Alfabeta - anno X - n. 110/111 - lug./ago. 1988

pagina 38 Laboratorio italiano 88/Letteratura Alf abetp 11O/111 mberto Lacatena Il capitolo XVI del romanzo Amanti domestici è uno specimen del mio tipo di scrittura. Si tratta di un romanzo satirico-grottesco (ma è possibile intenderlo anche come romanzo esistenzialista). L'io narrante è uno psicanalista che rilegge il proprio vissuto erotico-sentimentale e Larealtà degli ultimi vent'anni. La peculiarità di questo romanzo è L'accanita ricerca linguistica che Lomotiva. Nel romanzo tradizionale si ricerca una scolastica sicurezza in una rigida omologia tra Lastruttura romanzesca e Lastruttura Linguisticae si dà per scontato, anzi per rigorosamente vincolante, che esso debba esprimere una temperie sociale con un codice uniformemente riconoscibile-questo sarà il pregio massimo che si sarà pronti ad attribuirgli. Ciò a cui miro è invece un Linguaggio che, volta per volta, si adegui alla creazione della vicenda narrativa o del personaggio. U.L. Amanti domestici S e lo succiò un paio di volte: me lo lasciò pulito e lucido come un lampadario da aristocratica festa ottocentesca. Provai malgrado avesse le mestruazioni, a masturbarla un po', ma ottenni solo di insanguinarla per tutto il bacino come se le avessi tolto l'appendice. Anche il rigagnolo dell'infartuante sedere rosseggiava. («È la cosa più bella che ho. Lo sai? me lo guardo spesso allo specchio».) Non ne sembrava minimamente imbarazzata, né lo fu quando la sorpresi a pisciare (aveva lasciato la porta del bagno aperta). Era così disinibita che Chiara e Flora mi sembravano a confronto delle educande. «Dai!. .. dai!» mi spronerà (successivo incontro) come se fossi un cavallo da tiro e: «Sburra!. .. sburra!» mentre ansimavo come una vaporiera nella sua pozzanghera. A differenza di Chiara e Flora che serbavano tutte le risorse sceniche per l'orgasmo, Biancaneve iniziava subito i festeggiamenti, per cui era difficile capire quando avesse spento le candeline. Ma la nostra tenera storia d'amore non durerà a lungo. «Fai un fioretto» le dovetti ben presto dire per farla spogliare. Sosteneva di non volere più fare all'amore perché non mi amava. Si denudò svogliatamente, mi chiese se avevo un profilattico. Le risposi di sì, ma intanto m'ero ricordato che stava per sopraggiungere la donna delle pulizie. Così, senza neppure sfiorarla, l'invitai a ... (se l'inghiottì come se fosse un aperitivo). Qualche mese dopo saprò, con profonda sorpresa, da una sua bionda e sostanziosa amica, che Biancaneve mi accusava di averle imposto con la violenza pratiche immonde. (Ma non aveva biascicato: «Per favore ... me lo metti dentro?») Dagli atti del processo per stupro Biancaneve: «È la verità ch'io ho avuto commercio carnale con l'imputato più e più volte che non so dire quante ma --"'"•*..,, ~.-· "'- _..,- ~· ...... .,....fil. ( ··- - -;;;;;;:;;;.....-- però amore sforzato che per conto d'amore volontario non l'avrei fatto con il re di Spagna». In una cosa, come amante, sono preferibile ad Alain Delon. Ho molto più tempo libero. Non dicevo perciò mai di no quando Chiara mi chiedeva di accompagnarla in giro per i negozi. Ho sensi poco sviluppati. Darwin avrebbe i suoi problemi, con me. Chiara invece sapeva riconoscere ogni cosa, al tatto. Indovinava sempre di che animale si trattasse. Come se ci fosse andata a letto insieme. Era molto orgogliosa, inoltre, del suo olfatto. In più di un'occasione affermerà di captare profumi di donna sul mio corpo, ma sempre quando m'era facile dimostrarle che si sbagliava. Chiara ignorerà (o fingerà di ignorare) i miei incontri con Flora che vivrò con riluttanza: e non solo per i sensi di colpa. Flora mi appariva svuotata di entusiasmi, di rabbie. Ritrovavo dopo alcuni anni una donna elegante e depressa (quante lacrime!) al posto di quell'effervescente ragazza che urlava slogan furibondi nei cortei e che rideva divertita se qualche stronzo di fascista le dava della puttana mentre annunciava con l'altoparlante qualche comizio o assemblea all'Università. Ultimo incontro con Flora Scesi dall'automobile per urinare; al mio ritorno (era «indisposta») lasciai che con la bocca sbrigasse l'Affaire. Fu efficiente come una suora. Preferisco ricordarla com'era al processo. L'avevano sorpresa con alcuni compagni con un jeans in mano dopo un «esproprio proletario» in un negozio del centro avvenuto dopo gli scontri con la polizia per un concerto impedito dal Movimento. I poliziotti in Tribunale affermarono d'averli visti rompere le vetrine di averli seguiti con una pantera ad andatura di corteo funebre di averli scoperti nei bagni della stazione mentre si provavano i jeans. I poliziotti della nostra spumeggiante città offrono spinelli in cambio di informazioni, offrono informazioni in cambio di condanne, firmano testimonianze oculari senza neppure leggerle, si confondono perciò quando sono chiamati a testimoniare. Non hanno memoria, hanno una memoria di ferro, nelle loro mani è il nostro futuro. (Attenti, compagni, ai vostri cromosomi: mordetevi i polpastrelli!). In quali condizioni, secondo il Commissario, si trovò la polizia quando i compagni contrattaccarono Grossissime falde di neve, accompagnate da un vento impetuoso del Nord, si scagliarono ariosamente sul volto dei soldati. Vapori freddi, e dopo poco condensati, si formaro-. no intorno a noi, ed il cielo sembra scendere ed unirsi con la terra e con i nemici per compiere la nostra rovina. Tutto si confonde allora; nulla più si riconosce: cambiano figura gli oggetti: si cammina senza sapere dove, senza scorgere alcuna meta; tutto si fa ostacolo. , Mentre si sforza il soldato a farsi strada attraverso quei turbini di vento e di brina, l'abbondante neve, spinta dalla tempesta, si ferma e si accumula in tutte le cavità, e la superficie uniforme nasconde ignote fosse che si aprono sotto i nostri passi, a tradimento. Là i soldati s'ingolfano, ed i più deboli, abbandonandosi, vi rimangono sepolti. Coloro che seguono sostano, ma la bufera, sempre più imperversando, arresta coi suoi turbini uomini e cavalli, penetra nei miseri vestiti e attraversa le consunte calzature. Questo involucro di ghiaccio comprime i corpi ed intirizzisce le membra. Un vento aspro e violento toglie il respiro, se ne impossessa e forma dei ghiaccioli che pendono dalla barba, dai capelli, dalle ciglia, intorno alla bocca e fanno soffrire un nuovo patimento. Quegl'infelici si trascinano ancora, tremando, finché la neve, che si attacca ai loro piedi formandovi quasi una pietra, o pochi rottami o un ramo o il corpo di un loro compagno non li fanno inciampare e cadere. Colà essi gemono inutilmente: ben presto la neve li copre e piccoli mucchi di ossa li fanno riconoscere. Ecco la loro tomba. È sparsa la strada di simili ondulazioni, come un vasto cimitero! Si accorano i più intrepidi ed i più indifferenti che passano in fretta, volgendo altrove gli sguardi. Ma la neve è dinanzi ed attorno a loro; tutto è neve; si perde la vista in quell'immensa e triste uniformità che stupisce l'immaginazione. È un gran lenzuolo con cui la natura avvolge l'esercito! I soli oggetti che spiccano sono cupi alberi, alberi sepolcrali, che con la loro funebre verdura, con la gigantesca immobilità delle loro cime e con la naturale malinconia che ispirano, completano la desolata scena di un esercito moribondo in mezzo ad una natura morta. Nelle frequenti cadute i fucili sfuggivano dalle mani di quegli sventurati, spezzandosi e perdendosi nella neve. Se i caduti si rialzavano, non avevano più le armi, perché le mani irrigidite non permettevano più di afferrarle. Ad ogni passo s'incontravano sbandati di tutti i corpi, sia isolati che in drappelli. Essi non avevano vigliaccamente disertato, ma a causa del freddo e dell'esaurimento per la mancanza di cibo erano rimasti indietro. In quella lotta generale ed individuale si erano separati, ed eccoli disarmati, vinti, senza difesa, senza capi, non più obbedienti che all'istinto urgente della loro conservazione. La notte giungeva, una notte di sedici ore! Sulla neve che copriva ogni cosa, non si sapeva dove fermarsi, dove sedersi, dove riposare, dove trovare qualche radice per nutrirsi, dove trovare un po' di legna per accendere i fuochi. Il maggior numero di quegli infelici, adescati dalla vista di qualche sentiero, si disperdevano con la speranza di trovare un po' di pane ed un riparo per la notte; ma le truppe che erano passate prima avevano tutto inesorabilmente devastato. Per una estensione di sette ed otto leghe gli sbandati non incontravano che cosacchi in armi che li spogliavano e li lasciavano con risa feroci, del tutto ignudi, a morire sulla neve.

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