Alfabeta - anno X - n. 110/111 - lug./ago. 1988

., Alfa beta 11O/11I e il linguaggio delle foreste, delle tribù, del primitivo selvaggio che dorme nelle viscere dell'uomo occidentale. Acquisiscono spessore elementi della materialità tradizionalmente trascurati e occultati a favore dell'assunzione ideale e simbolica del mondo classico. Lo stesso mondo greco si popola di animali e di piante, mostra il legame tra il quotidiano e l'istituzionale, tra l'alimentazione, le pratiche e i rituali sacrificali e le strutture dell'ordine sociale e politico, È in questi luoghi che si crea l'identità tra individuale o collettivo o si esercita la trasgressione. Qui possiamo cogliere, anche, la presenza e insieme il processo di allontanamento e di esorcizzazione del mondo preistorico. E possiamo ritrovare, trasposti e ridefiniti, gli stessi nodi e grovigli della materialità che sono attivi nella preistoria. Di nuovo si presentano sulla scena la caccia e l'agricoltura, il maschio e la femmina, di nuovo il cibo e i tabù a esso connessi,- in contesti sempre più carichi e densi simbolicamente, ma sempre pulsanti di materialità. È esemplare su ciò l'importanza della cucina del sacrificio e - per contrasto - la scelta di una alimentazione vegetariana e dell'omofagia per contestare la città o per esprimere la propria identità e l'uguaglianza di tutti nella città rotonda, nell'isonomia. Soprattutto è sorprendente seguire le tracce del rapporto fra il mondo vegetale e la femminilità. Solo nel momento in cui abbiamo cessato di assumere come modello il mondo classico e siamo diventati consapevoli delle differenze tra il mondo greco e quello attuale e abbiamo preso la giusta distanza, si è dato l'accertamento rigoroso delle peculiarità del mondo classico, diventato finalmente greco, se stesso, non più modello, ma ventre originario. Possiamo allora misurare la distanza tra il suo essere una società altra e il suo essere luogo dei sogni e dei desideri, proiezione delle identità e delle passioni dell'uomo moderno. Si allontanano gli archetipi e le strutture originarie, le pulsioni e la follia di cui l'uomo moderno ha caricato in proiezione il mondo greco. E mentre riconosciamo nostra la follia, appare una civiltà che ci costringe a ripensare la stessa categoria di cultura elaborata nella modernità. Ritroviamo la radice della cultura nella coltura, nel «colere» nel coltivare; e risulta il rapporto stretto tra materialità e livello simbolico. 16 Cominciamo ad avvertire che se la cultuGli sviluppi attuali della tecnologia applicata alla riproduzione artificiale hanno prodotto fra le donne un'immediata mobilitazione. In Italia un convegno nazionale promosso dal GA TRA e tenutosi a Bologna il 10, 11 e 12 giugno 1988, ha raccolto le adesioni di donne provenienti da ambienti disciplinari e politici diversi; segno di un'urgenza che non tendeva - o non tendeva soltanto - a un pronunciamento, quanto a rimettere in discussione tutte le tematiche che si annodano intorno al «desiderio di maternità». Il mio articolo segue il filo di interventi precedenti («Alfabeta» n. 72: Aporie del materno; «SE», ottobre 1985: Che cos'è procreare?; «Lapis», n. 2: L'enigma della fecondazione) e sarà ripreso nel prossimo numero di «Democrazia e diritto» (n. 4 1988: Donne e tecnologia: sfida al reale e la sua passione). Credo che la psicanalisi - insieme al diritto, la filosofia e l'etica - sia chiamata a intervenire con i suoi saperi nello scenario epocale che le nuove tecniche riproduttive stanno allestendo: non per giudicare o decidere ma per contornare quel nucleo di «reale» che quelle tecniche spalancano con un «dire» derivato dall'ascolto clinico. Per avvertire, anche, che il registro del reale in' cui si inscrive la nascita (e la morte) di ogni soggetto è inscindibile dall'immaginario che la contorna e dal registro che la assume ordinandola nella successione dei viventi. Laboratorio italiano 88/Saggistica ra è onnipresente come l'aria che si respira e come questa è innavvertita, va cercata nella gestualità e nella parola del quotidiano, nelle mille voci e nei silenzi che si ripetono uguali, al di là della civiltà della scrittura, del libro e dei media. La cultura sta nel ventre della storia. Qui è il vivo, il resistente. E all'interno di questo mutamento o piuttosto ampliamento della nozione e categoria di cultura, si pone in particolare, mi sembra, il mutamento, per noi, del senso della storia. La materialità della storia si palesa al di là della civiltà della scrittura, o può essere ripensata a partire dalla crisi del primato della scrittura e della politica. È con gli strumenti della civiltà materiale che si delinea di nuovo e diversamente una storia universale, che non solo lega insieme Europa, Asia e Africa, ma che ha radici nella materialità della cultura e nel rapporto uomo-ambiente. È il rapporto dell'uomo con l'ambiente che si pone come punto di vista privilegiato: è tale rapporto che il primato della scrittura occultava. Viene anzi in luce la labilità e il carattere mitico dell'informazione' 7 che deriva dalle testimonianze scritte. La cultura materiale, fonte dell'archeologia, dilata i tempi e gli spazi, riporta sulla scena le civiltà scomparse e i popoli senza storia. Forse anche i popoli del Terzo Mondo hanno qui la possibilità di pensare una storia a partire dalle proprie radici, senza la griglia del colonialismo; sono un mondo e non un'appendice di una realtà altra. Noi stessi, allora, siamo costretti a rivedere la dematerializzazione novecentesca e la sua unilateralità del mentale, del verbale e del simbolico: siamo riportati sulla terra e siamo costretti a occuparci del cielo, come ironicamente dice Braudel, cioè dei mutamenti climatici e delle ferite che lasciano sulle scorze degli alberi, e così facendo, mutano e anche travolgono intere civiltà o tracciano impensabili relazioni e corrispondenze. 18 Note (1) Paul Vidal de la Blache, Principes de gécgraphie humaine, Paris, 1955 (opera postuma, pubblicata per la prima volta nel 1922).Fernand Braudel ha completato l'immaginecon un riferimento ad Antoine de Saint-Exupéry,che ha detto la stessa cosa, a suo modo, notando che l'universo delle fontane e delle case è una stretta faeia sulla superficie del globo: basta un errore e ci si trova nel deserto o nella foresta (Terre des hommes e Il piccolo principe): cfr. Fernand Braudel, Le struuure del quotidiano ( I979). Einaudi. Torino, 1982. (2) Il problema del numero e delle variazioni demografiche è centrale nella ricerca condotta da Braudel (Le strutture del quotidiano, ed. cit. ): da esso parte la ricostruzione dei caratteri peculiari della civiltàoccidentalee la valutazione delle convergenze e delle differenze rispetto ad altre civiltà. Si tratta di una problematica centrale della stor.iii«seriale»: cfr. Pierre Chaunu, La durata, lo spazio e l'uomo nell'epoca moderna (1974), Liguori, Napoli, 1983. (3) L'implicazione tra sessualità e cibo è innanzitutto oggetto di riflessione in Claude Lévi-Strauss, li pensiero selvaggio (1962), il Saggiatore, Milano, 1965. È ora svolto sia in sede antropologica negli studi relativi alle bande dei cacciatori e raccoglitori e in un ripensamento teorico globale della civiltà preistorica: cfr. E. Service, The Hunters, Englewood Cliffs, New Jersey, 1966,Prentice Hall; R.B. Lee, I. DeVore (a cura di) Man the Hunter, Aldine, Chicago, 1968;Luisa Moruzzi, Riti di riproduzione e subordinazione della donna in Australia, in «Annali della facoltà di scienze politiche», 15, Quaderno dell'Istituto di Studi sociali, 2, Università di Perugia, 1978-79; Divisione sessuale del lavoro e subordinazione della donna nelle società di cacciatori e raccoglitori, Aspelli tecnico-economici in «Rivista italiana di sociologia», II, 1979; Maria Arioti, Divisione del lavoro e subordinazione della donna nelle società di cacciatori e raccoglitori. Aspelli rituali, in «Rivista italiana di sociologia», Il, 1979; Produzione e riproduzione nelle società di caccia e raccolta, Loescher, Torino, 1980. (4) Cfr. Pierre Chaunu, La durata, lo spazio e l'uomo nell'epoca moderna, ed. cit; in particolare la seconda parte, Lo spazio, il cui capitolo primo ha per titolo: Le regole dello spazio. Lo spazio e il cibo. (5) Cfr. O. Ames, Economie annua/s and human culture, Botanica! Museum, Cambridge (Mass.), 1939. (6) Cfr. V. Gordon Childe, Le Mouvement de l'histoire, Artaud, Paris, 1961. (7) Cfr. André G. Haudricourt - Louis Hédin, L'homme et /es p/antes cultivées, Gallimard, Paris, 1943. (8) Cfr. C.O. Sauer, Agricultural origins and dispersals, Bowman Memoria( lectures, serie 2, American Geographical Society, New York, 1952. (9) Cfr. Marshall D. Sahlins, La première société d'abondance, in «Les Temps Modernes», n. 268, Paris. La considerazione delle società preistoriche come società dell'abbondanza è tema centrale dell'analisi e della polemica svolta da MarvinHarris, Cannibali e re (1977),Feltrinelli, pagina 9 Milano, 1979. Di contro, altrettanto polemicamente e paradossalmente, Pierre Chaunu ha sostenuto che le società dell'abbondanza sono destinate all'estinzione, perché in esse manca lo stimolo al progresso e allo sviluppo. Questa tesi è svolta innanzitutto per le società amerinde che gli appaiono morte, soffocate dalla massa del tempo libero, in Conquete, exploitation des nouveaux mondes, P.U.F., Paris, 1969.La tesi è ripresa e riproposta in La durata, ... , cit. (10) Cfr. R.J. Braidwood-C.A. Reed, The achievement and early consequences of food production: a consideration of the archeologica/ and natural historical evidence, Symposia on Quantitative Biology, 22, Cold Spring Harbor, 1957. (11) Ignami: si tratta di liane che danno tuberi da cui si estrae una fecola nutriente. Taro (colocasie): si tratta di piante similialle barbabietole. Cfr. Jacques Barrau, Les plantes alimentairesde l'Océanie, «Annales du Musée colonia!de Marseille», 1962. (12) Cfr. Jacques Barrau, Origines de /'agricolture, domestication des végétaux et milieux contrastés in J.M. Thomas, L. Benoit (ed). Milieux et Techniques, Il, Paris, 19726 L'humide et le sec, an essay on ethnobiological adaptation to contrastive environments in the Indo-Pacific in Peoples and Culture of the Pacifica cura di A.P. Vayda, NewYork, 1968.Va comunque ricordato che delJe società del vegetale è teorico di straordinaria sensibilità Pierre Gouru, che è anche intervenuto su questo tema: cfr. La civilisation du végétal in «Indonésie» I, 5, 1948; Etude du monde tropica/ in «Annales du Collège de France», Paris, 1965-1966. ( 13) Cfr. Marvin Harris, Cannibali e re, cit. (14) «Ipotesi Sapir-Whorf» sulla relatività linguistica è espressione di John B. Carroll: cfr. Introduzione a Benjamin Lee Whorf, Linguaggio, pensiero e realtà, (1956) Boringhieri, Torino, 1977.Gli studi di Whorf si sono diretti alle lingue e alle civiltà americane. Di particolare interesse sono i saggi relativi alla grammaticahopi e al modellodi universoche da essa deriva. Nella sua teorizzazione fondamentale «culturalista» emerge come interessante il rapporto tra linguae segmentazione dell'esperienza. Quindi la linguistica è assunta come «ricerca del significato»:è una linguisticapiena di referenze. (15) È Georges Dumézil il teorico maggioredel mondo indoeuropeo e della sua permanenza all'interno delle diverse civiltà che da esso si sono originate. Cfr. in particolare La religione romana arcaica (1974), Rizzoli, Milano, 1977; Gli dei sovrani degli Indoeuropei, (1977), Einaudi, Torino, 1985. (16) Cfr. Marce( Detienne, L'invenzione della mitologia, (1981), Boringhieri, Torino, 1983. (17) Cfr. Goffrey Barraclough, Atlante della storia, /945-1975, (1976), Laterza, Bari, 1984. (18) Cfr. Fernand Braudel, Le strullure del quotidiano, cit. arisa Fiumanò Per questo l'intervento sul reale della nascita si ripercuoterà sugli altri due registri con esiti difficili da valutare adesso ma su cui è importante da adesso riflettere. M.F. Fuori corpo T re anni fa, a Milano, un convegno sul parto registrava una partecipazione ampia e vivace di donne. L'aspetto dominante, quello che produceva le rivendicazioni più appassionate, riguardava la demedicalizzazione del parto: strutture ospedaliere più flessibili, assistenza psicologica alla puerpera, possibilità di partorire a casa propria senza rischi, presenza del partner ecc ... Tutto, comunque, partiva dal presupposto che la maternità non potesse essere alienata alle donne. Già allora, l'applicazione delle tecniche di fecondazione artificiale cominciava a far insorgere e circolare, ma non clamorosamente, le prime minacce di «spossessamento» della maternità, prefigurazione di quanto sarebbe potuto accadere, ma in un mondo supposto quasi fantascientifico. Usciva in quell'anno, il 1985, uno spassoso libretto di Claire Bretécher: La storia di Monique, una lunga strip che raccontava l'odissea di un embrione più volte estratto e reimpiantato in uteri femminili diversi, poi confuso con embrioni animali, infine trasferito in una vacca che partoriva, infine, il bambino ... di Monique. Il fumetto metteva in berlina - e scopriva la menzogna, anche - di quel «mater semper certa» dell'antico detto latino ormai non più attuale. In quella storia la «mater» era invece contingente; di più: casuale. Quell'umorismo oggi non prefigura più il futuribile: oggi è possibile, forse, trapiantare un embrione umano in un altro mammifero. Nel convegno che ho ricordato non c'era traccia di dubbio sul fatto che parto e maternità potessero essere negati alle donne: il problema che si poneva era solo autogestirli, come sottrarli alla medicalizzazione e ripristinarne la naturalità. L'irrequietezza e l'urgenza di oggi allora non erano diffuse tra le donne; l'allarme era suonato, ma veniva percepito lontano e comunque come cosa che riguardava una minoranza esigua. Non era ancora affare di ognuna e di tutte. L'urgenza che si respirava adesso - anche se forse in parte indotta dall'amplificazione mediatica - è come spesso avviene quando si è pressati, particolarmente feconda. Questo momento, in cui non è ancora troppo tardi per pronunciarsi, ma si è contemporaneamente incalzate a farlo in tempi brevi, produce l'effetto di moltiplicare le domande e di riaprire questioni date magari per scontate. Come è, ad esempio, proprio quella della «naturalità» dell'avventura materna tanto difesa nell'occasione che ho prima citato. U . \ . na nascita rappresenta m genere un evento lieto: è l'effetto dei desideri dei genitori e, talvolta, di un più largo entourage parentale. La festa che accoglie il nuovo bambino, che gli riconosce un posto nella struttura familiare e sociale, serve a umanizzare un evento che nel suo fondo nasconde qualcosa di insensato, di difficile da significare: è un nucleo duro e insopportabile che chiamerò «reale». A questa dimensione «reale»· si possono ascrivere molti fenomeni verificabili nel puerperio e, come dirò più avanti, nella gravidanza: il senso d'irrealtà, lo spaesamento, la fragilità emotiva delle donne che hanno appena partorito - sensazioni che a volte stridono con le felicitazioni di chi assiste dall'esterno a una nascita - testimoniano che loro non possono evitare il lato di «assenza si senso» della nascita. Non è forse insensato partorire qualcuno che morirà? Qualcuno della cui morte siamo causa, dato che l'abbiamo fatto nascere? Le donne sanno - e lo esprimono a volte in vere e proprie patologie che si chiamano «psicosi puerperali» - che il e<reale»ha a che fare col fatto che la nascita del singolo non ha alcun interesse dal punto di vista della specie, dato che nella catena riproduttiva la nasèita di un nuovo individuo prefigura già la sua morte: un altro, ma non importa chi, gli succederà. Per questo, forse, in molte culture primitive il puerperio viene ritualizzato: alla

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