Alfabeta 110/111 mento dove è già precisato ciascun minimo dettaglio. «È lora!». Poiché in definitiva è il tempo che uccide ogni volta, e l'esecuzione capitale è un prendersi un largo anticipo sopra l'ora assegnata dalla natura, uno spintonare il tempo verso una conclusione che non è evitabile. Cloto taglia il filo. Il Vecchio con la falce divide in due l'esistenza dei mortali. Chronos divora i figli e abbatte gli uomini. «È l'ora!». Ma in questo caso, nel cortile che si dispone al giorno, la morte gioca in anticipo con l'aiuto di un apparecchio rozzo ma efficiente, capace di «spaccare la testa istantaneamente e con un solo colpo» (è quanto prescriveva il codice penale repubblicano). L'esecuzione rappresenta un rendez-vous che si è preso, non solo col tempo, ma pure con quella macchina con cui si produce morte come qualsiasi altro prodotto. Il quadrante dell'orologio e la falce leggendaria si ritrovano riuniti e perfezionati nella lama che attende in cima al palco. Ieri, ho letto sulla meridiana di una villa dell'Ile de France, l'iscrizione: Una ex his ultima (Una di queste è l'ultima ora.) Ho Che uno scrittore - o più modestamente, una saggista: dunque autore soltanto di scritti pedanteschi, uggiosi, di scarsa popolarità - debba aver sempre pronto il «manoscritto nel cassetto» è quasi una convinzione generalizzata. Cosa stai preparando? ti chiedono; mentre è appena apparso il tuo ultimo voluminoso volume che nessuno si è data la pena di leggere. E, allora, rispondendo all'invito di «Alfabeta»: ecco, davvero, il «manoscritto nel cassetto», c'è; anzi dovrebbe già uscire tra qualche mese da Feltrinelli. Si tratta d'un libro che riprende ed elabora alcuni dei temi per me fondamentali circa i rapporti tra arte e società: quelli del mito, del rito, e soprattutto della feticizzazione del/'opera d'arte nei continui meandri della quotidianità... G.D. Feticci di ieri e di oggi S i dice spesso - senza dare troppa importanza alla cosa - che gli oggetti appartenuti a una persona conservano qualcosa di questa: una sorta di imprimitura, forse un po' dell'energia, del «fluido», che dalla persona è passata all'oggetto e lo ha trasformato in reliquia. Non parlo ovviamente di reliquie di santi o di martiri, e neppure di brandelli di carne e di ossa, resti venerabili e venerandi divenuti oggetti di culto: ma piuttosto del fatto che non possiamo comunque negare che gli oggetti - non solo gli abiti o gli indumenti personali, ma i giocattoli, i gioielli, i monili - appartenuti al defunto, ci comunichino la sensazione indefinibile di conservare un quid misterioso come se qualche «cellula» o qualche molecola ancora vivente del morto fosse rimasta incapsulata nell'oggetto stesso, l'avesse reso quasi un depositario di forze e di tensioni che appartennero all'antico «proprietario». Non intendo certo fare, qui, ipotesi né scientifiche né magiche, né fisiche né metafisiche (nel senso etimologico del termine) attorno a questo problema; ma soltanto constatare come un oggetto possa caricarsi di forze che vanno al di là della sua sostanza e che possono giustificare anche le superstizioni (o le effettive ragioni?) di una così frequente tesaurizzazione di oggetti appartenuti a personaggi storici o celebri. C'è chi conserva religiosamente e colleziona insegne militari, medaglioni, onorificenze; chi va a caccia di divise e gagliardetti Laboratorio italiano 88/Saggistica atteso il tramonto, finché, sopra i vetri della bella facciata, ha cominciato a brillare l'ultimo sole del giorno. Alle machines célibataires non sembra bastare il lettore che sfoglia il libro o il pubblico che si accosta attento alla rappresentazione. Così collocano di partenza lo spettatore all'interno dell'opera. Sono i t_re, i quattro oppure i dodici «testimoni oculisti» del Grand Verre di Duchamp. I monaci inquisitori di Poe che, in tutta segretezza, spiano il giovane incarcerato. L'unico spettatore di Kafka, che ha l'aria di essere capitato lì per caso, come un uomo che abbia sbagliato l'ingresso e lo spettacolo. L'effetto umoristico risulta in tal modo assicurato dalla presenza dell'errore e del caso. Roussel è il solo a ristabilire una dimensione mondana, facendo entrare in scena lo scelto gruppo dei suoi invitati. L'illuminazione troppo intensa mette in risalto i frac degli uomini e gli abiti scollati delle signore. Le macchine celibi di Roussel sembrano funzionare unicamente nel corso delle festività, come, nell'Ottocento, le meraviglie maccaniche delle fiere. La «macchina per decapitare», da parte sua, si è assicurata in esclusiva la ressa, il pigia pigia, il formicofascisti, di vessilli comunisti, di stendardi sfilacciati di battaglie risorgimentali, di bacchette di direttori d'orchestra. Ma c'è chi conserva semplicemente l'ultimo vestito indossato dal familiare o quel giocattolo con cui si trastullava il bambino morto anzi tempo. Per non parlare delle fotografie che spesso non rappresentano neppure più le vere immagini di morti ormai lontani nel tempo, ma che sono quasi delle «pellicole» lio, l'entusiasmo, le grida, i cappelli in cima alle picche, tutte le gradazioni del pathos. Dietro la Bastiglia, nel caffè dei Quatre Sergents de La Rochelle. Vi consumo lentamente un demi, appoggiato al bancone di zinco. Dunque, è questo il locale dove la malavita parigina faceva celebrare la Messa a un prete spretato, nell'ora bianca e spettrale in cui, in un cortile non molto distante da qui, la Veuve stava celebrando il suo rito fatale. Scrivendo queste note, ho resistito al richiamo deldisegno davidiano raffigurante l'esecuzione di Luigi XVI e, cosa non ultima, ho tenuto testa alla fredda suggestione della sua bellezza. Il disegno compie una traduzione: trasforma l'accidente della morte in un evento della storia, nobilitato dalla mediazione del mondo classico: i cavalli collocati ai piedi del patibolo come altrettante sculture ornamentali; i sanculotti armati di antichi gladi e recanti insegne romane; l'austera toga del vecchio in primo piano. Particolarmente, la severità stoica e retorica degli atteggiamenti degli spettatori che, in piena consapevolezza, prendono parte all'evento memorabile, di cui ognuno sottolinea un distinto valore. zialità «altre» e trasformarsi a sua volta in feticcio. E, che un'analogia esista tra questa feticizzazione degli oggetti e quella di antichi talismani, pentacoli, reliquari è indÙbbio; come è indubbia la parentela tra quelle immagini feticizzate cui accennai all'inizio di questo libro e gli oggetti cui qui mi riferisco. Alla base di questa «tesaurizzazione og- «Una per tutte», 1901-1902 (come gli agalmata di cui discorrevo nel primo capitolo) che i morti abbiano abbandonato sulla terra perché la loro memoria non sbiadisse del tutto, come appunto sbiadiscono le fotografie racchiuse negli album familiari o fissate sotto vetro nelle loro cornici d'argento. Questi pochi cenni di preambolo, solo per ribadire quanto spesso l'oggetto, il più umile e dozzinale, possa caricarsi di potengettuale» c'è comunque tanto un aspetto negativo che uno positivo. Ed ecco perché: se spesso la conservazione superstiziosa e quasi maniacale di determinati oggetti sarebbe da bandire (lo stesso collezionismo spesso non è che una forma coatta di feticismo), credo invece che si debba considerare con occhio più benevolo la attribuzione di valori, non solo pratici, a determinati oggetti. Mi spiego: in passato era facile che pagina 5 Solo che la storia, col corteo dei suoi significati, parla ai vivi, agli uomini che dispongono del tempo; vale per tutti i partecipanti che tornano a casa dopo aver assistito alla decapitazione. È a essi che si rivolge con rigorosa eloquenza il disegno a penna attribuito alla cerchia di David. Per chi voglia invece scindere il tempo, penetrare nell'istante, far parlare l'intimità, il rapporto sensibile e oscuro tra il collo del condannato, il ferro della lunetta e il filo della lama, è bene che interroghi l'argot della malavita. Meglio è che parta dal grassatore Nicolas-Jacques Pelletier, che ha avuto il privilegio d'inaugurare la macchina della ghigliottina, che dal monarca Luigi XVI. O che riesca a scorgere istantaneamente come la lustra mannaia riconduca Luigi XVI a Luigi Capeto, né un sovrano e neppure un tiranno, bensì un uomo nella sua nudità corporale. L'eloquenza davidiana, col suo neoclassicismo e con la sua ideologia, riesce a trasformare la cronaca in storia. Anche il linguaggio della pègre possiede un potere di trasformazione: ma dalla cronaca in direzione della metafisica. nell'ambito di una famiglia patri~rcale certi oggetti d'uso, anche i più rozzi, venissero conservati e trasmessi con cura e con amore: vecchi mortai per pestare le spezie, padelle e tegami di rame, ciotole di ceramica, suppellettili antiche; o anche i primi aggeggi paleo-meccanici: macinini da caffè, grattugie, frullini a mano per «montare» la panna e i bianchi d'uovo. Oggi è ben difficile che un gadget domestico si conservi per più di qualche anno o di qualche mese, perché rapidamente obsolescente, perché soppiantato da perfezionamenti tecnici, o perché semplicemente «passato di moda». Questa obsolescenza - più ancora che tecnologica, stilistica - mi sembra un fatto abbastanza deprecabile. Senza voler predicare una tesaurizzazione inconsulta e avara dell'oggetto d'uso (quando invece una simile tesaurizzazione è in atto proprio applicata all'opera artistica), credo che si dovrebbe verificare più spesso un giusto «attaccamento», non morboso, al mondo degli oggetti di cui ci serviamo. L'oggetto, cioè, dovrebbe riacquistare certe valenze di «personalizzazione» che un tempo possedeva e cooperare a una sorta di lotta contro il dilagare delle mode più futili, contro la perdita d'una «memoria oggettuale». È molto probabile che le reliquie dei santi (così spesso fasulle, inventate o credute tali per strane contingenze) presentino le loro doti miracolose (o funzionino come se le presentassero) proprio in base alla somma delle credenze e delle fedi che le investono d'un potere arcano. Allo stesso modo potremmo ammettere che anche oggetti familiari, senza per questo trasformarsi in sante reliquie, possano acquistare un loro potere - costituito dall'insieme di tradizioni, di pratiche, di cerimoniali consacrati dall'uso, che in questo modo fanno sì che non vada perduta una determinata capacità, da parte del possessore degli stessi, di usarli in maniera acconcia, come accadeva per chi, in tempi andati, maneggiava gli attrezzi del lavoro, le armi del combattimento, i simulacri dei cerimoniali magici o misterici. E non si dimentichi, del resto, che - ove ci si rifaccia ad antiche civiltà «barbariche» o anche al poco che ancora rimane di vivo delle culture tribali o delle «civiltà ristrette» (come vengono di solito definite) - la presenza di fattori magici, l'investitura di oggetti con valenze rituali - apotropaiche o propiziatorie - è all'ordine del giorno. Per cui molto spesso l'arte dei ~primitivi» (tanto studiata dai Franz Boas, 1 Lévi-Strauss,
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