pagina 4 L'ammonimento dato da Platone all'amico Callimaco di «non concedere in sposa la figlia a un costruttore di macchine» fa da epilogo - ma potrebbe egualmente fungere da epigrafe - alle pagine di un mio esile libro, che sta per andare un libreria. Esso porta un titolo complicato e sovraccarico di significati: esattamente Della ghigliottina considerata una macchina celibe e inaugura la nuova collana, «Terzo millennio», di Giancarlo Politi Editore. Da tempo desideravo completare l'albero genealogico di quella illustre famiglia di machines célibataires che si riproduce per monogenesi nel corpo della letteratura e dell'arte degli ultimi due secoli: da Poe a Kafka, da Jarry a Roussel, compresi due artisti-sfinge come Duchamp e Warhol. Macchine concepite negli strati maggiormente compromessi e segreti dell'immaginario moderno, ma che trovano pur sempre il loro prototipo - e forse il loro capolavoro? - in una macchina terribilmente concreta ed efficiente: la ghigliottina trionfalmente innalzata nel cuore della «grande rivoluzione». E quale occasione più favorevole del bicentenario del glorioso 1789 per assegnare definitivamente una paternità - o una maternità? - a questa orfana e troppo celebre schiatta macchinista? L'argomento spigoloso e tranchant mi ha dettato lo stesso tipo di scrittura: frammentario, spezzato, tendenzialmente aforistico. Della ghigliottina contiene inoltre sei disegni originali dovuti alla matita visionaria di Enzo Cucchi, con uccelli neri, instabili impalcature, fughe di strade e di caseggiati che rovesciano di continuo le rispettive prospettive: una compatta costellazione di immagini che leggono con penetrazione rabdomantica un tema che procede a filo di lama fra realtà storica e immaginazione. Della ghigliottina considerata una macchina celibe A.B. E siste una macchina sfuggita all'elenco meticoloso delle machines célibataires che Miche! Carrouges ha redatto con meritoria improprietà nel lontano 1954. Questa macchina è la ghigliottina. Ma se entra nella categoria, qual è suo manifesto diritto, non vi entra come esemplare qualsiasi, bensì vi fa un imponente ingresso come l'archetipo, il capolavoro primo e mai più superato. Poi è probabile che ne esca, non senza aver provocato prima scompiglio e chiarificazione, dal momento che come modello essa eccede di troppo gli esemplari riuniti da Carrouges. Intanto, per lo meno morfologicamente, la sua struttura meccanica con chiarezza divisibile in due parti - una superiore e l'altra inferiore - ricalca alla perfezione lo schema delle machines célibataires messo a punto da Carrouges. Mentre in alto sta sospesa la lama, l'uomo si trova disteso in basso in posizione orizzontale sopra la bascule, con la faccia rivolta verso il suolo e col collo incastrato tra due ceppi di ferro. Dobbiamo immaginare questa bascule molto simile a un lettino scomodo e ribaltabile, con cui l'uomo, colpevole o innocente, viene piazzato a forza sotto la scure appuntita della giustizia. Ancora, come rientra nella ortodossia delle «macchine celibi», la parte superiore della ghigliottina agisce su quella sottostante. Nel caso in questione, essa precipita col peso di quaranta chili sul nudo collo dell'uomo, cui hanno sforbiciato pure la capiLaboratorio italiano 88/Saggistica Alfabeta 1101111 berto Boatto gliatura, provocando la separazione fulminea della testa dal tronco. Che la machine à décoller costituisca una perversa «macchina estetica» lo comprovano unanimemente la sua poetica e la sua efficacia e lo conferma, perfino, una somma di circostanze empiriche, solo in apparenza gratuite. La poetica è racchiusa nelle parole pronunciate da Saint-Just ali'Assemblea Nazionale: essere la ghigliottina una macchina gradita aux ames sensibles. L'attrazione spettacolare è attestata dal nereggiare della folla che, nei suoi giorni di Tocca alle tricoteuses - e non già al bourreau Charles-Henry Sanson, occupato com'è a manovrare la leva, a schivare gli spruzzi di sangue e a ricacciare col piede i cani famelici, attirati dal miraggio del pasto - a svolgere il ruolo duchampiano dei «testimoni oculisti». Voyeuses, le donne fanno la calza, guardano e cadono in estasi. Per arrivare a scoprire il significato profondo della ghigliottina, sarà bene procedere con grande cautela. Scartare i nomi attribuitigli dalla ideologia, dal patriottismo e, perfino, dall'odio popolare. La- «Signoraserpente», 1900 ca gloria, non si stancherà mai di stringerglisi attorno. Così il palco della gh.gliottina si trasforma in un palcoscenico tanto per la vittima che per gli spettatori. Vengono infine le circostanze segretamente essenziali e fatali. Se è vero che è stata sostenuta e progettata dall'arte chirurgica, nella celebre persona del dottore Joseph-Ignace Guillotin e in quella ingiustamente dimenticata del dottore Antoine Louis, non è meno vero che ha trovato il suo costruttore nell'arte musicale. Nel personaggio ancillare di un fabbricante di clavicembali, il molto esoso Tobias Schmidt, che provvide alla costruzione del primo esemplare per la cifra di 960 franchi d'oro. sciarsi alle spalle gli appellativi di «Rasoio nazionale», di «Vendicatore del popolo», di «Scorciatore patriottico», e anche di «Santa ghigliottina», sebbene sbalorditivi la loro parte, per prendere in considerazione esclusivamente il contributo lessicale apportato dall'unica categoria interessata: la malavita francese. Tra i suoi contributi inestimabili, accanto a quello di Abbaye de Mont-à-Regret, brilla come una nera folgorazione l'appellativo di Veuve. Dacché l'uomo viene soppresso, il coniuge maschio decapitato e lei, femmina omicida, rimane trionfalmente sola, in gramaglie di ferro, ritta in piedi sopra l'impalcatura. Col sangue e con la vedovanza laghigliottina mostra di disporre, accanto alla struttura meccanica, anche del contrassegno funzionale che Carrouges esige da tutto il suo parco macchine. Sta infatti scritto: «Una macchina celibe trasforma l'amore in una meccanica di morte». Solo che all'origine delle machines célibataires sta una machine nubile. Genealogia in quanto prova. Una progenitrice della ghigliottina, straordinariamente somigliante nell'aspetto, impiegata in Scozia almeno dalla metà del Cinquecento, portava il soprannome di Maiden, la «Zitella». (Un esemplare lo si può ancora ammirare nelle sale del National Museum of Antiquities di Edimburgo.) Applicazione in quanto prova suppletiva. Il primo a sperimentare in assoluto, valutandone i benefici di dinamismo, istantaneità e delicatezze umanitarie, non fu né una testa coronata, né un aristocratico, né un girondino e tanto meno un giacobino. Fu invece un vrai professione/, un certo Nicolas-Jacques Pelletier, nativo di Parigi, abituale grassatore a mano armata. La première ebbe luogo il 25 aprile 1792, alle tre e mezza del pomeriggio, nella spaziosa Piace de Grève. L'esperimento, se incontrò il favore dei medici progettisti e dell'autorità giudiziaria, non piacque affatto al pubblico accorso in massa. E giustamente. La rapidità di svolgimento del nuovo spettacolo mal si adattava agli «assolo» di figure anonime, ma unicamente alla quantità e alla varietà a cui avrebbero ben presto provveduto le future rappresentazioni. Poiché di vita non é rimasta che la malavita. Rispetto alla ghigliottina, la macchina del supplizio nella Colonia penale di Franz Kafka, si è fatta esplicita, didascalica, quasi ciarliera, seppure ciarliera in modo feroce. In luogo della lama che, nella ghigliottina, incarna con sobrietà la legge ed esegue la condanna in silenzio, incontriamo il disegnatore meccanico che dice invece la legge, tatuando direttamente la sentenza sopra la pelle del condannato, fino a prolungargli la morte. Nel letto di ferro, su cui il reo viene disteso, riconosciamo una variazione della familiare bascule, ma che adesso ha preso a tremare e a oscillare di continuo. Per altro, l'eloquenza della legge, la complessità tecnica dei congegni, la combinazione di stampatrice, di telaio e di attrezzo di tortura, non contrassegnano affatto il culmine di uno sviluppo civile e tecnologico, bensì ne annunciano la decadenza, lo sfacelo imminente. Nel loro sincretismo, la fantasiosa crudeltà asiatica e l'Illuminismo europeo si sono consociati per mettere capo al disastro. L'ordine, che la macchina è incaricata di impersonare, si dimostra doppiamente corroso, nello spirito e nella materia. Da una parte, è soprattutto il dubbio, la perdita di fede nella legge. Dall'altra, è la stessa antichità, l'eccesso di complicazione raggiunto dal meccanismo a minarlo. La crisi che scoppia segna così la massima deviazione dalla norma. L'ufficiale giustiziere, che ha cessato di credere nella sua missione, dopo aver preso il posto dell'ultimo condannato, si suicida sotto gli aculei del dispositivo di morte. Nel frattempo l'intera macchina del supplizio, esplodendo, va letteralmente in pezzi. Attorno è ancora buio, ma in alto, sopra il cortile, si intravvedono già i primi chiarori dell'alba. Il Signore Esecutore delle Alte Opere di Giustizia tira fuori l'orologio dal taschino ed esclama con voce grave: «È ormai l'ora!». Da questo istante il cerimoniale della messa a morte procederà con esattezza cronometrica, seguendo un regola-
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