XVI secolo, Il libro del Cortegiano di Baldassare Castiglione, siano due modalità dell'apparire, la grazia e la sprezzatura. Se la prima - codificata ad esempio nei capitoli XXV-XXVIII del primo libro del trattato - va intesa come canone della compostezza, dell'ordine, dell'equilibrio dei movimenti, delle parole e degli atteggiamenti, la seconda, che affiora più volte nell'opera castiglionesca è la qualità della dissimulazione; cioè l'abilità, a cui il perfetto cortigiano deve tendere sommamente, di occultare dietro una apparente ed esibita naturalezza, l'artificio dei comportamenti, la loro studiata armonia, la costruzione meditata del «rappresentarsi». Tra grazia e sprezzatura (con il polo antitetico dell'affettazione, cioè l'innaturalezza, massimo difetto del comportamento cortigiano), nella tradizione che il Cortegiano inaugura - o m_eglioconsacra, perché le fonti di essa, varie e molteplici, si perdono nel secolo precedente - va costruendosi un'etica dell'apparire che non soltanto fissa alcune figure-valori della cultura (ad esempio il «bello e buono» di tradizione classica), ma si diffonde nella pratica quotidiana, nella vita privata, come proiezione di un ideale modo di vivere; elabora quella «cultura dell'ordinario» - secondo la definizione di Carlo Ossola, in uno studio fondamentale, da meditare e da discutere, sul tema - che diviene, attraverso i secoli, il canale di formazione di valori mondani e sociali, come il «gusto», la «distinzione», il «bon ton». Ma se, nel corso di due secoli, si attua un processo grazie a cui «il cerimo~ niale, in Italia, è la 'materia prima' non solo l'aspetto formale, della politesse» (Ossola, p. 14), vale a dire si realizza una radicale autovalorizzazione dei"principi etici ed estetici che presiedono al comportamento quotidiano dell'aristocratico o comunque della persona «distinta» - che sul modello aristocratico si proietta - occorre articolare secondo precise discriminanti culturali i significati che proprio il cerimoniale come materia prima della «buona educazione» assume. Insomma, in breve, all'interno di un percorso tortuoso ma comunque senza soluzioni di continuità qual è quello che condu-. ce dal cortigiano all'«uomo di mondo» - percorso da analizzare per comprendere le derivazioni antropologiche di certi comportamenti «moderni» - appaiono delle discri- 'minanti talmente importanti e -vincolanti che permeano dei propri valori, dei propri punti di vista, epoche intere. Solo a condizione di tenerle presenti e renderle culturalmente attive è possibile intraprendere progetti storiografici, per tanti versi oggi indispensabili, quali quello di una storia I pacchetti di Alfabeta Alfabeta 1121 tto della vita privata ideato da Philippe Ariès e Georges Duby. Una discriminante della forza di cui ora si è detto, capace di articolare il fitto panorama della trattatistica sul comportamento e della precettistica per il perfetto uomo di corte, o segretario, o studente, o uomo di mondo, ecc. risiede sicuramente nella prospettiva che viene introdotta da un libro famoso, ma forse più citato che letto, Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto, pubblicato a Napoli nel 1641 e recentemente riproposto da Salvatore Nigro che ne svela il carattere non solo teoricamente, ma praticamente - nella pratica della scrittura - dissimulatorio. La storia del libro, quale la racconta il curatore, è una complicata e dolorosa, proprio perché occulta, dissimulata, vicenda di autecensure, cancellazioni, cicatrici e suture che il testo esibisce a testimonianza della propria travagliata genesi e quasi a sostegno, nella concretezza dell'esperienza, dei consigli sul gnato dall'Accetto, i principi estetici e morali, del buono e del bello, della buona creanza come esito supremo dell'educazione, della coscienza di sé, della conoscenza del mondo. Il libro dell'Accetto apre una prospettiva radicalmente nuova, come si diceva, nella trattatistica del genere: e così marca in modo inconfondibile tutta una serie di opere che a esso si richiameranno: è la parola che mette fine al lungo discorso sulla cortigiania portato in auge dal Castiglione. «Nella dimensione turbata del suo stile turbato - scrive Nigro - si dissolve la sprezzatura raccomandata da Castiglione»: essa non è più possibile perché la naturalezza esibita dall'uomo di corte non cela soltanto l'artificio che la costruisce, ma dissimula: cosa dissimuli è una domanda che si perde nei recessi del vacuum improprium, nel mondo notturno che l'arte dissumulatoria separa, cautamente e definitivamente dal mondo solare dell'autorappresentazione. MicroMeg2a/88 ~.;tn t•~ ........... .. ·•-•"' Hannah Arendt Gunter Anders JeanAméry Heidegger in questione Tre testi inediti modo di rappresentarsi che esso elargisce. Ma se, per sottrarsi agli strali dell'invidia e della sfortuna, la regola aurea predicata dall'Accetto è l'«esser d'assai e talor parer da poco», questo è reso possibile, nell'ottica dei rapporti di corte in cui il libro pure s'innesta, dal ricordo della fisica aristotelica che voleva l'esistenza, in natura, di uno spazio vuoto, dalle particolari caratteristiche. «Come fuor del mondo si concede quello che da' filosofi è nominato vacuum improprium [... ] così l'uomo ch'è un picciol mondo, ha talor in sé un certo spazio da chiamarsi equivoco, non già inteso come semplice falso, a fine di ricevere in quello, per così dire, le saette della fortuna e accomodarsi a riscontro di chi più vale e anche più vuole in questo corso degli umani interessi.» Questo spazio equivoco, dove l'individuo può ripararsi dai colpi della cattiva sorte e dalle aggressioni dei potenti, è quello che permette la teoria della dissimulazione (che dà «riposo al vero»): essa è principio di ordine e armonia, «rappresentazione» dell'ordine della creazione e occultamento del disordine provocato dalle passioni umane. È essa che in fondo consente di vivere le tensioni dei rapporti sociali; è essa che fonda, nel sistema di valori diseA distanza di qualche anno, un altro tassello di questo quadro inquietante è offerto dall'edizione, ancora curata da Salvatore Nigro, delle rime amorose dell'Accetto, parte di una più vasta raccolta del 1638, che riproponeva e integrava edizioni di versi precedenti, del 1621 e del 1626. La continuità di questo discorso poetico e la vicinanza dell'ultima edizione dei versi al trattato sulla dissimulazione non consentono di ignorare gli intrecci intertestuali. E questa intertestualità si attua tanto a livello tematico quanto sul piano dello statuto dello scrittore e della scrittura. Il livello è già sufficiente per svelare dimensioni inusitate dietro l'esibita maniera petrarchista dei componimenti: se nel trattato era presente un capitolo dal titolo Come quest'arte può star tra gli amanti, in cui si descrivevano le pratiche dissumulatorie negli amori cantati dai poeti, nel corpus delle rime - per non dire di più esplicite riprese tematiche - si annida la radicale dissimulazione di un «amor trernendo per la bella e fedele vedova di un amico», di cui Nigro ricostruisce precisamente la storia. Il «romanzo» sentimentale non riposa più sui consueti canoni petrarcheggianti, ma è dissolto nella struttura politematica, rappresentazione di sé senza tempo e, in fondo,· senza volto, del canzoniere amoroso. Ma c'è di più: in una pagina vertiginosa, il curatore di queste rime ricorda l'autoritratto in versi che l'Accetto depone in un trittico di sonetti che ne illustrano studi e ambiente di lavoro. Sul modello tipico di Eraclito che piange sulle follie del mondo e di Democrito che ne ride, Accetto coniuga i contrasti risolvendosi ad accettare l'infelicità quotidiana di un lavoro servile con il ciglio asciutto del saggio che dissimula le passioni, il riso col pianto e viceversa. Il rifrangersi dell'iconografia canonica del sapiente dinanzi al disordine dell'esistenza, in un gioco di rimandi e occultamenti, rivela la natura di «maschera» dell'identità, la sottrazione di valore a un'idea di «verità» che si ritrae così nel puro gioco di relazioni, di simulazioni e dissimulazioni. Le rime dell'Accetto descrivono una fase di grande significato nella tradizione del discorso sull'autorappresentazione, in un quadro di comportamenti sociali o letterari. Le rime amorose diventano, lette in questa chiave, l'esito di una proiezione sul linguaggio poetico di una serie di tecniche discorsive - derivate da un «ordine del discorso», alla Foucault - improntate alla figura chiave della dissimulazione. Questo processo è amplificato da un'ampia serie di prospettive, convergenti sul tema. Rosario Villari, nell'Elogio della dissimulazione, coniuga e intreccia strettamente la cultura dell'occultamento e il modo stesso di far politica, anzi addirittura di pensarla, nella prima metà del secolo XVII, in quel laboratorio ideologico e culturale che è il regno di Napoli. Villari descrive ampiamente come la teoria della dissimulazione sia presente in modo massiccio e spesso determinante nell'opera di pensatori, letterati, filosofi, storiografi: da Bacone a Grozio, dal Boccalini al Malvezzi, emerge un pensiero della scissione tra dire o parere ed essere, tra «rappresentazione» sociale del consenso e esperienza privata, pratica sotterranea del dissenso. Perfino in un manuale di un teologo gesuita del 1625, accanto alla condanna della «pratica nicodemita di negare la propria fede 'externa voce' nella persecuzione», si giunge a una legittimazione della dissimulazione, perché «aliud est negare fidem quod non licet, aliud est tacere, dissimulare, occultare». Non sono convinto che Accetto, in questo contesto, si distingua dalla tradizione della trattatistica cortigiana per «amor del vero», come sostiene Villari: il problema della verità - in un'ampia gamma di accezioni - sottende tutto l'albero, ramificato, della tradizione ben prima della Dissimulazione onesta; ma è un giusto rilievo quello che di quest'opera pone in evidenza «il dominio della ragione sull'impulso, sul 'precipizio di senso', l'apprezzamento di 'quella piena autorità che l'uomo ha sopra se stesso quando tace a tempo e riserba pur a tempo quelle deliberazioni che domani per avventura saranno buone e oggi sono perniziose' ... È un elogio della razionalità, concreta, della politicità intesa positivamente come opera di libertà» (p. 39). Questa razionalità che fa sì che il pensiero dissimulatorio e l'educazione al tacere e ascoltare siano valori saldamente in vigore anche nei trattati moraleggianti del pieno Illuminismo. Dal platonismo del cortigiano cinquecentesco alle buone maniere dell' «uomo di mondo» c'è un cammino da un lato lineare, dall'altro scandito da cesure: in entrambi i casi molto più di quanto le tradizioni storiografiche ci abbiano detto sinora.

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